Non
è il
molto quel che si apprezza; è il buono. I libri sono come le anime, la
cui
grandezza non si misura dalla mole del corpo, ma dalla nobiltà degli
spiriti.
C’è
una legge che sta imperando nella comunicazione contemporanea ed è
quella
dell’eccesso. Bisogna aggiungere sempre più spazio ai prodotti: così,
l’eros
lentamente decade in pornografia, il giallo in violenza gratuita, il
dibattito
in lite, la protesta in insulto, la polemica in attacco personale e
così via.
Lo scrittore Italo Calvino, nelle sue
Lezioni
americane, ricordava che il vero
artista (ma anche l’uomo sapiente) è colui che opera come lo scultore
che
toglie e non aggiunge. Dal blocco di marmo elimina tutto ciò che è
inutile rispetto
alla statua che è idealmente nascosta in quella pietra.
Lo
stesso concetto lo esprime in modo più immediato Daniello Bartoli,
gesuita
ferrarese vissuto nel Seicento, storico e grammatico, nell’opera
L’uomo
di lettere difeso
ed emendato , da cui abbiamo desunto
la citazione odierna.
Non
è la mole che conta ma l’interiorità; non è la quantità che dovrebbe
prevalere,
bensì la qualità; non sono gli orpelli ma la sostanza ad assegnare
valore a una
persona o a un’opera; non è l’erudizione a fare lezione ma la saggezza
che
guida e illumina. Eppure, se siamo sinceri, a dominare ai nostri giorni
è il
troppo: invidiato è chi possiede tanto, chi prevarica con la parola e
l’azione,
chi incombe con la sua immagine e il successo. Dovremmo, invece,
ritrovare la finezza
della discrezione, il gusto della riflessione, la dignità del
comportamento
morale. Il poeta indiano Tagore pregava Dio di non lasciarlo smarrire
«tra i
grattacieli delle cose inutili», dimenticando la strada di casa. E per
stare ai
libri, potremmo finire con una fulminante recensione di Ennio Flaiano:
«È un
libro ponderoso. Che fa pensare. Ad altro».