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Contratto: La valutazione scolastica e la tutela giurisdizionale

Redazione
Angela GiardinaroLa valutazione rappresenta sicuramente la funzione educativa che risente più delle altre delle trasformazioni avvenute nel sistema scolastico sia sul piano qualitativo che su quello quantitativo. Nelle scuole, già da tempo si avverte l’inadeguatezza dei modelli delle pratiche valutative tradizionali e la limitatezza di un compito solitamente inteso come espressione di apprezzamenti sugli allievi, cresce inoltre nei docenti la consapevolezza che le modalità di accertamento del profitto praticate sono poco funzionali. Per lungo tempo la valutazione ha operato come uno strumento di un sistema educativo atto ad allontanare quanti non rientrassero all’interno di certe caratteristiche di tipo intellettuale e di comportamento, facendo assumere a voti e giudizi il significato di una dichiarazione di accettabilità o meno dei sistemi di valori propri degli allievi, a prescindere del livello di apprendimento raggiunto. In Italia, si è dato inizio a una riflessione seria sulla valutazione quando è stato chiaro che la scuola doveva migliorare i suoi ordinamenti e le sue strategie, per poter rispondere a esigenze che si facevano sempre più ampie. In pratica, man mano che la scuola diventava di massa, imponeva ai governi strategie d’insegnamento e di valutazione più attente, più sofisticate, più rispondenti alla necessità di promuovere cultura e conoscenze.
In questo contesto si inserisce la «Programmazione educativa e didattica», adottata nell’intera scuola dell’obbligo con la legge n. 517/77, con la quale furono aboliti i voti e fu introdotta la pratica del giudizio. Ebbe così inizio una lunga stagione di ricerca, sperimentazione e innovazione, contrassegnata anche da un succedersi di proposte e di documenti valutativi (la scheda personale dell’alunno) finalizzati a costruire una pratica assolutamente nuova del valutare, che interessasse non solo i momenti terminali dello studio di un alunno, ma anche e soprattutto quelli iniziali (la valutazione in ingresso), quelli di percorso (la valutazione continua) e quelli, ovviamente, conclusivi.
La cultura della valutazione, dopo l’innovazione del 1977 e, dopo circa venti anni di ricerca teorica e pratica, richiedeva un coinvolgimento della totalità degli insegnanti e, soprattutto, degli alunni e dei genitori. Nel 1996, con la circolare 491, fu adottata una nuova scheda, valida per l’intera scuola dell’obbligo, la quale, per certi versi, semplificava le operazioni valutative, per altri, però, le impoveriva sotto il profilo concettuale. Infatti, al fine di rendere più agevole l’operazione valutativa e la lettura della scheda da parte degli alunni e delle loro famiglie, furono eliminati i giudizi per discipline e sostituiti con dei semplici aggettivi, ovviamente più immediati alla lettura, ma scarsamente informativi sotto il profilo analitico. I livelli rimasero sempre cinque, con questa distribuzione: non sufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo, già utilizzati sui diplomi al termine degli esami di Stato della terza media. Ovvio che, se una valutazione di questo tipo si poteva giustificare in un esame d’istruzione obbligatoria, come si sa mira a orientare e non a formare, risulta assolutamente inadeguata per indicare di volta in volta il graduale livello di sviluppo di un alunno.

D.P.R. n. 122/09
Tante le leggi e le circolari ministeriali negli ultimi venti anni, ma sicuramente quella che ha portato cambiamenti di rilievo alla valutazione del comportamento e degli apprendimenti degli studenti è quella relativa al Regolamento di coordinamento delle norme sulla valutazione degli alunni (D.P.R. n. 122 del 22 giugno 2009), emanata in seguito a quanto prescritto dalla legge n. 169/2008. Tale regolamento non ha modificato sostanzialmente la prassi valutativa seguita degli anni precedenti, anzi ha puntualizzato diversi aspetti, introducendo alcune novità e dando luogo a un nuovo quadro di riferimento normativo. Nel primo articolo, ricco di riferimenti pedagogico – normativi, la valutazione è intesa quale elemento qualificante non solo dell’autonomia professionale del docente, nella sua duplice dimensione individuale e collegiale, ma anche dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Dallo stesso decreto si evince, inoltre, richiamando l‘art. 21 della legge 59/97 e il Regolamento di autonomia di cui al D.P.R. 275/99 , che sono le istituzioni scolastiche, nell’esercizio dell’autonomia didattica, a individuare le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale (art. 4 comma 4 D.P.R. 275/99 ). La valutazione dell’alunno è posta in relazione al processo di apprendimento, al rendimento scolastico e al comportamento e gli obiettivi di apprendimento vengono definiti dal POF, nel rispetto degli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni che, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 275/99, devono essere definiti dal Ministero della Pubblica Istruzione, previo parere delle Commissioni parlamentari e sentito il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione. È compito, inoltre, del Collegio dei Docenti definire i criteri che assicurino omogeneità, equità e trasparenza nella valutazione a livello di istituzione scolastica, in modo da garantire alle famiglie il diritto ad avere un’informazione trasparente, equa e tempestiva che permetta di seguire il processo di apprendimento dei propri figli. Tra le novità che hanno fatto più discutere troviamo nel primo ciclo d’istruzione l’espressione in decimi della valutazione periodica e finale degli alunni e la valutazione del comportamento che viene espressa nella scuola primaria attraverso un giudizio collegiale dei docenti contitolari della classe ovvero dal docente unico. Nella secondaria di primo e secondo grado la valutazione del comportamento viene espressa collegialmente con voto numerico riportato anche in lettere. Agli Esami di Stato previsti (art. 11 del D.to L.vo 59/04) al termine della scuola secondaria di primo grado, accede chi ha conseguito una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina e nel comportamento, previo accertamento della frequenza di almeno due terzi dell’anno scolastico, salve le motivate deroghe deliberate dal Collegio dei docenti. La certificazione dei livelli di apprendimento raggiunti da ciascun alunno è effettuata al termine della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado, nonché con riferimento all’adempimento dell’obbligo di istruzione. Tale certificazione ha la finalità di sostenere i processi di apprendimento, di favorire l’orientamento e l’inserimento nel mondo del lavoro. Nel primo ciclo, i «documenti di valutazione degli alunni» sono adottati autonomamente dalle istituzioni scolastiche (art. 2, c. 2), mentre i modelli per le certificazioni delle competenze, da effettuare a conclusione della scuola primaria e dell’esame finale del 1° ciclo, sono predisposti dal Ministero (art. 8, c. 6). Anche nella scuola secondaria di secondo grado sono rilevanti le novità introdotte dal regolamento, la valutazione del comportamento concorre alla determinazione dei crediti scolastici e nel caso in cui il Consiglio di classe si esprimesse per un voto concernente il comportamento inferiore a sei decimi, si determina la non ammissione alla classe successiva o all’Esame di Stato. Si accede alla classe successiva solo conseguendo un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina e nel comportamento e nel caso in cui, in sede di scrutinio finale, un alunno non raggiungesse la sufficienza anche in una sola disciplina, viene il giudizio sospeso e l’esito viene comunicato alla famiglia. Conseguentemente vengono programmati interventi di recupero delle carenze rilevate, al termine dei quali il Consiglio di classe, in sede di integrazione dello scrutinio finale, procede alla verifica dei risultati conseguiti ed alla formulazione del giudizio finale prima dell’inizio delle lezioni dell’anno successivo. Anche al termine del secondo ciclo viene rilasciata la certificazione utilizzando come parametro le conoscenze, le abilità e le competenze previste dall’apposito allegato al DM 139/2007, mentre per ciò che riguarda la certificazione per il riconoscimento dei crediti formativi e delle competenze relative ai percorsi di istruzione e formazione professionale si ha riguardo all’art. 20 del D.to L.vo 226/2005. Occorre precisare che la certificazione delle competenze per i diversi gradi e ordini d’istruzione, dovranno tener conto anche delle indicazioni espresse dall’INVALSI e dalle principali rilevazioni internazionali. Per l’alunno disabile seguito da più insegnanti di sostegno, questi esprimeranno un unico voto o giudizio valutativo; per l’insegnamento della religione cattolica la valutazione continua ad essere effettuata con la «speciale nota» redatta dal relativo docente, senza attribuzione di voto numerico. Il personale non titolare della classe, che abbia svolto «attività o insegnamenti per l’ampliamento e il potenziamento dell’offerta formativa», e i docenti dell’attività alternativa all’insegnamento della religione cattolica «forniscono preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi sull’interesse manifestato e il profitto raggiunto da ciascun alunno» (art. 2, c. 5 e art. 4, c. 1). Questi principi che costituiscono il fondamento dell’attività valutativa della scuola, certamente non sono nuovi, ma per la prima volta nell’ultimo decennio vengono evidenziati e proclamati in maniera complessiva e organica in un testo normativo. Bisogna ammettere che il ritorno, a più di dieci anni di distanza, il ritorno alla valutazione decimale, voluta dai ministri Tremonti e Gelmini, rappresenta uno dei punti di criticità. Per anni si è insistito nel sostenere che misurare una prestazione non è lo stesso che altra cosa valutarla; una cosa è valutare un processo, altra cosa valutare un prodotto. Si tratta di operazioni diverse che richiedono criteri operativi diversi. Si è detto che la votazione decimale è assolutamente inadeguata a fronte delle due operazioni del misurare e valutare, poiché il voto è utilizzato indifferentemente per ambedue. In altri termini, il voto è uno strumento assolutamente povero a fronte di quella cultura della valutazione che abbiamo maturato nel corso degli ultimi quarant’anni. Pertanto, il ritorno al voto, giustificato in forza della semplicità e della trasparenza, di fatto ci riporta indietro,verso una Scuola più proiettata nel selezionare che di promuovere. In effetti, tutto il gran dire che si fa sull’eccellenza e sul merito trova proprio nel voto la sua legittimazione, è con il voto che la scuola esprime il suo giudizio su alunni meritevoli e non meritevoli, capaci e incapaci. Tuttavia il ritorno al voto, non è un’operazione destinata a semplificare la valutazione, ma a restituire anche al primo ciclo d’istruzione quella caratteristica di primo strumento selettivo che si credeva, chiusa per sempre.

La tutela amministrativa e la tutela giurisdizionale delle valutazioni
L’attribuzione dei crediti, l’ammissione agli esami di Stato, l’attribuzione del voto finale, e quindi l’applicazione del regolamento sono atti frequentemente oggetto di ricorso giurisdizionale da parte dei genitori degli alunni. In vista degli scrutini di fine anno scolastico e dell’esame finale della scuola secondaria di primo e secondo è opportuno affrontare un aspetto della valutazione didattica che, spesso operatori e educatori della scuola non prendono in considerazione, cioè esaminare le conseguenze processuali della valutazione medesima. È prassi consolidata, per i dirigenti scolastici, ricevere al termine dell’anno scolastico, la notifica di un ricorso giurisdizionale da parte di qualche genitore insoddisfatto della valutazione espressa nei confronti del proprio figlio. Sul piano didattico, quando ciò accade, è sicuramente il segnale di un «corto circuito» nel rapporto scuola – famiglia; in altri termini, significa che nel corso dell’anno scolastico, per la negligenza di una delle due istituzioni, non vi è stato quel dialogo che consentisse di individuare e fronteggiare per tempo, le lacune dell’alunno o gli eventuali problemi sottostanti. Alla luce delle più recenti pronunce della giustizia amministrativa, si cercherà di esaminare i tratti fondamentali in cui si può articolare la tutela giurisdizionale ammessa dall’ordinamento contro i risultati scolastici. Per il genitore che intenda impugnare una valutazione negativa o una bocciatura, l’interesse preliminare è quello di procurarsi la documentazione necessaria a suffragare la propria tesi circa l’erroneità del giudizio espresso; il procedimento è quello ordinario di accesso ai documenti amministrativi disciplinato dagli artt. 22 e segg. della L. n. 241/1990 , e pertanto il richiedente deve dimostrare di essere portatore di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» (art. 22, comma 1, lett. b). Recentemente si è pronunciato sul punto il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7650 del 28.10.2010, sulla quale vale la pena soffermarsi e incentrare l’attenzione. Si trattava di un giudizio di appello avverso una sentenza del TAR Lazio, Roma, che aveva riconosciuto fondato il diniego di accesso formulato dal dirigente scolastico di un liceo classico ai genitori di uno studente che pretendevano l’ostensione degli elaborati scritti del proprio figlio e degli altri compagni di classe (IV ginnasio) nelle materie di inglese, italiano, greco e matematica, oltre che ai registri personali delle insegnanti delle citate materie. Il giudice di primo grado aveva limitato l’accoglimento all’istanza degli interessati di accedere agli elaborati concernenti il proprio figlio, oltre ai registri di classe, mentre aveva respinto la richiesta di accesso alle copie di tutti i compiti svolti dall’intera classe, nel presupposto che l’interesse diretto dei ricorrenti si concretizzasse esclusivamente nella tutela della posizione del proprio figlio, mentre l’analisi degli elaborati degli altri studenti della classe costituiva un raffronto di situazioni disomogenee tra loro e di scarsa utilità per l’interesse azionato. I genitori hanno impugnato in appello tale sentenza, sulla base di un orientamento consolidato presso il Consiglio di Stato che in passato si era pronunciato favorevolmente all’accesso anche agli elaborati dei compagni, ritenendo che esistesse un interesse dei genitori a siffatta esibizione, poiché essi «non possono considerare e valutare il trattamento riservato al figlio se non in comparazione con quello riservato agli altri alunni della classe». L’unico limite al diritto di accesso, dunque, poteva essere il rispetto della riservatezza degli altri studenti coinvolti nella disamina. Nel caso in oggetto, la VI Sezione del Consiglio di Stato cambia completamente registro, e focalizza la propria attenzione sul lodevole interesse dei genitori dichiarando che costoro hanno un interesse diretto, concreto e attuale solo nei confronti della vicenda del proprio figlio, tanto più che la valutazione didattica non viene svolta per scegliere comparativamente il migliore in un gruppo (il che potrebbe dar luogo a discriminazione), ma è finalizzata a permettere al singolo allievo di procedere consapevolmente nella costruzione del suo apprendimento. La pretesa di esaminare anche gli elaborati dei compagni del figlio si traduce, per il Consiglio di Stato, in una pretesa di controllo generalizzato dell’azione della Pubblica Amministrazione: ma ciò, a termini dell’art. 24, c. 3 della L. n. 241/1990 è inammissibile. Dunque, nel caso esaminato, l’esigenza della trasparenza della valutazione ha trovato un limite nell’esame di ciò che, in senso stretto, costituiva oggetto dell’interesse dei genitori, costoro dovevano capire perché il figlio non era stato ammesso alla classe successiva e per farlo – secondo il Consiglio di Stato – è più che sufficiente esaminare, a livello documentale, gli elaborati dell’allievo e i registri degli insegnanti, senza necessità di andare a scandagliare le situazioni degli altri compagni di classe. Seguendo tale impostazione, si rafforza l’idea della valutazione come work in progress che riguarda il singolo allievo, certamente contestualizzato nel gruppo classe ma giudicato personalmente, per la sua personale crescita nell’apprendimento. Se ci si addentra ora nei profili più prettamente procedurali, ai genitori che intendano impugnare una valutazione negativa o una bocciatura si pongono due soluzioni: la via giurisdizionale o quella amministrativa. I provvedimenti adottati dagli organi di valutazione della scuola (Consigli di classe e Commissioni d’esame) sono atti definitivi e, pertanto, possono essere impugnati in via giurisdizionale, innanzi al TAR competente per territorio, entro sessanta giorni dall’affissione all’albo della scuola dei risultati degli scrutini e degli esami, in altre parole, alternativamente, in via amministrativa, con ricorso al Presidente della Repubblica, entro 120 giorni. Quanto al ricorso gerarchico, pure esperibile avverso i provvedimenti definitivi (quali quelli in esame), esso non appare praticabile perché, laddove si presenti un siffatto ricorso all’Ufficio Scolastico regionale, questo non può ritenersi superiore gerarchico – quindi competente a decidere il ricorso – né nei confronti dei Consigli di classe, stante l’autonomia delle istituzioni scolastiche, né nei confronti delle commissioni d’esame. Tuttavia, anche ai fini di un risparmio di tempo e denaro, spesso i genitori insoddisfatti propongono censura alla valutazione scolastica dei figli attraverso un «reclamo», volto a evidenziare vizi formali degli atti valutativi, e che pertanto va presentato alla stessa autorità responsabile dell’atto conclusivo del procedimento,ossia il dirigente scolastico. Questi potrà valutare la fondatezza del reclamo, e accoglierlo, ovvero rigettarlo, specie se ritenga che le censure proposte esorbitino dalla sua sfera gestionale; in caso di accoglimento, può procedere a verifica degli atti oggetto di censura (si consideri che è potere del dirigente procedere all’apertura dei plichi, purché sia redatto verbale delle operazioni); nel caso in cui riscontri anomalie, può invitare l’organo collegiale a sanare il vizio, o archiviare il procedimento, se non riscontri alcun vizio. In ogni caso, i provvedimenti dirigenziali a seguito di reclamo vengono inviati all’Ufficio Scolastico provinciale, per consentire l’esercizio del suo potere di vigilanza. Nell’ipotesi che l’istituzione scolastica sia invece chiamata in giudizio, la difesa spetta all’Avvocatura distrettuale dello Stato, che in tanto potrà spiegare una compiuta difesa, poiché abbia a disposizione tutti i documenti necessari a dare conto della corrispondenza tra i parametri valutativi fissati a inizio anno e il giudizio finale espresso sull’alunno: dunque, saranno di fondamentale importanza i registri personali dei docenti riferiti alla posizione dell’alunno, le pagine del registro di classe ove siano annotati comportamenti dell’alunno rilevanti ai fini della valutazione finale (se ci siano stati, ad esempio, provvedimenti disciplinari a suo carico), i verbali dei consigli di classe, nelle parti in cui si parla dell’alunno, ovvero i piani d’intervento individualizzati (corsi di recupero ecc.), le comunicazioni alla famiglia. Da quanto fin qui esposto, appare chiaro che esistono disposizioni di legge e normative per la valutazione scolastica che il Docente deve conoscere. Quest’ultimo non può agire per «sentito dire» o «perché così ha sempre fatto», ma nel rispetto della Legge. Quindi, quanto più scrupoloso è stato nella redazione degli atti nel corso dell’anno, tanto minori saranno le possibilità che il TAR accolga le istanze di eventuali genitori «insoddisfatti». Appare anche chiaro che il momento della valutazione va affrontato con grande senso di responsabilità, in maniera serena e senza pregiudizi, senza dimenticare che il voto è destinato all’incoraggiamento ad apprendere, non a stigmatizzare soltanto il non appreso, a volte «Gli spiragli di luce indicano, la strada meglio del sole accecante».

Angela Giardinaro (dal giornale, “La scuola e l’uomo”, organo ufficiale dell’UCIIM)








Postato il Martedì, 27 novembre 2012 ore 08:00:00 CET di Angelo Battiato
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