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Umanistiche: Dell’antifascismo 'filosofico' di Benedetto Croce. Un chiarimento storiografico

Redazione
Ho avuto modo di ringraziare privatamente il compianto amico sociologo Carmelo Rosario Viola per la sua recensione molto densa e brillante di un mio lungo saggio su Benedetto Croce pubblicata sul quotidiano "Rinascita" ( "Benedetto Croce e la biologia del sociale. Un lavoro critico e analitico dello studioso Salvatore Ragonesi sul filosofo liberale" ), poco prima della sua improvvisa scomparsa, che mi ha dato l'occasione di riformulare con sincera convinzione Il quesito se fu vero antifascismo quello di Benedetto Croce. Riprendo adesso i miei appunti che avevo accumulato e poi accantonato in seguito alla grave perdita del dottissimo e acutissimo amico sociologo , al quale il filosofo napoletano, come a tanti altri intellettuali italiani, compresi per esempio Ludovico Geymonat e quelli della sua scuola, non era molto simpatico per ragioni culturali e filosofiche.

La cultura nazionale conserva invece, a parer mio, in Benedetto Croce un patrimonio assai prezioso, al quale possiamo attingere nei momenti di forte difficoltà politico-culturale o semplicemente rivolgere uno sguardo più distaccato nei momenti di pacata normalità, in quanto esso vive in tutte le stagioni della nostra esistenza storica ed è davvero una gloria del nostro Paese, una fonte di ispirazione imprescindibile per l'azione di coloro che richiedono una prassi capace di raccogliere e mettere a frutto tutti i germi positivi di una tradizione liberale seria e vigorosa. Anche a proposito della posizione di fronte al fascismo ed alla lotta teorico-pratica alla dittatura, ritengo che sia utile tener conto di quella fonte per succhiare un ottimo nutrimento, senza lasciarsi traviare da chi, per avversione preconcetta, tende ad annullare o semplicemente oscurare quello che è stato ed è l'antifascismo chiaro e distinto di Benedetto Croce.

Carmelo Rosario Viola dice correttamente che "bisogna dare a ciascuno il suo" e perciò ritiene che sia opportuno restituire al "poderoso e pesante Croce" i giusti meriti e metterli in luce con probità intellettuale e senza ricorrere ai tradizionali pregiudizi scolastici che spesso e volentieri ne hanno fatto un alieno rispetto alla cultura nazionale ed in particolare a quella antifascista. Io posso solo aggiungere che bisogna attribuire a Croce la netta contestazione sia dello Stato etico di marca hegeliana che del truce razzismo e nazionalismo di marca nazista;e precisare poi che il suo antifascismo si delinea con chiarezza già nel 1925, l'anno in cui egli prende una definitiva e decisa posizione contro la dittatura fascista scrivendo il famoso "Manifesto degli Intellettuali Italiani Antifascisti" del primo maggio in risposta al gentiliano "Manifesto degli Intellettuali Fascistici"del 21 aprile 1925. Scriveva in quel "Manifesto" il filosofo napoletano: "Gli intellettuali fascistici, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agli intellettuali di tutte le nazioni per spiegare innanzi ad essi la politica del partito fascista. Nell'accingersi a tanta impresa quei volenterosi signori non debbono essersi rammentati di un consimile e famoso manifesto che, agli inizi della guerra europea, fu bandito al mondo degli intellettuali tedeschi : un manifesto che raccolse allora la riprovazione universale, e più tardi dai tedeschi stessi fu considerato un errore[...]Nella sostanza, quella scrittura è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocinamenti [...] o come dove, con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degli individui al Tutto [...] E lasciamo da parte le ormai note e arbitrarie interpretazioni e manipolazioni storiche"(B.Croce, "La protesta contro il Manifesto degli intellettuali fascistici", in "La Critica", anno XXIII, 20 settembre 1925, pp.310-311).

L'attività antifascista di Croce continua con la mirabile "Storia d'Italia dal 1871 al 1915" del 1928, nella quale viene esaltata la grandezza dell'epoca giolittiana di fronte ed in contrasto alla squallida miseria del regime fascista;e poi con la sorprendente "Storia d'Europa nel secolo decimonono" del 1932, che è un testo di denso impegno etico-politico e di straordinaria qualità liberale e quindi con la sublime e ineguagliabile "La storia come pensiero e come azione" del 1938, nella quale si insegna a scrivere ed usare la storiografia per comprendere e sapersi orientare nel mondo in cui " bisogna compiere la propria missione e il proprio dovere".

Il "Perché non possiamo non dirci cristiani" del 1942 rimane un saggio notevole non solo per complessità, ma anche per profondità di visione intellettuale e per radicamento morale. Esso alimenta la politicità oppositiva e l'attività teorico-pratica della seconda fase della vita e degli studi di Croce. Ma bisogna intenderlo bene, questo saggio, al di là del titolo facile e orecchiabile che induce ad una falsa e banale interpretazione del suo contenuto. Nei miei interventi su Croce ho cercato di offrire, almeno lo spero, una corretta interpretazione di ciò che per lui significa Cristianesimo nella sua accezione civile, morale e religiosa, e nello spazio della grande storia dell'umanità, che acquista coscienza, libertà e dignità proprio attraverso la rivoluzione cristiana:"Gli è che, sebbene tutta la storia passata confluisca in noi e della storia tutta noi siamo figli, l'etica e la religione antiche furono superate e risolute nell'idea cristiana della coscienza e della ispirazione morale, e nella nuova idea del Dio nel quale siamo, viviamo e ci moviamo, e che non può essere né Zeus, né Jahvé, e neppure (nonostante le adulazioni di cui ai nostri giorni si è voluto farlo oggetto) il Wodan germanico; e perciò, specificamente, noi nella vita morale e nel pensiero, ci sentiamo direttamente figli del cristianesimo [...] E il Dio cristiano è ancora il nostro, e le nostre affinate filosofie lo chiamano lo Spirito, che sempre ci supera e sempre è noi stessi" (B.Croce, "Perché non possiamo non dirci cristiani", in "Discorsi di varia filosofia", Laterza 1959, primo vol., pp. 22-23).

Non è possibile occultare, attenuare o svilire l'azione antifascista e resistenziale (nel senso di una resistenza "chiara" e "sistematica" ) svolta da Croce in tempi non sospetti, quando essa era rischiosa e richiedeva coraggio, mentre quasi tutti i grandi intellettuali in Italia ed in Europa stentavano a prendere coscienza e posizione di fronte ai gravissimi pericoli costituiti da quel tipo di barbarie rappresentata dai regimi nazifascisti. Egli compì invece in Italia l'operazione intellettuale di svelamento della vergogna che era emersa con Mussolini dopo il delitto Matteotti e che si profilava e si attuava in Germania con Hitler, e seppe combattere apertamente la sua battaglia culturale e politica prima di altri in Europa, e non usò il metodo nicodemico dell'adesione di giorno e dell'opposizione di notte, come fecero, in verità, molti intellettuali che poi lo criticarono per il suo antifascismo "tiepido"; e incolore , e indicò la via della lunga e dura resistenza come liberazione dal Maligno. Per lui, persino l'ambiguo "Discorso del Rettorato" tenuto dal filosofo Martin Heidegger a Friburgo nella primavera del 1933 fu cosa stupida e servile e svelò la presenza, pure nell'alta cultura germanica, di un male radicale che solo la forza del divino avrebbe potuto estirpare: "Il Prof. Heidegger non vuole che la filosofia e la scienza siano altro, per i tedeschi, che un affare tedesco a vantaggio del popolo tedesco [...] Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust cattedratico, egli che nei suoi libri non ha mai dato segno di prendere alcun interesse o di aver alcuna conoscenza della storia, dell'etica, della poesia, dell'arte, della concreta vita spirituale nelle sue varie forme [...] oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero autore, l'umanità [...] E così si appresta o si offre a rendere servigi filosofico-politici; che è certamente un modo di prostituire la filosofia, senza con ciò recare nessun sussidio alla soda politica, e anzi, credo, neppure a quella non soda, che di codesto ibrido scolasticume non sa cosa farsi, reggendosi e operando per mezzo di altre forze, che le son proprie" (B.Croce, "Die Selbstbhauptung der deutschen Universitaten", in "La Critica", XXXII, 1934, p.69). E cita, traduce e condivide le parole assai impegnative tratte dal saggio di Karl Barth "Theologische Existenz heute" in cui il teologo manifesta la sua fedeltà a Dio, anziché al Terzo Reich di Hitler ed a qualsiasi altro padrone terreno: "Ben diverso atteggiamento è quello del teologo Karl Barth, che dice il fatto loro ai Deutschen Christen, ai tedesco-cristiani, pronti a gridare che la chiesa evangelica deve servire alla fortuna del popolo tedesco e del terzo Impero, a richiedere un capo, una sorta di papa, che fermamente li governi nella nuova vita cominciata con la primavera del 1933[...]I Barth degnamente tutela l'indipendenza della teologia, mentre il prof. Heidegger si è affrettato a far getto di quella della filosofia" (B. Croce, articolo cit., in "La Critica", XXXII, 1934, p.70).

Nessun filosofo in Italia, e forse neppure in Europa, osò dire apertamente nei tempi "giusti" quello che Benedetto Croce disse sul fascismo, sul nazismo e sugli intellettuali che direttamente o indirettamente li appoggiarono, e che non furono pochi, come dimostra del resto l'ingloriosa vicenda del "giuramento" dei professori universitari italiani. Da appassionato germanista, egli accusò aspramente la cultura tedesca di servilismo e di collaborazionismo e respinse energicamente le teorizzazioni sul primato della stirpe tedesca: "Caro Signore, all'umanità importa l'uomo e non l'uomo tedesco, l'uomo e non l'animale o una nuova varietà di animale; e se nell'uomo persiste o di nuovo si forma l'animale, l'umanità dovrà lavorare a dissolverlo e risolverlo in sé. Le state apparecchiando dunque, voi tedeschi, una bella fatica aggiunta alle altre che ha già sulle braccia! E aspettate anche che noi vi presentiamo di ciò i nostri rallegramenti e vi esprimiamo la nostra ammirazione" (B. Croce, "Filosofia e storiografia nazionalsocialista", in "La Critica", XXXII, 1934, p. 308). E così in altri interventi apparsi sulla sua celebre rivista, dei quali purtroppo il Viola non ha potuto tener conto nel suo commento critico; mentre la scuola italiana non ha saputo fornire adeguati strumenti di lettura e di conoscenza delle opere crociane, né ha saputo informare in modo corretto circa la reale natura dell'antifascismo di Croce e della sua resistenza morale e intellettuale alla dittatura. Certo, Croce non andò in esilio né organizzò un movimento armato di opposizione, ma la sua presenza venne ugualmente avvertita ed avversata e fu capace di rompere antichi legami accademici e di essere oggetto di riflessione e punto di riferimento intellettuale e civile.

Mi dispiace che il carissimo e indimenticabile amico e grande intellettuale Carmelo Rosario Viola , la cui scomparsa costituisce una grave perdita soprattutto sotto il profilo critico e teoretico grazie ai suoi pregevoli saggi di sociologia della politica, abbia tenacemente deciso sino alla fine dei suoi giorni terreni di sottovalutare tutto il valore antifascista e resistenziale dello storicismo crociano, che invece riceveva consensi internazionali e quelli nazionali di Norberto Bobbio nel suo sintetico "Profilo ideologico del Novecento", là dove indica opportunamente in Croce il "risvegliatore di coscienze contro la dittatura", naturalmente a cominciare dalla svolta del 1925, nella nuova fase della sua esistenza, quando "fiorì la seconda e più ricca e rigogliosa stagione del lungo magistero di Benedetto Croce, che fu sostanza morale dell'antifascismo italiano, non tanto come restauratore dell'idealismo quanto come filosofo della libertà" (cfr. N. Bobbio, "Profilo ideologico del Novecento", in "Storia della Letteratura Italiana", IX, 1987, soprattutto il capitolo "Croce oppositore", pp.121-127 ).

Le note autobiografiche("Il contributo alla critica di me stesso") pubblicate da Croce in opuscolo nel 1945 e ristampate in appendice agli scritti di "Etica e Politica" nella quarta edizione Laterza del 1956, ripercorrono fedelmente lo svolgimento del suo antifascismo e testimoniano la sua risoluta e continuata opposizione al regime dittatoriale: "Da parte mia, scrissi il Manifesto degli intellettuali antifascisi, che fu pubblicato il primo maggio 1925 [...] feci quanto ancora si poteva fare nelle ultime manifestazioni dei partiti e del parlamento, nei consigli e nei congressi del partito liberale, nella stampa ancora semilibera per qualche tempo, e nel Senato, dove votai contro le leggi che sopprimevano la libertà di associazione e di stampa, contro quelle del tribunale speciale e della pena di morte e le altre simili, contro la cosiddetta riforma elettorale che distruggeva l'elettorato, e infine pronunziai l'unico discorso che si udisse nel parlamento italiano di critica alla conciliazione e al concordato con la chiesa di Roma [...].Neppure chiusi del tutto l'orecchio in Italia e tra gli esuli dall'Italia a coloro che vagheggiavano azioni più prontamente risolutive e cospiravano (B.Croce, "Contributo alla critica di me stesso", in "Etica e Politica", Laterza 1967, p369).

I punti di debolezza nel pensiero crociano esistono, certo, in sede teoretica e Viola li ha indicati con precisione scientifica, ed io stesso laicamente li ho evidenziati assieme ai notevoli meriti di uno storicismo del tutto rinnovato rispetto a quello tedesco pericolosamente giustificazionista e relativista. Ma si tratta più di lievi contraddizioni e di piccole cadute (generalmente corrette ed eliminate dallo stesso Croce) che di grossi macigni sulla via della sua teoresi. Croce non appartiene mentalmente al secolo del romanticismo feroce, ma a quello dell'Enciclopedia, come Kant e, come lui, è "figlio della terra" che conosce i suoi limiti, e sa correggerli, guarda verso il cielo ed è l'erede di un razionalismo che non distrugge la storicità dell'esistere e la puntuale determinatezza del fatto storico. E come le vere categorie apriori di Kant restano in sostanza quelle presenti nella ragione teleologica, e il suo imperativo morale è quello categorico, così le essenziali categorie crociane sono raccolte nell'idea apriori dell'anima razionale come principio sintetico apriori regolativo e costitutivo di ogni attività. Anche il processo politico rientra nella produzione e nell'apprezzamento del bene, proprio in virtù di un suo apriori che ne sorregge il giudizio e che nella sua validità oggettiva realizza e raggiunge una convergenza di teoria e di azione. Perciò il nazifascismo ha ricevuto da lui, accanto a quello etico di Male Assoluto, il giudizio politico di Volgare Brutalità, che lo bolla in ogni sua dimensione. Etica e politica sono anche i due aspetti indissolubili del fare opposizione al fascismo.

Benedetto Croce ha potuto sopportare con serenità, senza farsene poi un vanto particolare, tutti i fastidi, le persecuzioni e le ingiurie del regime fascista, quando molti "antifascisti" crollavano: "La mia opera di pacata e ragionata opposizione mi ha meritato riconoscimenti di vario genere dalla parte che avversavo, vale a dire accresciute e ormai utilizzate contumelie che accompagnano il mio nome quasi come epiteti omerici; irruzioni notturne nella mia dimora di gente maleducata ma ben addestrata a destare dal sonno donne e bambini e a fracassare vetri e mobili; esclusione da ogni incarico pubblico e dagli istituti stessi scientifici, ai quali da lunghi anni appartenevo e ai quali solevo dare assidua collaborazione; esclusione dei miei libri, anche puramente letterari e filosofici, dalle scuole e dalle biblioteche scolastiche; divieti o paure di mentovare il mio nome [...] Di questi e consimili effetti non è da far meraviglia, come non ci si meraviglia che per l'acquisto di una merce si paghi l'equo prezzo"(ibidem, p. 371).
Con Kant Benedetto Croce instaura un rapporto di tacita empatia intellettuale, che ha notevoli e indubitabili risvolti etico-politici e che ne ristabilisce la supremazia filosofica su Hegel, dopo il tragico fallimento cui era andato incontro lo storicismo tedesco dei Meineche. E qui, di nuovo, s'innesta la forte tensione politico-religiosa, quella che gli permette di scrivere vari saggi sulla difesa della Virtù, e che tende a resuscitare quel Divino che è nel cuore dell'uomo in radicale opposizione ad ogni sopraffazione. Ed egli contrasta il Male con tutte le sue energie, come avviene nello scontro ultimo della Luce contro le Tenebre, di Dio contro il Demonio, dello Spirito contro la Carne. Così, per concludere, l'antifascismo di Croce assume un carattere fondamentalmente ontologico nel suo estremo e decisiv o impegno nella lotta etico-politica del Bene contro il Male. E questo è stato il motivo vero della sua universalità rifiutata da chi nutre una visione parziale e partitica della società, dell'etica e della politica.

prof. Salvatore Ragonesi








Postato il Venerdì, 18 marzo 2016 ore 03:30:00 CET di Michelangelo Nicotra
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