La tragedia del
crollo del ponte Morandi di Genova ha occupato le colonne e i
palinsesti di tutti i social, segnando a lutto il ferragosto del 2018.
Al doveroso ricordo delle vittime che hanno incontrato la morte in modo
inatteso e imprevedibile, si sono aggiunte amare critiche ai
costruttori e a quanti hanno il dovere di assicurare la manutenzione
diligente e costante.
E’ in pericolo la vita del cittadino e l’incuria imperversa. Anche
sotto i piloni del grande ponte di Modica e della nostra Autostrada
Catania-Messina (conosco bene quelli di Letojanni) sono state costruite
le case ed il pericolo è raddoppiato nella conta di eventuali danni,
come a Genova, ove l’immane tragedia ha fatto registrare non solo i
morti e i feriti, ma anche gli sfollati, perché costretti ad
abbandonare le abitazioni.
Camminare sui ponti, sospesi nell’aria tra le valli e i monti, fa
sempre tanta paura, eppure si esalta l’ingegno dell’uomo, il genio e
l’abilità del progettista che ha saputo costruire questi eccellenti
capolavori di architettura.
Quando i ponti cadono - e in questi anni il fenomeno si ripete - si
cercano subito le cause e s’inveisce contro l’imperizia del progettista
e le deficienze dell’impresa costruttrice. Si cercano le responsabilità
dei diversi attori e si attribuiscono colpe e condanne, ancor prima
delle indagini della Magistratura, Si prendono provvedimenti di
emergenza, si assegnano sanzioni e si mette in moto la macchina della
ricostruzione, recuperando i necessari fondi.
Non avviene tutto ciò nel mondo dell’educazione.
Il processo educativo e formativo che la scuola svolge è una “grande
opera” che vede in azione docenti educatori, progettisti, operatori,
tecnici, amministrativi.
Se tutto andasse bene, dovremmo essere fieri dei positivi traguardi e
delle innovazioni tecnologiche che aiutano la scuola italiana a
percorrere il sentiero della qualità.
Quando, invece, un ragazzo si perde – “la scuola, purtroppo, conta gli
alunni che perde”, diceva Don Milani, è come se fosse caduto un pilone,
una campata del ponte, e, dopo la caduta, non si raccolgono neanche le
macerie.
Sono molti i dispersi, i casi di abbandono, i ragazzi in crisi che per
il mancato successo nello studio si tolgono persino la vita.
Che cosa fa la scuola? Per alcuni docenti un ragazzo che non
frequenta è un peso in meno, una naturale selezione, e si trova anche
una giustificazione di vantaggio per potersi dedicare meglio agli altri
che rendono……
Anche se le responsabilità ci sono e si possono identificare i
colpevoli, nessuno interviene.
Il grande mantello del “sistema scolastico” copre, protegge e nasconde
tutto. La coltre dell’ovvietà prevale e domina, basta salvare il numero
e la scuola va avanti lo stesso.
Eppure la scuola pensata “di tutti”, unica, obbligatoria e… a parola
anche gratuita, non riesce ad essere, come dovrebbe, “scuola per
ciascuno”.
“Che io non perda nessuno di quelli che mi sono stati affidati” non è
soltanto un auspicio, ma è un dovere professionale, di chi crede a
quello che fa e con atto intenzionale educa, istruisce, forma, guida,
stimola, accompagna e si prende cura degli alunni affidati.
Come per i ponti il cedimento di un solo elemento strutturale mette in
pericolo tutta l’opera, così dovrebbe essere per la scuola e la perdita
di un solo alunno dovrebbe mettere in crisi la Comunità scolastica che
progetta piani di miglioramento e piani triennali di offerta formativa.
La medesima sollecitazione alla manutenzione ordinaria e straordinaria
che si richiede per i ponti e le infrastrutture, dovrebbe essere
rivolta anche all’edilizia scolastica, essendo ancora tanti edifici
insicuri e inadeguati e, ancor più, all’impresa di costruzione della
persona, di cui la scuola è spazio privilegiato e i docenti sono
artefici, architetti, ingegneri, professionisti e validi costruttori.
La scuola merita la medesima attenzione che si dedica ai ponti e alle
strade e forse anche qualcosa di più, mettendo in gioco il futuro dei
cittadini e della società del domani.
La metafora del ponte mette in evidenza la differenza tra il crollo di
un ponte, dove è immediato e visibile il danno provocato, e una cattiva
educazione, un mancato servizio, una scarsa cura e limitata
professionalità nell’arte di insegnare che provoca l’allontanamento di
un ragazzo dalla scuola, mortifica il suo entusiasmo, gli fa odiare
alcune materie per tutta la vita.
Questi vuoti rimangono incolmabili e tante carenze sono irrecuperabili.
I danni provocati da una mancanza di stile educativo, di attenzioni e
di accoglienza durano negli anni e lasciano delle profonde cicatrici.
Accanto ai tanti docenti bravi che costruiscono e fanno tanto bene c’è
a volte qualcuno che distrugge, che non guarda i suoi alunni, che non
entra in sintonia con la classe, che non pensa al futuro dei ragazzi
che gli sono stati affidati e si limita a trasmettere nozioni, senza
incidere sull’educazione e su un efficace apprendimento, capace di
modificare il modo di pensare, di sentire e di agire.
L’insegnamento senza apprendimento è sterile e infruttuoso e per
incidere sulla formazione degli studenti e sullo sviluppo delle loro
competenze, occorre un’alta professionalità, curata anche da una
costante formazione e da un diligente percorso di aggiornamento.
Se i ponti e il calcestruzzo dopo cinquant’anni invecchiano e devono
essere abbattuti e ricostruiti, così dovrebbe avvenire per la scuola
con un ricambio adeguato e una qualificata classe docente nuova,
fresca, carica di energia e di entusiasmo; caratteristiche che non
appaiono in certi docenti, che sono stanchi e, in attesa della
pensione, vivono la scuola come un peso da cui liberarsi.
Rifacciamo i ponti, utilizziamo il meglio che abbiamo, valorizziamo le
conquiste ottenute e andiamo avanti .
Giuseppe Adernò