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Nuove Tecnologie: Ha senso brevettare il software??

Rassegna stampa

Chi e perché vuole brevettare il software in Europa e altrove
di Renzo Davoli* - 21.09.2003


Numeri sui quali riflettere:

-più di 250.000 persone hanno firmato una petizione contro questa direttiva

-una alleanza di più di due milioni di piccole e medie imprese si sono schierate contro questa direttiva

-sono già stati rilasciati dall'ufficio brevetti europeo (EPO) più di 30.000 brevetti sul software.
Questi brevetti ora non sono validi ma potranno essere immediatamente operativi se passa la direttiva.

La maggior parte sono brevetti di multinazionali statunitensi.

Chi vuole questa direttiva:
-le multinazionali dell'ICT: tramite accordi di cross-licensing non si fanno la guerra fra loro ma eliminano dal mercato le piccole e medie imprese

-gli uffici brevetti: assumono maggiore importanza

-associazioni di avvocati: ottengono maggiore business dalle diatribe sui brevetti software

Chi non vuole questa direttiva:

-le piccole e medie imprese: non possono difendersi contro gli uffici legali delle multinazionali

-chi fa ricerca in campo informatico: ogni programma pubblicato corre il rischio di incappare in azioni legali e il singolo studioso non ha ne' i soldi ne' il tempo di poter difendere la propria opera. Anche le grandi aziende dirottano capitali dal settore ricerca e sviluppo verso gli uffici legali.

-chi produce software libero: questi non hanno ricavi dalle licenze dei loro programmi e quindi non possono ne' pagare royalty ne' uffici legali.

   

La gabbia dei brevetti arriva a Bruxelles: dal software a ogni forma di pensiero  di Renzo Davoli* - 21.09.2003

Mercoledi' prossimo al Parlamento europeo si voterà una direttiva sulla brevettabilità del software. È una norma pericolosa per la ricerca informatica, l'economia e per la libertà di pensiero e di parola. Che la direttiva McCarthy non sia universalmente condivisa lo si può notare dalle numerose azioni di protesta in corso. La petizione coordinata a livello europeo da swpat.ffii.org ha già raccolto più di 250.000 firme di singoli cittadini e l'adesione di associazioni di piccole e medie imprese che rappresentano più di due milioni di aziende.

Se un numero così elevato di persone si mette a protestare su un tema così tecnico dovrebbe suonare un campanello di allarme: la direttiva proposta preoccupa molti se non tutti gli addetti al settore per le possibili implicazioni nel campo della libertà di ricerca, di mercato e nel campo dei diritti fondamentali dell'individuo, libertà di pensiero e di parola.

Il software è una espressione del pensiero umano, una forma di cultura.Il software non è un oggetto, non occorrono immobilizzazioni tecniche per scrivere software, il costo marginale per produrre una copia ulteriore è minimale. Un programma è un testo che rappresenta un algoritmo in un linguaggio specifico. L'algoritmo è la descrizione di una sequenza di passi che realizzano il metodo per la soluzione di un problema. Non c'è nulla di industriale né nel programma né nell'algoritmo. Il software ha la stessa natura della letteratura, della musica. Si possono brevettare le macchine che producono rapidamente Cd-Rom con opere letterarie o Cd musicali ma non il brano letterario o musicale: quelli sono coperti dal diritto di autore.

Se si brevettassero ritmi, idee armoniche, schemi narrativi o generi letterari ogni autore dovrebbe conoscere tutti i brevetti concessi per evitare di pubblicare un'opera che verrebbe attaccata dagli uffici legali dei detentori dei brevetti. Sarebbe lavorare su un campo minato.

Tutte le volte che si scrive un programma si usano centinaia di concetti e di metodi che sono frutto della esperienza, della conoscenza e dell'estro dell'autore. Occorre tenere conto che l'EPO (European Patent Office - Ufficio Europeo Brevetti) ha
gia' concesso contro la normativa attuale più di 30.000 brevetti sul software per ora sono di fatto nulli ma diventeranno operativi all'indomani della ratifica della direttiva McCarthy. La maggior parte dei brevetti depositati appartiene a multinazionali statunitensi.

Sono brevetti vaghi che proteggono entità basilari, concetti di uso comune nello sviluppo dei programmi. Per fare un esempio il brevetto EP 0394160: "Dynamic progress marking icon" gia' rilasciato dallo European Patent Office protegge ogni icona che marca dinamicamente il progresso di una attività (in Inglese, copia e incolla dal testo del brevetto: "this invention is an icon which dynamically marks the progress of a monitored computer task").

Questo brevetto protegge le barre di avanzamento, quelle barre che si colorano a man mano che una operazione viene svolta, per esempio quelle che vedete durante l'installazionedi un programma. Se passa la McCarthy occorrerà aspettare il 2010 per poter inserire barre di avanzamento in un programma o fare un accordo di licenza con la IBM prima di
pubblicare il programma stesso.

Anche questo deve fare riflettere: perché multinazionali americane avrebbero depositato decine di migliaia di brevetti nulli in Europa se non in attesa di una direttiva europea che li legalizzi? A cosa serve questo immane investimento se non ad appropriarsi di un mercato?

Negli Stati Uniti dove c'è già una forma brevettuale sul software le grandi aziende hanno accordi di "cross licensing", cioè non si fanno la guerra fra loro, ma usano l'arma brevetto contro le piccole e medie imprese per eliminare la concorrenza e per appropriarsi di tecnologie innovative.

La deriva culturale che sta alla base di questa direttiva è ancora più pericolosa della direttiva stessa. Brevettare idee non ha senso. Pensate al giudice che si trova a dirimere una causa in materia di brevetti software: quali elementi ha per giudicare? Le similitudini funzionali fra oggetti fisici sono molto più chiare delle analogie tra idee.

Pensate a un brano musicale. È facile stabilire se è frutto di plagio (una sequenza è stata testualmente copiata da un altro brano) ma andare a sindacare se e quanto il brano è stato influenzato o appartiene a un genere musicale è materia da critica musicale, non da brevetti, non da tribunali. È un giudizio che può essere molto soggettivo.

Così un programma: una pallina che rimbalza o uno schermo che cambia colore per indicare l'avanzamento di un processo è concettualmente equivalente alla barra di avanzamento?E' coperto dall'EP 0394160?In questi casi il giudice sarà fortemente influenzato da altri parametri oggettivi quali numero dei brevetti in campo o quantità di documentazione portata in supporto o dalla forza di convincimento presente nelle istanze dei contendenti. Sono parametri inevitabilmente correlati alla potenza economica. Chi ha il servizio legale più efficiente e meglio pagato vince. In breve: chi ha i soldi vince.

A questo punto a breve-medio termine i rischi sono chiari: la chiusura di molte piccole e medie imprese, la progressiva eliminazione del software libero. Il software libero e open source infatti non può pagare royalty per ogni copia perché
la licenza d'uso non ha un costo ne' gli sviluppatori possono pagare uffici legali.

Abbiamo una grande ricchezza in Europa, siamo ai primi posti per cultura informatica. Un recente studio della Università di Maastricht ha mostrato che in Europa lavorano il 71% degli sviluppatori di software libero mentre solo il 13% sono nordamericani. Questi sono veri innovatori, persone capaci di creare software.

La discussione in atto ha forse radici più profonde. Pone sul piatto della bilancia due diverse visioni filosofiche del software: quella più propriamente europea che vede il software come cultura e quella più americana di software come prodotto. Anche in Europa si sta tentando di convincere l'opinione pubblica che il software sia un prodotto. Pensate alla patente europea che vede nelle abilità informatiche la capacità di essere ammaestrati ad usare quattro programmi.
Sarebbe come pretendere che l'insegnamento delle abilità matematiche fosse relegato al corretto uso della tastiera di una calcolatrice.

Questa ricchezza di persone che conoscono veramente il linguaggio dell'informatica corre il rischio di essere perduta per questo cambiamento culturale che porta sia a dissennate politiche scolastiche ma anche e soprattutto all'introduzione di monopoli basati sui brevetti.

Occorre difendere il libero pensiero algoritmico: la libertà di poter trasformare le proprie idee in programmi. Un programma scritto a partire da uno schermo nero deve essere di proprietà dell'autore, come un romanzo o un brano musicale.
È il pensiero la nuova frontiera. Se si brevetta il software, domani si passerà a brevettare le sequenze di Dna, ci hanno già provato.

Dovremo consumare silenziosi perché ogni espressione verbale, musicale, scritta, matematica o algoritmica che sia sarà clandestina: qualcuno potrà rivendicarne il brevetto.

 

*Renzo Davoli è professore associato di informatica nel Dipartimento di Scienza dell'informazione dell'Università di Bologna. L' articolo gentilmente concesso dall'autore all'Unità online non è brevettato ma soggetto al diritto di autore (secondo la licenza per la documentazione libera GNU v.1.1 e successive). 









Postato il Mercoledì, 08 ottobre 2003 ore 13:13:14 CEST di Salvatore Di Masi
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