La bellezza
salverà l'Italia
Forse
sarebbe meglio per tutti se partissimo, nei nostri giudizi, da noi
stessi, compiendo un’operazione che non compiamo molto spesso: quella
di
prestare attenzione alle nostre esigenze reali, alle nostre domande, a
quello
di cui, come persone e come cittadini giustamente preoccupati di
offrire
dell’Italia un’immagine migliore (che è quella che meritiamo) abbiamo
realmente
bisogno.
Io sono un cittadino fiducioso, e penso che se la fiducia vien meno
possiamo
andarcene tutti a casa, altro che 150 anni dell’Italia unita. Ho dunque
fiducia
nella giustizia italiana e penso che chi la amministra sappia che il
suo
compito è innanzitutto quello di accertare i fatti e di valutarne
secondo
giustizia (e non solo secondo legalità) la reale gravità.
La mia preoccupazione riguarda piuttosto il nostro paese, il futuro che
ci
aspetta, rispetto al quale la colpevolezza o innocenza di Berlusconi è
solo un
dettaglio.
A cosa ci porterebbe un moralismo senza bellezza? Dove mai potremmo
andare, noi
italiani, il giorno in cui calasse su di noi una cappa di legalismo
senza
giustizia, cioè senza la consapevolezza dello scarto che esiste tra la
giustizia,
che è un mistero, e le leggi, che sono il nostro modo precario e
perfettibile
di interpretarla? Noi, che abbiamo costruito questo splendido e
drammatico
paese sulla risorsa che più ci appartiene, ossia la capacità di
generare
bellezza, novità di vita, solidarietà anche nelle situazioni più
difficili?
La bellezza è qualcosa di più. E se dall’altra parte, sul banco degli
accusatori, siede una generazione di moralisti che possono avere
ragione su
tutti i punti ma questo non impedirebbe loro di produrre un’Italia
tetra e
senza slanci, senza amore e senza quella spregiudicatezza di cui
abbiamo
bisogno come dell’aria.
La questione vera si chiama: Bellezza. E’ questo il punto decisivo. La
più
bella definizione della bellezza che io abbia mai incontrato è di San
Tommaso
d’Aquino, ed è anche la più semplice: “Chiamiamo bello ciò che, visto,
piace.”
Occorrono
perciò, affinché ci sia la bellezza, due cose.
Una è il piacere. E’ necessario che la realtà susciti in noi una vera
attrattiva, che nasce a sua volta da una domanda, da un interrogativo.
Se la
realtà non suscita in noi nessuna domanda non ci sarà piacere vero, ma
solo la
sua caricatura estetizzante e superficiale, una consumazione delle cose
che
lascia soli e delusi.
L’altra cosa necessaria è quella che S. Tommaso chiama il “vedere”, la
“visione”. Ne parla Dante in tutta la sua opera. La donna amata dà
per li
occhi una dolcezza al core/ che ‘ntender no la può chi no la prova.
La
bellezza vera è un’esperienza alla quale è estraneo il possesso. Non
perché possedere
qualcosa sia sbagliato (è meglio avere una Ferrari che stare solo a
guardarla)
ma perché l’esperienza del bello ci rivela la realtà come qualcosa che
radicalmente non ci appartiene. Il senso ultimo di tutte le cose è
mistero.
La bellezza sta nel frammezzo tra la passione dell’uomo che investe la
realtà
con la sua voglia di conoscerla e dominarla e la consapevolezza che
essa è
mistero, e perciò non può essere veramente “nostra”. Attraverso il
bello noi
scorgiamo la presenza della Mano che fa le cose, e ne proviamo un
giusto
timore.
Questo
vale per l’arte e la poesia come per la matematica: ho sentito grandi
matematici raccontare l’esperienza straordinaria della bellezza che si
rivela
in certi momenti del loro lavoro, quando l’intero (di un teorema, di un
modello, di una teoria) si rivela come quando, durante una gita in
montagna,
usciti dal fitto del bosco d’un tratto il paesaggio si spalanca, e noi
vediamo
le cime, le vallate, i paesi, le aquile che volano, in alto.
Non voglio darmi al lirismo. Voglio solo dire che questa esperienza è
il
cemento che ha prodotto, nella libertà talora pacifica e talora
irrequieta e
perfino tragica, questa cosa eccezionale che chiamiamo Italia. Ed è
questo il
punto senza il quale interrogarci sul futuro del paese sarebbe solo un
triste
elenco di tutti i campi nei quali verremo inevitabilmente superati da
altri
popoli più intraprendenti e più vogliosi di riscatto di quanto lo siamo
noi.
Il
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