Ecco perché non farò mai l'insegnante
Diventa un libro lucido e disperante la ricerca di un professore di Pisa tra i suoi allievi
"Non farò mai il professore perché è un lavoro difficile, stressante e malpagato". "Da quello che posso vedere gli insegnanti lavorano molto ma il loro lavoro non è granché considerato né dagli studenti né dalla società"; "Io un insegnante? Con questo stipendio? Figuriamoci"; "Lavoro sgradevolissimo: insegnare a persone che non hanno alcun interesse per quello che dite e soprattutto lo stipendio, basso e mortificante". "Insegnare? No, decisamente no. Il pensiero di passare interi pomeriggi ad invecchiare sui compiti da correggere è per me un incubo". Scuola ancora in primo piano. In questi stralci dei compiti degli studenti di un liceo di Pisa, crolla il mito della scuola e della professione dell'insegnante. A decretarne il triste tramonto sono centocinquanta studenti ai quali il professore Gianfranco Giovannone ha proposto un sondaggio sotto forma d'esercitazione d'inglese nel quale chiedeva se da adulti, avrebbero scelto di fare gli insegnanti. Protetti dall'anonimato concesso dal professore, i ragazzi hanno espresso una valanga di giudizi negativi e salvo poche eccezioni, tutti gli allievi delle cinque classi hanno inesorabilmente fatto pollice verso con motivazioni che talvolta lasciano poco spazio ai commenti. Decisi, lapidari, caustici e, soprattutto, con molta chiarezza e nessuna incertezza, quasi tutti hanno rifiutato l'idea di seguire la carriera d'insegnante. Da questa rigorosa inchiesta Gianfranco Giovannone ha ricavato il saggio Perché non sarò mai un insegnante seguito da una postfazione di Giovanni Pacchiano che spiega perché lui invece ha fatto il professore (Longanesi, pagine 153, tredici euro). «I miei alunni del liceo scientifico ? dice il prof. Giovannone nella sua casa di Livorno - mi hanno detto chiaramente che non avevano nessuna intenzione di fare l'insegnante e il libro raccoglie le ragioni di questo rifiuto espresso nei loro componimenti. Le classi dirigenti e le classi medio alte in particolare, sfuggono a questa professione». Un vero ostracismo. Perché un rifiuto così drastico? «L'aspetto economico è in testa alle motivazioni. Oggi prestigio sociale e immagine professionale sono direttamente, spietatamente proporzionali alla capacità di guadagnare e di consumare, e non ci sarà alcun riorientamento di valori che potrà cambiare l'attuale stato delle cose. Come motivazione può essere poco sofisticata, ma questo è il vero limite e gli studenti lo ripetono fino alla nausea. Quando si parla di soldi per noi insegnanti, viene subito tirata in ballo la questione sindacale in maniera sprezzante, ma nella società d'oggi, ormai da tanto tempo i giovani, al di la delle posizioni ideologiche sul tipo di lavoro da svolgere, vorrebbero prima di tutto uno stipendio dignitoso. Nel libro ho scritto che quello attualmente percepito dagli insegnanti è uno stipendio simbolico: forse ho esagerato, ma mi sembra che la scuola, in tutti i sensi, viva ormai di eccessi negativi». Questa, immagino, non sarà la sola ragione che spinge i ragazzi a disertare il mestiere d'insegnante? «Ha un ruolo non secondario anche la vecchia storia dell'Italia che rifiuta i libri e l'istruzione. Fino a dieci anni fa non era così. Il declino della professione secondo la prima indagine IARD sulle condizione di vita e di lavoro della scuola italiana, si verifica anche a causa di una sempre maggiore femminilizzazione nel corpo insegnanti, e perché si alza sempre di più l'età media dei docenti. E questo indica una scarsissima desiderabilità sociale della professione». La mancanza d'interesse per l'insegnamento, non sarà determinata anche dall'attrazione esercitata da altri mestieri? «Molti dei miei ragazzi hanno scritto che vorrebbero fare gli sportivi, gli attori e le attrici; alcuni più pratici hanno individuato il loro futuro nella professione di dentisti o medici. Gli esempi che si vedono in giro fanno capo alla televisione, persuasore occulto del nostro tempo, che distribuisce illusioni a ritmo sfrenato». Ma forse siete voi insegnanti a non essere più dei modelli da imitare?? «La cosa che più mi ha amareggiato è proprio il fatto che non hanno alcuna memoria dei loro insegnanti. Non li ricordano, non li sentono, non li amano. Il maestro non è più un modello è questa è la grandissima causa del disamore dei ragazzi per la scuola. Uno degli studenti ha scritto che gli insegnanti sono degli alieni, un'enclave di bambinoni mai cresciuti». Ha provato a fare un mea culpa??? «Non si può addossare agli insegnanti colpe che non hanno. In Germania gli insegnanti di liceo sono molto valutati, in Italia assai meno. E non credo che gli insegnanti tedeschi o francesi siano eccellenti e noi dei cani. Personalmente sono contrario alla meritocrazia, ma quello che si sarebbe potuto fare negli anni passati, era eliminare le cosiddette mele marce. Ci sono tanti modi: favorire la mobilità, il pensionamento anticipato, metterli nelle biblioteche o negli uffici: secondo l'opinione pubblica c'è una corposa minoranza di persone che a scuola non ci dovrebbero stare, e recano un danno enorme». Da una ricerca l'Italia risulta agli ultimi posti al mondo per livelli di insegnamento.?. «Se uno poi va a leggere queste ricerche scorporando i dati, la situazione non è così catastrofica. La distanza con i paesi prima di noi a volte è minima; a volte dietro di noi c'è la Germania, la Francia, l'America. La differenza, secondo me, è tra i paesi emergenti come la Cina e l'India, e tutti i paesi occidentali». Sono più avanti di noi sul piano dell'istruzione? «Sembrerebbe di sì, anche se credo che molto dipenda dalla coesione della società attorno alla scuola e dalla disciplina con cui tutta la società rispetta l'istruzione, ed è molto dura nell'esigere dai figli risultati eccellenti a scuola. In America stanno importando abbastanza massicciamente insegnanti dalla Cina, soprattutto ingegneri informatici». Anche l'Italia finirà con l'importare insegnanti dalla Cina e dall'India? «Non è del tutto impensabile. Gli insegnanti delle materie scientifiche cominciano a mancare anche da noi». Francesco Mannoni
22/03/2005
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