Gli ambiti educativi,
all’interno della nostra
società, sono davvero moltissimi. Se il primo posto – dal punto di
vista non
solo cronologico (per il bambino), ma anche sociologico, antropologico
e,
diciamolo pure, ontologico – spetta senz’alcun dubbio alla famiglia,
non è però
certamente l’unico. La scuola, il doposcuola, l’oratorio, il centro
sportivo,
quello musicale sono altrettanti ambienti che, per vocazione o per
necessità, si
trovano rivestiti di una valenza prevalentemente e fondamentalmente
educativa.
Suo malgrado, e spesso inconsciamente, vi è anche la televisione: se,
una
volta, rivestì questo ruolo, oggigiorno non è né predisposta né
adeguata a
ricoprire tale incarico, e mostra – impietosamente – al mondo le sue
lacune. «L’educazione
è questione del cuore… i ragazzi si sentano amati»
ripeteva don Bosco. Inutile dire che tutto questo, parlando coi piedi
per
terra, è ancora lontano anni luce. I ragazzi sono – in buona sostanza –
visti
unicamente in base agli obiettivi, incasellati in tabelle precompilate,
che
devono raggiungere, da insegnanti preoccupati, più ancora che da
profitto e
comportamento degli allievi, dal ferreo adempimento dei programmi
ministeriali
(che, spesso, si rivelano una sorta di mission impossible,
che manda nel
panico i docenti e li spinge a non lasciare spazio anche alle più che
legittime
domande di chiarimento). Ed ecco che, per pressapochismo,
superficialità e malintesa
ricerca
di efficienza, ci dimentichiamo della cosa più importante: la persona
che
abbiamo davanti! Col suo capitale – di valore inestimabile – di
esperienze, di
vissuto, di sentimenti, di emozioni, di passioni, di vitalità. Non c’è
più
tempo per ascoltare l’emozione nella voce del ragazzo che si mette a
raccontarti di qualcosa che gli sta a cuore; non c’è n’è per assaporare
la
bellezza dei suoi occhi che s’illuminano per la passione più grande,
che gli
occupa tempo, mente e cuore, forse l’unica per cui sia disposto a
sacrificarsi
davvero (lo sport, la musica, un sogno per il futuro…); né, tanto meno,
potrà
esserci posto per far caso ai primi batticuori (bollati come gossip,
quando non emulazione del mondo adulto), testimonianza di quel
desiderio
d’amore vero che è di tutti e che arde in particolar modo negli
adolescenti. C’è una
cosa che i ragazzi faticano molto a fare, di cui hanno
tremendamente bisogno e che non impareranno mai, se nessuno trova il
tempo per
insegnargliela nell’unico modo possibile: saper ascoltare. Saper
ascoltare è
come saper amare: si impara per imitazione. Non è possibile poterlo
insegnare a
parole, darne un procedimento o farne un diagramma di flusso...
C’è tanta
apprensione per un brutto voto ricevuto,
ma mi domando: ce n’è abbastanza per la perdita di un’amicizia? Per
un’incomprensione in famiglia o tra compagni di scuola? Non
rischiamo a volte – noi per primi – di inculcare, già sui banchi di
scuola, una spietata logica della produttività (basata, appunto, sul profitto)? Accantonando
per il momento la mia perplessità sull’effettiva utilità
della scuola nel preparare al mondo del lavoro, senza dubbio c’è una
carenza
d’ascolto che denota una certa ‘massificazione’ anche in questo
aspetto. Se
ogni persona è diversa, con differenti propensioni, abilità, gusti e
interessi,
perché non sfruttarli anche in vista dello studio? Le passioni del
ragazzo sono
invece spesso sfruttate – unicamente – come ‘debolezze’ su cui rifarsi
in caso
di mancato successo e quasi mai diventano un rinforzo positivo (e
propositivo)
in occasione di un risultato soddisfacente. Nell’educazione
dobbiamo, del resto, tenere presente che l’empatia è fondamentale,
perché il
rispetto e la fiducia reciproca facilitano l’apprendimento (se il
ragazzo si
sente preso in considerazione, acquista autostima, prende l’iniziativa,
non
teme di far domande e in tal modo approfondisce le proprie conoscenze,
facendo
leva sul proprio interesse personale). E in
realtà,
tutto questo è da considerare vero per tutti, non solo per coloro che
sono
ritenuti o si ritengono educatori. Ognuno è chiamato ad essere – a suo
modo –
educatore, e dobbiamo esserlo gli uni per gli altri. Ognuno, infatti,
ha
conoscenze, competenze, abilità ed esperienze peculiari. Quindi,
scendendo dal
piedistallo – su cui siamo spesso issati per vanagloria – ci rendiamo
conto
dell’ineluttabile dato di fatto per cui, nonostante la nostra
conoscenza possa
essere vasta, ci saranno sempre tantissime cose che sfuggono al nostro
controllo, al nostro raggio d’azione o, semplicemente, al novero delle
esperienze finora computate.
E allora,
cosa c’è di più bello che lasciarci
guidare in nuove scoperte da qualche Virgilio, un amico più bravo di
noi a
districarsi in quel campo?
Maddalena
Negri