A Trieste un preside
serio ha vietato agli studenti
di venire a scuola sbracati. A metà maggio, all’Istituto tecnico navale
cittadino una circolare ammoniva: «Con l'approssimarsi della bella
stagione si
invitano allieve e allievi a indossare un abbigliamento adeguato
durante le
lezioni (…). Non saranno accolti studenti con abbigliamento da spiaggia
(spalle
scoperte, pantaloni corti o a mezza gamba)». Davanti al portone, un
bidello era
incaricato di rimandare indietro i contravventori.
Ma, qualche
giorno dopo, una trentina di protestatari si
è presentata vestita (si fa per dire) in dispregio alla norma. Il
bidello
(pardon: l’esponente del personale non docente) ha sbarrato l’ingresso
e quelli
hanno chiamato la polizia. Vicepreside e agenti sono addivenuti a un
compromesso: sarebbe entrato solo chi avesse firmato apposito foglio.
Solo in
otto hanno acconsentito. Come andrà a finire? La cosa finirà in mano
alla
magistratura? Saremmo tentati di dire: ma no, i magistrati hanno ben
altro da
fare. Ma sappiamo che non è così, perché il politicamente corretto
adisce
volentieri le vie legali. Chi ha un comportamento o atteggiamento o
abbigliamento scostumato è gelosissimo del proprio «diritto» e se ne
sbatte
allegramente di violare quello altrui (che sarebbe il sacrosanto
diritto di non
vedere certi spettacoli: l’osceno stupra il pudore altrui).
Eh, quel
preside non sa contro cosa si è messo. Ho
conosciuto un insegnante delle superiori che ha passato i guai per
avere detto a
una studentessa di quinta che quella era la scuola, non la discoteca.
Appunto
per l’abbigliamento disinvolto (diciamo così) e il maquillage vistoso.
La
giovine raccontò la sua versione al padre e al fidanzato, i quali
fecero un
esposto al preside, il quale richiamò l’insegnante in questione, il
quale
chiamò a testimone la classe, di fronte a cui si erano svolti i fatti;
la
classe solidarizzò con la giovine e l’insegnante fu chiamato dal
provveditore,
sul cui tavolo l’esposto era ormai giunto. L’insegnante, per sicurezza,
cambiò
mestiere.
Personalmente
ho frequentato un liceo il cui preside obbligava i maschi
a indossare la giacca e le femmine il grembiule. Anche la ricreazione
era
separata. Ma io mi sono diplomato nel 1969, quando ancora il disastro
non era
dilagato. Ho fatto tutto il liceo con la giacca. Chi non l’aveva, non
entrava.
E, se non entrava, a casa le buscava. Poi venne il Sessantotto, e a
buscarle
furono i presidi. Sì, perché il problema non sono i pargoli, ma i loro
genitori, come ben sanno quelli che di mestiere fanno gli insegnanti.
Povere
creature, a scuola non c’è (ancora) l’aria condizionata, hanno ragione
a
(s)vestirsi un po’ negligé. E poi, dove la mettiamo la creatività dei
giovani?
D’inverno vestono tutti, maschi e femmine, con scarpe di gomma, jeans e
felpa.
Tutti. Dunque, anche d’estate la loro fantasia deve sbizzarrirsi:
infradito,
pinocchietti e canottiera. Tutti. E poi, si sa, i tatuaggi ogni tanto
hanno
bisogno di prendere vento, senno’ quell’aria un po’ così da tagliagole
della
filibusta, orecchino e piercing compresi, dove va a finire?
Ai miei
tempi mio padre me le suonava se osavo contraddire il preside.
Già, ma erano altri tempi. Il secolo scorso, roba da guerre puniche.
Oggi la
mamma picchia il preside, perché i figli, data la loro rarità, sono
diventati piezz’e
core: «il bimbo», anche se si rade da almeno quattro anni.
Vanno
capiti, poveri pargoli, e assecondati, altrimenti si drogano, si
suicidano per
futili motivi, si vanno a schiantare il sabato sera. Un mio amico
insegnante,
di fronte all’ennesimo «impreparato» collettivo dell’intera classe,
fece notare
ai suoi studenti quanto segue: imparate a memoria, e senza sforzo, le
formazioni delle squadre di calcio e i testi delle canzoni inglesi;
perché non fate
lo stesso con lo studio? Risposta corale e indignata: ma noi siamo
ragazzi!
Già: una
volta la scuola serviva a farli diventare uomini, i ragazzi.
Oggi serve a farli restare «ragazzi» per sempre.
Preside di
Trieste, tu che sei del secolo scorso, non
sai che i tuoi studenti sono figli e nipoti dei Sessantottini? Non
insistere
con la tua crociata moralizzatrice (due termini odiosi ai
contemporanei,
perfino ai preti). Avrai contro non solo i destinatari di essa, ma
anche le
famiglie, il provveditore, il ministro, i sindacati e i media. Non ti
sei
accorto che la scuola italiana è ormai solo un parcheggio politicamente
corretto? Chi te lo fa fare? Penz’a salute!
Rino
Cammilleri (www.labussoloquotidiana.it)