Tra le altre
cose, la mia
scuola produce vino. Sulla prima collina, appena fuori città. Un posto
incantevole. Ma per gli studenti resta sempre una scuola e come tale è
inevitabile che se ne attenda la fine. Uno dei vini migliori che la
scuola
produce è dolce e rotondo, intenso e vivace al tempo stesso. E il suo
nome
traduce tutta l'atmosfera che gli studenti vivono a conclusione di un
anno:
"Ultimo giorno di scuola". Il grande Lucio fotografa quell'attimo in
un verso di una sua canzone: "All'uscita di scuola i ragazzi vendevano
i
libri". Da
qualche anno ho preso
l'abitudine di "rubare" un'ora al programma e di concedermi di
salutare per bene i miei ragazzi che finiscono la classe quinta. Ci
siamo
incontrati per 5 anni, alcuni anche 6 o 7, per più di 150 ore siamo
stati
insieme a ci siamo contagiati inevitabilmente l'uno con l'altro. Ci
siamo
confrontati, ascoltati, a volte accapigliati, ogni tanto sopportati. Ci
siamo
anche odiati certo, ma credo davvero che molte più volte ci siamo
amati,
accettandoci così come siamo. E questo ci ha fatto cambiare. Ci ha
fatto
crescere. Loro sicuramente, ma anche io. E ora che le nostre strade si
dividono, come ogni vero addio, sentiamo nostalgia e ci auguriamo di
poterci
ritrovare più avanti, per ridirci che quello che è successo in questi 5
anni ha
lasciato un segno, ha portato frutto. Già l'anno scorso, ma
soprattutto quest'anno, ho sentito che qualcosa però sta cambiando
nella
emozione che essi vivono quando ci si saluta. L'intensità, la dolcezza
e la
vivacità di quel vino si mischia a qualcos'altro, che non è facile
definire.
"Dopo 13 anni mi alzerò e non avrò cose organizzate da fare. Non so
prof.,
ma un po' mi spaventa finire la scuola". "Se si potesse farei anche
la sesta, perché davvero non so cosa fare adesso". "Bèh io un'idea ce
l'ho, ma non credo proprio che ce la farò, sarà dura e non so se ho
voglia di
fare tutta sta fatica, magari è meglio prendere quello che arriva senza
farsi
troppe menate in testa".
Qualche anno fa, all'«iper» in
un giorno sudaticcio di luglio. Una marea umana al rito religioso
settimanale,
come ogni sabato pomeriggio. Non ero sicuro di averlo intravisto bene e
di
scatto sono tornato con lo sguardo a cercarlo. Incredibilmente lui! Un
mio
studente diplomato tre mesi prima nella mia scuola con un buon voto,
come
tecnico grafico pubblicitario. Se ne stava lì nell'angolo dell'ingresso
seduto
per terra con tutto l'armamentario tipico del "punkkabbestia", cane
compreso. Il suo socio allungava la mano per chiedere qualche
spicciolo. E lui
scherzava con l'ammasso di pulci. "Sto qui per qualche mese a godermi
lo
spettacolo, prof!". Se ne era uscito con una frase che era un
programma.
"Poi comunque penso che lavorerò da un mio amico che fa tatù, ma per
ora
mi rilasso!"Cosa
sta succedendo a questa
generazione? Cercano strade praticabili che gli consentano di salvarsi,
di non
consumarsi troppo? Scovano strategie di sopravvivenza, per noi
impensabili, per
salvare la loro voglia di vivere in un mondo che vorrebbe
impacchettarla e
servirla già precotta? O semplicemente ci vengono a ricordare che
qualcosa non
va nel modo di vivere che gli stiamo offrendo? Loro sanno perfettamente
che la
vita li spinge a cercare un senso a ciò che sono e vogliono essere. Lo
sentono
nella pelle. Quel vino ha davvero corpo, energia, fantasia. Ma se
immaginano di
"stappare" la bottiglia è come se sapessero già tutto in anticipo
prima di poterlo sperimentare. E allora la loro freschezza, la loro
novità, la
loro fantasia vengono messe in freezer, per non sciuparle. Di sicuro quello che sentono è
qualcosa che sta a mezzo tra lo spaesamento, la rinuncia preventiva e
la paura
del tempo vuoto. Certo non sono tutti così. Ma anche quelli che hanno
una
prospettiva definita, la vivono con una sorta di "scelta dovuta".
"Penso che farò l'università, trovare da lavorare non è mica facile
oggi". "Beh io andrò a lavorare nella ditta di mio padre perché
l'alternativa che mi danno i miei sarebbe solo quella di continuare a
studiare
e non ne ho proprio voglia". Nella speranza che tra qualche anno
qualcosa
sia accaduto e abbia aperto un senso più personale. Come dire: io ho voglia di
vivere e di diventare grande, ma non so davvero che forma dare a questa
voglia
e così, per ora, mi adatto a ciò che di meno peggio trovo in giro. Per
loro,
già a 19 anni, la realtà e i desideri viaggiano su due binari paralleli
che non
si incontrano. Poi certo, lo so, in qualche modo una strada la
infileranno, ma
mostrano di sapere già che sarà un surrogato, o presa a prestito, o
uguale a
quella di altri milioni come loro.Però verso la fine dell'ora
Antonio oggi mi ha detto: "Non so davvero cosa farò, però so che io non
ho
voglia di vivere semplicemente quello che i miei hanno già vissuto.
Credo che
Dio sarebbe contento se io cercassi di fare qualcosa di nuovo, anche
solo in
una piccolissima cosa, ma qualcosa di nuovo".
di
Gilberto Borghi |VinoNuovo
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