Lo
Stato nordamericano dell'Indiana ha annunciato che da settembre, alla
ripresa
dell'anno scolastico, le scuole elementari che lo desiderano potranno
smettere
d'insegnare a scrivere con carta e penna. I piccoli di Indianapolis e
dintorni
impareranno a scrivere direttamente su una tastiera o sul touch di un
tablet.
Sarà loro insegnato, con la penna, soltanto a fare la propria firma. Le
autorità dell'Indiana si sono affrettate a precisare che la riforma non
impone
alcun obbligo: le scuole che lo desiderano potranno continuare con il
metodo
tradizionale. Ma è facile prevedere che la maggior parte delle scuole
vorranno
mostrarsi più "moderne" e "avanzate".
Come
si può immaginare, la riforma dell'Indiana ha scatenato feroci
polemiche. I
critici hanno osservato che l'uomo ha impiegato 175mila anni per
imparare a
scrivere, e che ora un governatore vuole abolire la scrittura in tre
mesi,
mentre altri sostengono che scrivere a penna aiuta a pensare, favorisce
la
lettura e migliora anche le capacità di pronuncia. Non manca,
all'estremo
opposto, chi vorrebbe generalizzare la misura dell'Indiana estendendola
a tutti
gli Stati Uniti argomentando che, per quanto non piaccia ai nostalgici,
un
adolescente americano di oggi usa la penna due o tre volte all'anno, e
sta
disimparando a usare le stesse tastiere dei computer tradizionali,
perché vive
con i sistemi touch dei cellulari di ultima generazione o dell'iPad e
dei suoi
fratelli.
In
questo dibattito, naturalmente, ci sono molte esagerazioni. Non si
tratta di
abolire la scrittura ma di cambiare il modo di scrivere. La penna non è
la
scrittura, è uno strumento al servizio della scrittura, e non è l'unico
possibile: basta pensare allo stiletto usato da greci e da romani. La
tastiera,
tradizionale o touch, è un sostituto della penna, non della scrittura.
La
scrittura, dunque, rimane. Ma resta anche vero che l'abolizione della
penna
rischia di accelerare il processo analizzato dal grande sociologo e
storico
gesuita Walter J. Ong (1912-2003), il quale - studioso del passaggio
dall'oralità primaria alla scrittura - temeva un regresso dalla
scrittura
all'oralità secondaria, cioè a un mondo dove le immagini sono più
importanti
delle parole e dove anche i diplomati e i laureati sbagliano spesso a
scrivere
e conoscono poco l'ortografia. Il passaggio dalla penna alla tastiera
non
abolisce la scrittura, ma rischia di aggravare le tendenze a una scarsa
familiarità con le strutture e le regole dello scrivere descritte da
Ong.
La
notizia che viene dall'Indiana mi spinge a chiedermi quante volte uso
la penna
in un anno. Più del medio adolescente americano, perché firmo spesso
documenti
e purtroppo anche assegni. Ma molto meno di quanto facessi dieci o
vent'anni
fa. Soprattutto con l'avvento di iPhone e iPad mi capita molto di rado
di
prendere appunti con la penna, anche se occasionalmente lo faccio
ancora. Uso
la penna, però, quando devo riordinare le idee su un tema difficile, il
che
sembrerebbe confermare - almeno nel mio caso - le tesi dei pedagogisti
americani che criticano l'Indiana e affermano che la penna aiuta a
pensare. Ma
qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un condizionamento che
viene dal
passato e che, se non i nostri figli, i nostri nipoti si abitueranno a
scrivere
e anche a pensare senza la penna, che resterà un oggetto da
collezionisti.
Personalmente
ritengo che, se da una parte le tastiere sostituiranno quasi tutti gli
usi
della penna - anche per gli assegni e le firme sono in arrivo versioni
elettroniche -, dall'altra la scrittura con le penne dovrà continuare a
essere
insegnata perché davvero aiuta a pensare. Hanno la stessa funzione
anche il
latino e il greco, e il rischio è che fra qualche anno scrivere a penna
prenda
posto accanto a loro fra le "lingue morte". La scrittura ha però
un'ultima speranza. Se devo trasferire a un altro quello che ho scritto
su un
computer userò normalmente la posta elettronica: tanto più se ho un
iPad, dove
non si possono inserire chiavette USB né collegare via cavo stampanti.
E la
posta elettronica può essere intercettata abbastanza facilmente. Se
tengo alla
mia privacy, molto meglio una lettera o un appunto. Qualche anno fa gli
americani mandarono in Sicilia degli esperti a studiare i modi di
comunicare
della mafia - i famoso foglietti detti pizzini - perché pensavano che
così
comunicasse al-Qa'ida. Ed era proprio così: Osama bin Laden
(1957-2011), come
Bernardo Provenzano, usava i pizzini e non i computer. Con buona pace
delle
maestre dell'Indiana, forse saranno bin Laden e Provenzano a salvare
l'insegnamento della scrittura con la penna nelle scuole. I pizzini, in
tal
caso, avranno avuto almeno un effetto positivo.
di
Massimo Introvigne - Bussola Quotidiana