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Didattica: Ma bocciare conviene soprattutto ai giovani

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di Erminio Riboldi - Bussola Quotidiana

 Nei giorni scorsi l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), rielaborando uno studio effettuato nel 2009 nell’ambito del Pisa (Programme for International Student Assessment), ha fornito un rapporto indirizzato ai paesi membri, nel quale ritiene di ravvisare nelle cosiddette “bocciature” un danno economico per i paesi dove la pratica è diffusa e un danno formativo per gli studenti bocciati. Rileva, inoltre, che, sia dal punto di vista educativo,sia da quello economico, altrettanto deleteria è la tendenza a trasferire gli studenti bocciati in altri istituti o in altri corsi di studio: in questo modo si rafforzerebbero discriminazioni sociali poiché nel cambiare scuola vengono penalizzati i bocciati socialmente svantaggiati, costretti a frequentare scuole meno efficaci dal punto di vista della qualificazione finale.
Questo è bastato perché su alcuni quotidiani si scrivesse del consiglio, dato dall’Ocse ai docenti, di non bocciare più; di scuole “all’antica” (tra cui , ovviamente quella italiana) e di altre che, invece, stanno abbandonando questo modello obsoleto. In realtà, la questione è vecchia (data almeno dal fatidico ’68), ma gli argomenti contro le bocciature scarseggiano e puzzano di tecnocrazia. Innanzitutto, in Italia le bocciature riguardano il 18% degli studenti (la media Ocse è al 15%) e il nostro paese si colloca al 22° posto tra i paesi Ocse: non si tratta quindi di cifre da capogiro o da terzo mondo. Inoltre, lo stesso rapporto Ocse consiglia l’alternativa dei corsi di recupero personalizzati o altre misure di sostegno, con questo ammettendo di fatto che vi siano studenti che, non adeguatamente preparati al termine di un anno scolastico, non meriterebbero la promozione a quello successivo.
Ma, come qualcuno si è già chiesto e come tutti i docenti sanno, se anche il recupero o il sostegno fallissero, perché lo studente proprio non studia, che si fa? Dietro a questo dilemma sta la realtà di una diversa percezione della scuola tra chi la ritiene, data la sua obbligatorietà di fatto e di diritto, un percorso prestabilito con esito certo e certificato (dove, però, si dovrebbe certificare soltanto l’avvenuta frequenza) e chi, invece, vede nella scuola il luogo nel quale si incontrano due volontà, quella di chi vuole imparare e quella di chi vuole insegnare.
Nella scuola del primo tipo prevale il conto economico dei costi che gravano sul paese, la rapidità del percorso scolastico e, a ben vedere, una notevole uniformità negli esiti scolastici. Meglio ancora se questi esiti fossero programmabili in termini qualitativi e quantitativi per meglio assecondare le richieste del mercato del lavoro: non stupisce che un organismo come l’Ocse, che si occupa di sviluppo economico, faccia sua questa idea di scuola, insistendo, magari sul fatto che sarebbe bene, una volta iniziata una scuola, andare fino in fondo e nei tempi previsti.
Nella scuola del secondo tipo, tutto questo passa in secondo piano; diventa più importante fare in modo che lo studente impari quel che serve per vincere l’ignoranza, scopra che senza fatica non si impara nulla, si senta incoraggiato a dare il meglio di sé e sia guidato a farlo dai suoi docenti fino a conseguire ciò che,con il suo lavoro, si è ripromesso di ottenere. Se questo non avviene, se lo studente non studia, il docente che intrattenga con lui un rapporto che si definisca veramente educativo, dopo aver esperito tutte le cure alternative (recupero e sostegno), non può evitare l’intervento chirurgico della bocciatura. Una cura, quindi, dolorosa, ma non una punizione né un rifiuto.
L’obiezione economicistica dei costi che le bocciature produrrebbero per la comunità, in questo tipo di scuola suonerebbe un po’ strana, come se si dicesse che per limitare i costi della sanità bisogna smetterla con gli interventi troppo costosi e puntare tutto sulle cure palliative. Per quanto riguarda la dimensione sociologica del problema, vale a dire il fatto che tra i bocciati siano più numerosi gli studenti di famiglie economicamente svantaggiate, è evidente che per costoro la non bocciatura non è una soluzione: arrivati in fondo a un percorso scolastico nel quale non hanno imparato nulla, si ritroverebbero con il classico pugno di mosche di fronte al mondo del lavoro. Al contrario,è proprio con questi alunni che una scuola del secondo tipo può dare i risultati migliori.
Per i docenti una scuola del primo tipo sarebbe una passeggiata, con poche soddisfazioni, quella del secondo tipo un impegno che permetterebbe di collaudare, verificandola, la solidità di una scelta professionale.









Postato il Martedì, 02 agosto 2011 ore 21:45:12 CEST di Marco Pappalardo
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