Adesso
speriamo che lei non mi faccia fare il solito tema: "Mi
parli delle sue vacanze". Vorrebbe proprio dire che siete davvero
prevedibili voi insegnanti: lo chiedete il primo giorno delle scuole
elementari
e continuate a chiedercelo il primo giorno di ogni santo anno delle
superiori.
Pensare che quest'anno potrei anche stupirla se davvero le dicessi come
ho
passato le mie vacanze: vorrei raccontarle di tutti i romanzi che ho
letto,
della bellezza d'aver incontrato uno scrittore come Kafka che dipinge
l'uomo
come un coleottero o di Voltaire che perse l'illusione sull'umanità ma
sopravisse al dispiacere. Oppure di Gogol che parlò dell'uomo dopo
averne
studiato la sua tristezza.
Come vede, prof,
questa volta ho optato per un'estate di studi, nonostante lei ci avesse
raccomandato assolutamente di riposare per ripartire più freschi l'anno
venturo. Il fatto è che a me lo studio piace, soprattutto quando
nessuno me
l'impone. D'estate mi capitano cose stranissime che durante l'anno lei
nemmeno
osa più sognare: sto sveglio la notte per leggere, tengo sempre un
romanzo a
portata di mano mentre viaggio, scarabocchio delle piccole poesie nel
mio
diario, dibatto sull'attualità con gli amici su Facebook e Twitter.
Potrei
quasi dirle – e lei stavolta non tarderebbe a credermi – che mi applico
più
d'estate che durante l'anno scolastico: sono gli assiomi indimostrabili
di chi
nella classe non siederà mai nella cattedra ma nell'ultima fila, quella
di chi
domani scriverà la storia.
Le dirò che io
quest'anno a scuola non ci volevo proprio tornare. Pensare che voi (lei
e i
suoi colleghi) mi farete perdere il primo mese di scuola per
ambientarmi (è
l'undicesimo anno che varco quella soglia!), che comincerete già dalla
seconda
ora a parlarmi degli esami di maturità quando mancano ancora tre anni,
che
parlerete male di Berlusca e dei suoi inservienti, che mi riempirete la
testa
della nuova Manovra e dell'incapacità del Governo di rappresentarci e
che
condirete il tutto intervallandolo con i vostri problemi familiari ed
esistenziali un po' mi fa incavolare.
Perché lei, prof,
dovrebbe sapere che sotto la mia faccia da asino ci sta un alfabeto di
desideri: di correre, di gridare, di piangere, di amare, di sognare, di
diventare grande, di sognare da capitano. Per fare questo le sue
frustrazioni
mi sono più d'intralcio che d'aiuto. Scusi se glielo dico, ma se ci
torno a
scuola è perché anche quest'anno – mi creda: non giochi con la bontà
degli
studenti – spero che la musica cambi per davvero. Io vorrei tanto
vederla
piangere mentre spiega la sua materia, scoprire dentro il suo sguardo
la
passione per quello che dice, inabissarmi nel suo entusiasmo per poi
scoprire
che lei è davvero quello che dice. Sentirmi raccontare di quando
Pasteur tratteneva
il fiato sopra il suo miscroscopio, di quando Cèzanne immobile e muto
scrutava
il mare dentro i suoi quadri, di quando Platone s'accorse di consumare
più olio
nella lampada che vino nella coppa. Quest'estate ho sognato tante notti
di
entrare in classe e scoprire che la mia prof crede
davvero che la vita abbia un
senso splendido da far sbocciare, che noi non siamo qui per caso, che
dentro
noi c'è un microcosmo meraviglioso da illuminare.
Quando penso che
alla mia età Mozart già componeva musica, Domenico Savio era già santo,
Alessandro Magno stava per vincere la battaglia di Cheronea e Pascal
già
scriveva opere, sento nascere la passione nel mio cuore. Le chiedo
solamente, prof,
che qualora lei non l'avvertisse questa passione mi faccia il piacere
di
starsene a casa quest'anno: s'inventi una scusa qualsiasi, ma ci faccia
il
favore di non scegliere ancora noi come destinatari della sua
frustrazione
esistenziale. C'abbiamo grandi aspettative noi ragazzi. E tanta
speranza che
qualche prof
entri in classe e ci faccia finalmente innamorare delle
cose più alte e nobili.
Di Berlusca ne parli pure. In sala docenti, però.
Don
Marco Pozza
(www.sullastradadiemmaus.it)