di Antonio Giuliano – Bussola
Quotidiana
Anche
quel
giorno si presentò ai sicari della mafia a testa alta. «Me l’aspettavo»
disse
prima che venisse freddato, regalando ai killer il suo ultimo sorriso.
Così il
15 settembre di 18 anni fa veniva ucciso nel quartiere Brancaccio di
Palermo
padre Pino Puglisi (1937-1993), il sacerdote più temuto dai boss
mafiosi. La
sua fierezza rivive oggi nell’opera che lui stesso mise in piedi
proprio
vent’anni fa: il Centro di accoglienza Padre Nostro guidato sin da
allora da
Maurizio Artale, il presidente. «Proprio in questi giorni di
commemorazione –
racconta raggiante – abbiamo inaugurato altri nuovi spazi per i ragazzi
disagiati. Ma è dura, le istituzioni non solo non ci aiutano: ci
ostacolano».
Don
Puglisi,
un uomo ostinato nella sua missione di servire Cristo nei ragazzi
sbandati e
negli emarginati, attingeva una forza inspiegabile nella preghiera che
poneva
alla base di ogni sua attività. Non a caso volle che il suo centro si
chiamasse
con le prime parole della preghiera di Gesù “Padre Nostro”. «Pensò –
spiega il
presidente Artale – che essendo la preghiera più conosciuta, anche dai
non
credenti, tutti potessero vederla concretizzata in un luogo fisico dove
chiunque
poteva essere ascoltato e accolto. All’inizio non era un posto dove
trovare
aiuto materiale: ma semplicemente un luogo di ascolto per i ragazzi
disagiati
del quartiere Brancaccio. Poi nel tempo abbiamo svolto ogni forma di
assistenza
anche per gli adulti: sociale, psicologica, legale previdenziale,
fiscale… Ci
preoccupiamo delle domande di lavoro per i giovani, del reinserimento
dei
detenuti e soprattutto delle mamme e dei bambini vittime di
maltrattamenti con
un centro ad hoc».
Un’ispirazione
dettata unicamente dall’esigenza di annunciare il Vangelo: «Tutto
nacque –
continua Artale - come una normale attività parrocchiale: don Pino
coinvolse
suore e laici a girare anche per le case, perché voleva che il
quartiere
sentisse una presenza viva della comunità cristiana. Oggi siamo
diventati punto
di riferimento: con tre sedi nelle periferie calde di Palermo, a
disposizione
di centinaia di famiglie. Siamo 70 volontari, di cui io sono il più
anziano (47
anni). E da poco abbiamo inaugurato un altro sogno di padre Puglisi, il
campo
di calcetto che in realtà è un centro polivalente con campi di basket,
pallavolo, tennis…».
Un’opera
che
già allora incontrava resistenze: «Don Pino – racconta Artale – era un
uomo
mite. Però dicono che l’unica volta che lo videro davvero arrabbiato fu
proprio
la mattina in cui fu ucciso. L’assessore ha testimoniato che era andato
da lui
per chiedere conto della scuola di Brancaccio e battè i pugni sul
tavolo.
Avvertiva probabilmente la fine imminente ed era esasperato dalle
inadempienze
dei politici. Ma aveva una pazienza e una disponibilità disarmanti.
Quando
incontrava i giovani era capace di ascoltarli per ore ed andarsene poi
senza
dire nulla, lasciandoli sconcertati. Poi dopo qualche giorno ritornava
da loro
con un libro, di filosofia o di narrativa, adatto alle loro domande…
Don Pino
sentiva la sua vocazione come un lavoro ed era determinato a portarla
avanti
anche da solo. Forse se avesse avuto più collaborazione, anche da parte
dei
suoi confratelli, la mafia avrebbe avuto ancora più filo da torcere.
Però lui
rimase a testa alta fino alla fine. Non faceva sconti a nessuno. Ma non
si
poneva con l’arroganza di chi sfida, bensì con la volontà di chi vuole
confrontarsi, anche con i criminali. Lui era nato e cresciuto a
Brancaccio, conosceva
tutti, e una volta lanciò apertamente dall’altare un appello ai
mafiosi: “Avete
dato fuoco al camion dell’impresa che stava facendo i lavori in
parrocchia. Ma
perché ce l’avete tanto con chi vuole rinnovare questo quartiere?
Venite fuori,
parliamone”. Come Gesù con la Maddalena, sapeva che era suo compito
cercare di
recuperare anche loro».
E i momenti
di tensione non sono mancati nemmeno in questi anni: il Centro è stato
più
volte al centro di intimidazioni. Lo stesso presidente Artale è stato
minacciato
di morte: «Penso – ammette oggi – che senza la fede sarei crollato. Ma
noi
sappiamo che ne basta un granello per spostare le montagne. Certo anche
Borsellino diceva: “La paura è normale che ci sia, in ogni uomo,
l’importante è
che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare
dalla
paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti”.
Quando
ricevetti quella telefonata anonima, sono ritornato senza esitazione al
Centro.
Perché è più facile alzarsi la mattina avendo un obiettivo da
perseguire che
nascondersi alla propria coscienza».
La
lezione di
don Pino rimane comunque viva. Sono usciti in questi anni libri
toccanti come E
li guardò negli occhi (Paoline) di Francesco Anfossi o A testa alta
(Einaudi)
di Bianca Stancanelli e perfino un film, Alla luce del sole con Luca
Zingaretti. Alla Congregazione delle cause dei Santi in Vaticano è
stata
inoltrata nel 2001 la documentazione diocesana per il riconoscimento
del
martirio. «Per la gente – afferma il presidente del Centro – padre
Puglisi è
già santo. Peccato che le istituzioni si ricordino di lui solo per
figurare
nelle commemorazioni e per le ghirlande. 18 anni per avere un campo di
calcetto: le sembra normale? I contributi sono spesso contentini. E
anzi in
questi anni abbiamo dovuto fare spesso causa alle istituzioni per
l’assegnazione dei finanziamenti. Non abbiamo nemmeno i soldi per le
spese
legali. Se facessero bandi trasparenti la gente non avrebbe motivo di
andare a
trovare padrini politici… È una vergogna. Molti giovani son costretti a
emigrare, e per giunta sono quelli che hanno più possibilità. Purtroppo
la
politica è stata spesso asservita alla mafia e alla collusione. Ma don
Pino ci
ha insegnato a guardare sempre avanti. “È importante – diceva - parlare
di mafia,
soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa,
che è poi
qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per i
soldi. Non
ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste
iniziative hanno valore, ma, se ci si ferma a questo livello, sono
soltanto
parole. E le parole devono essere confermate dai fatti».
E
i frutti
continuano ad arrivare: « Ci vuole pazienza – assicura Artale - veniamo
da
decenni di dittatura criminale. Ma in questi anni il quartiere
Brancaccio è
cambiato molto. Dobbiamo avere più coraggio anche come chiesa. Perché
come
ripeteva padre Puglisi ai volontari, dobbiamo sempre avere coscienza di
avere
accolto l’invito del Signore a camminare per poter dire di ciò che si
costruisce: “sì, ho fatto del mio meglio. E se ognuno fa qualcosa,
allora si
può fare molto”. L’ultimo “miracolo” di don Pino è quello di averci
ispirato un
altro spazio a Palermo per le nostre attività. Era un posto nel centro
dove
tutto era abusivo: parcheggi, discariche… Ne abbiamo ricavato un’oasi
che
abbiamo intitolato Al Bab in arabo porta. Una nuova porta per Palermo,
quella
di Puglisi: è stretta perché è quella del Vangelo. Lui l’ha
attraversata per
tutti noi facendoci capire che se vogliamo esser liberi la strada è
questa: le
scorciatoie non ci porterebbero da nessuna parte».