Mentre leggevo
l'ultimo libro di Massimo Recalcati "L'ora di lezione" e,
contemporaneamente, il programma governativo "La buona scuola" mi sono
tornati alla mente tantissimi ricordi del mio passato d'insegnante. Tra
i tanti mi piace ricordarne un paio avvenuti a distanza di circa
venticinque anni l’uno dall’altro, ma collegati tra loro, perché danno
il senso di quanto sia scaduta la figura dell'insegnante a seguito
delle mistificazioni dei ruoli avvenuta con una degenerativa
interpretazione dei provvedimenti del 1974 denominati "decreti
delegati" e successive norme e sentenze delegittimanti il ruolo
professionale che hanno trovato valida sponda in diverse sentenze di
vari Tar.
Correva la fine degli anni '80 del secolo scorso e insegnavo, già da
diversi anni, Geometria descrittiva in alcune classi degli ultimi anni.
In particolare quell'anno mi erano state assegnate due classi quinte
che dovevano affrontare l'esame di stato quando, un giorno, accadde
quanto di seguito.
Seduto in cattedra nell'aula undici, attendevo l'arrivo degli studenti,
ricontrollando alcuni passaggi della lezione che avevo preparato per
quel giorno riguardante "le coniche". Il mormorio proveniente dal
corridoio si andava spegnendo mentre i ragazzi, entrando mi salutavano
e si distribuivano nei loro posti. Questa grande aula era attrezzata
con i tavoli da disegno e i tecnigrafi, la cattedra sopra una pedana,
una lunga lavagna appesa contro il muro adatta per le spiegazioni
grafiche, una cassettiera per contenere le cartelle e tanti disegni - i
migliori - attaccati alle pareti. Poiché la classe era numerosa,
cominciai subito, per non rubare tempo alla lezione, con l'appello e la
registrazione degli assenti. Mentre svolgevo queste operazioni si
riaccese quel mormorio che si era spento in precedenza. Terminate le
incombenze formali iniziai, subito, la lezione riaggangiandomi a quella
precedente, prima di affrontare il nuovo argomento, che ne
rappresentava la continuazione. Dopo qualche minuto il mormorio
cominciò ad alzarsi di tono e, guardando la classe, notai che qualche
alunno dava anche segni d'insofferenza. Mentre continuavo a parlare,
presentando il nuovo argomento, mi resi conto che si era creato un
clima di disattenzione e un vocio di sottofondo che non favoriva
l'attenzione e la concentrazione necessarie per seguire lo svolgimento
della lezione. In quel momento smisi la presentazione dell'argomento e,
rivolgendomi alla classe dissi:
"Poiché avete cose più importanti da discutere invece che seguire la
lezione, io esco sul corridoio e quando avete finito e si ricrea un
clima idoneo a svolgere la lezione mi richiamate."
Poi, soffermandomi un istante aggiunsi:
"Io non sto qui a fare monologhi da attore ma a svolgere il lavoro che
mi compete, quello dell’insegnante: traghettatore di conoscenze".
Neanche il tempo di chiudere il registro e scendere dalla pedana per
avviarmi verso l'uscita che in classe era già tornato il silenzio.
Nello stesso tempo l'alunna rappresentante di classe si alza e
rivolgendomi la parola dice:
"Professore chiedo scusa in nome della classe, continui pure la sua
lezione; il problema riguardante l'organizzazione di uno sciopero lo
discuteremo fuori dalla scuola”.
Neanche il tempo di arrivare sulla porta dell'aula che tutti i ragazzi,
ciascuno al proprio posto e con il blocco degli appunti aperto e pronto
a ricevere lei annotazioni, erano tornati attenti e pronti a seguire la
lezione con l'attenzione e la partecipazione necessarie e dovute.
Passano gli anni e le stagioni, passano i governi ed i ministri,
passano le classi e le generazioni, passa “ignaro il vero senso della
vita” (F. Battiato) mentre io, cambiando scuola, arrivo ad un anno
scolastico di fine decennio del 2000 quando accade quanto di seguito.
Siccome durante la lezione con una classe prima si era creato un clima
simile a quello già descritto con la classe quinta degli anni '80 del
secolo scorso, provai a ripetere quanto fatto allora. Poiché i ripetuti
inviti a prestare attenzione, prendere appunti, seguire la lezione con
un clima idoneo privo di vocio di sottofondo e un continuo stato di
disattenzione erano caduti nel vuoto, mi fermai con la spegazione e,
rivolgendomi alla classe dissi:
"Poiché quello che sto spiegando non v'interessa e avete cose più
importanti da dire tra di voi e la mia presenza può essere
d'intralciato; io ora esco e quando avete finito di parlare delle
vostre cose, se volete che torni a fare lezione, mi chiamate perché io
sto fuori, sul corridoio."
Mentre chiudevo il registro da portare con me un ragazzo, in fondo
all'aula, si alza senza chiederne il permesso, si avvia verso la porta,
la apre e mentre con la mano destra tiene aperta la porta, con la
sinistra mi fa un gesto con il quale dà forza alle parole e rivolto
verso di me, che camminavo verso l'uscita, mi dice:
"Prego professore, si accomodi pure"
Il resto della classe si gira verso il compagno e, quasi tutti in coro:
"Vada, vada che quando abbiamo bisogno la richiamiamo noi"
Questi i fatti; lascio a ciascuno le considerazioni del caso.
Ora che sono in pensione riflettendo, in questi giorni, su questi due
episodi mi sono reso conto di quanto sia degenerato il rapporto
studente/docente e di quanto la figura dell'insegnante, la sua
professione e il suo ruolo nella società sia stato mortificato da
attacchi continui sferrati ad ogni livello: sociale, politico,
economico, valoriale, istituzionale, ecc. da una società che ha scelto
altri modelli educativi e altre agenzie formative per i propri giovani
e il proprio futuro.
Il lavoro degli insegnanti è
disconosciuto e disprezzato proprio da chi dovrebbe averne massima
considerazione (studenti, politica, famiglia, istituzioni); ed è lì il
senso di mortificazione degli insegnanti che cercano continuamente di
costruire e ricostruire, con grande fatica, ciò che altri demoliscono
con estremma facilità. Si sa, purtroppo, che demolire è più
facile che costruire, mantenere e consolidare valori conquistati con il
sudore del pensiero, selezionati dal tempo e trasmessi dagli
insegnanti, che si sono assunti l'onere di traghettare, di generazione
in generazione, le conoscenze, sedimentatesi col tempo nel cuore della
società, operando un continuo passaggio del testimone delle esperienze
da arricchire, accrescere e valorizzare per quelli che verranno.
Ma la costruzione del ponte sul futuro, purtroppo, non appartiene più
agli insegnanti tanto che il sottosegretario Davide Faraone ha definito
le occupazioni di questi giorni come “esperienze di grande
partecipazione democratica” ed anche “in alcuni casi più formative di
ore passate in classe”, aggiungo io, con gli insegnanti.
Elio Fragassi
http://www.webalice.it/eliofragassi/