Nei giorni che
precedevano l'inizio delle lezioni, finchè sono stato in
servizio, impegnavo il collegio dei docenti e i gruppi di coordinamento
a discutere sui risultati dell'anno precedente e in modo particolare su
quelli che fanno parlare di dispersione scolastica. Il proposito era
quello di vedere come e se era possibile contenerla. Trasmettevo ai
miei
docenti la preoccupazione e l'amarezza di vedere tanti giovani perdersi
e perdere le occasioni per istruirsi, per andare avanti, per
impossessarsi degli strumenti che sono indispensabili per diventare
cittadini e lavoratori all'altezza dei tempi. La definizione degli
insuccessi scolastici come dispersione non mi è
mai piaciuta e non mi piace ancora. Sembra quasi che si tratti di un
fenomeno naturale, che si verifichi a prescindere dalle decisioni degli
uomini, dalle scelte fatte dagli uomini. Una volta con più precisione
si
parlava di selezione, ma il termine era ed è sovraccarico di molteplici
significati contrastanti e pro bono pacis non lo si usa più, tranne
negli articoli di quegli intellettuali che nei quotidiani la reclamano
ad alta voce per dare prestigio alla scuola e al sapere e anche per
darsi un alto contegno.
Che la dispersione scolastica (ci atteniamo alla vulgata
ministerial-pedagogica) continui a verificarsi nonostante le lotte
che le sono state dichiarate è un fatto grave sul quale è giusto
soffermarsi a ragionare. Senza dimenticare che nel fenomeno della
dispersione oltre agli abbandoni bisogna includere ripetenze e scarso
livello di conoscenze e competenze.
A determinarla nelle proporzioni che vengono messe in luce dalle
statistiche ministeriali non sono solo le scelte di parte sempre
minoritaria del corpo docente, ancora arroccata a difesa di procedure
di valutazione che non hanno alcun valore pedagogico e docimologico; a
determinarla contribuiscono la disarticolazione dei rapporti tra enti
locali e istituzioni scolastiche, ma anche e in modo preponderante la
stessa scuola come sistema. La scuola come istituzione con le sue
regole, con la sua organizzazione, con i suoi codici di valore, con la
sua identità culturale non è priva di responsabilità in questo campo.
L'apertura della scuola e il sostegno economico, ma sempre in crescente
riduzione (esenzione tasse, libri gratis, borse di studio, trasporto
gratuito) non hanno realizzato le condizioni perché tutti potessero
godere pienamente del diritto allo studio e avere le stesse chances di
successo. I pierini fino a qualche anno di studio si trovano accanto i
gianni come compagni di classe, ma i primi concludono gli studi, fanno
carriera si inseriscono nel mondo del lavoro, gli altri si
disperdono, incespicano e a parità di talento fanno meno strada.
A scuola non si riesce a compensare lo squilibrio del patrimonio
culturale ereditato dagli alunni; non ci si riesce perchè alla fine non
si comprende il meccanismo, la logica che impedisce l'integrazione dei
"nuovi "alunni con la scuola e quali nodi della struttura scolastica
vadano sciolti per consentirla.
Il problema non è di facile soluzione perchè non si dà una sola ipotesi
interpretativa di questo fenomeno sociale, e non c'è una sola causa di
inconciliabilità tra istituzioni scolastiche e nuova popolazione
scolastica, peraltro accresciuta dalla presenza di centinaia di
migliaia
di ragazzi di famiglie di recente immigrazione.
Sono varie le forme di disagio, scaturite dai contesti umani e
culturali di provenienza degli alunni che si riversano sulla scuola e
con cui si dovrebbero fare i conti. E' importante considerare (e questo
lo fa dire l'esperienza diretta della vita scolastica) che ad una certa
età scolare, per lo più dopo il biennio delle superiori, non è tanto il
possesso di specifici saperi di famiglia a determinare un migliore
rendimento scolastico, ma la percezione del valore sociale
dell''investimento in cultura, la conoscenza della profittabilità del
sapere in tutto l'arco della vita, la pratica quotidiana
dell'importanza
delle competenze, della professionalità nella vita.
Nel processo di formazione il giovane che conosce il guadagno
ricavabile dallo studio è in grado di sostenere la sfida quotidiana tra
soddisfazione immediata e sacrificio, di intendere cioè il senso dello
scambio tra sacrifici attuali ed eventuali vantaggi futuri.
Questo tipo di alunni conoscono le ragioni più rilevanti che motivano
nello studio, conoscono i tempi, i ritmi e le difficoltà del percorso
da compiere. Questo sapere esperenziale che la scuola possiede non
sempre viene messo a disposizione di quei gruppi consistenti di giovani
, che dal proprio ambiente non riescono ad avere questo importante
sostegno.
Vi è, inoltre, un problema di corrispondenza tra comportamenti
individuali, acquisiti in ambienti sociali deprivati, e regole interne
della scuola. La formalità dei comportamenti esigiti per assicurare un
regolare svolgimento delle attività didattiche contrasta con le
abitudini di molti alunni, soprattutto nella scuola dell'obbligo, molto
vicine all' indisciplina e questo impedisce spesso l'accettazione della
scuola e del suo mondo.
Il gruppo più numeroso di problemi è costituito, però, dal contrasto
forte tra le procedure naturali di apprendimento e i processi di
astrazione, di formalizzazione delle procedure d'apprendimento
richieste dai saperi scolastici e dai linguaggi in cui questi si
esprimono. In una parola dal contrasto tra cultura giovanile e cultura
scolastica. Rendere il processo di apprendimento attraente per le nuove
generazioni è la sfida più impegnativa da affrontare a scuola.
In questa contraddizione si concentrano gli insuccessi, i ritardi; si
forma la consapevolezza della propria incapacità e matura molto spesso
la decisione di abbandonare. E allora quali saperi? Quali metodi? Quali
tempi? Quali metodi di valutazione? Come recuperare?
La scuola non puo' essere ritagliata su misura del primato
logico-linguistico o peggio ancora sulla particolare figura di
studente, estratta dall'ambito sociale che sul possesso del codice
linguistico, ampio e ricco ha fondato e legittimato le proprie
posizioni sociali. La scuola si deve misurare con la pluralità dei
linguaggi, dei saperi e delle intelligenze e dare a questa complessità
il rilievo che merita e trarne le conseguenze.
Per gli alunni che si sentono fuori casa, estranei nel mondo scolastico
è importante partire dai problemi che danno un senso al sapere che
bisogna acquisire. Bisogna adottare metodologie attive e realistiche
che
lancino un ponte con le pratiche sociali in cui gli alunni sono immersi
. Bisogna tentare, nei limiti in cui è possibile, andare oltre l'aula
per ritrovare tutti gli elementi possibili di contiguità tra saperi
scolastici e i processi della vita quotidiana.
Non si recupera lo svantaggio che denunciano molti alunni con
l'aggiunta di ore di attività, che ripetono quelle che l'insuccesso
hanno determinato, ma col cambiamento delle relazioni
docente-saperi-alunno; con l'implementazione del patrimonio
linguistico, chiave di accesso ai saperi; con metodologie dove il
parlare
abbia la stessa importanza del fare, il muoversi la stessa importanza
dello stare fermi.
L'aula non è un auditorium e la cattedra un palcoscenico dove qualcuno
recita la parte del sapere; l'aula deve essere un laboratorio che deve
impegnare tutte le energie degli alunni, suscitare emozioni e il
piacere della scoperta personale, attivare l'immaginazione. L'alunno
deve
rapportarsi al sapere con spirito amichevole e curiosità (D. Nicoli).
Bisogna lavorare con dibattiti, con situazioni-problema, con
esperimenti, con progetti di ricerca; bisogna dare spazio al dialogo,
alla negoziazione, alla riflessione. Non si puo'avere paura di attivare
processi di partecipazione e di coinvolgimento
A scuola si deve lavorare senza rassegnarsi ai dati acquisiti della
"dispersione" come se fossero naturali e immodificabili. La scommessa è
quella di condurre i giovani alla conquista del sapere; una scommessa
che va fatta ogni giorno e in ogni lezione. Ma senza amore, senza
passione per il sapere e per il proprio mestiere non puo' essere
vinta. Testimoniare concretamente l'amore per il sapere che si vuole
far
possedere agli altri è la regola aurea per superare a scuola molte
difficoltà nel lavoro di insegnamento.
Lunga è la vita dei precetti; corta e infallibile quella degli esempi
(Seneca).
Raimondo Giunta