AFFAIRE DS SICILIA: MA PERCHE' NON SE NE DEVE PARLARE?
Questo non è un articolo sul concorso dirigenti in Sicilia. Questo è un articolo sulla tanto decantata libertà e correttezza d’informazione.
Ora, esiste una legge fondamentale del giornalismo, una legge quasi lapalissiana, il motto del mitico Panorama di Lamberto Sechi: distinguere nettamente i fatti dalle opinioni. E soprattutto parlare dei fatti, parlarne, metterli in evidenza perché parlino, scusate il gioco di parole, con la forza stessa dell’evidenza. Non si devono tacere i fatti. Perché, se si tacciono i fatti, prevalgono le opinioni, e va bene tutto e il contrario di tutto.
Marco Travaglio fa un esempio calzante a tal proposito: se ci chiudiamo in una stanza al buio e ci chiedono che tempo fa fuori, ciascuno potrà legittimamente sostenere che fuori nevica, piove o c’è il sole. Ma se spalanchiamo una finestra e vediamo che piove, si potrà commentare quanto si vuole, ma fuori piove. Punto. E’ un fatto.
Prendiamo questo concorso dirigenti in Sicilia. Ha avuto un iter tortuoso, a suon di sentenze, ricorsi e accertamento di irregolarità. Un pasticciaccio brutto, un caso unico nella storia dei concorsi dirigenziali della scuola, che ci è dispiaciuto e non ci ha fatto onore come regione e come popolo. Ma ci sono stati una serie di fatti. Il fatto conclusivo è stata una sentenza esecutiva del Cga, che, dopo aver naturalmente accertato e appurato le modalità di svolgimento del concorso, ha preso una decisione gravissima sicuramente, e dolorosa per molti: lo ha annullato.
Di questi fatti il giornalismo, in particolare quello siciliano, deve interessarsi o no? Il giornalismo vero, quello che non ha padroni e non fa il megafono di questo o di quello, il giornalismo vero, che ci tiene affinchè nelle scuole siciliane esistano dirigenti veramente preparati, venuti fuori da un concorso corretto e incorrotto, ha il dovere di focalizzare la sua attenzione sull’argomento?
A quanto pare dalle reazioni, no. Il caso concorso dirigenti scolastici in Sicilia è stato un terreno minato, dove, ad ogni passo, si è rischiato di saltare in aria, da un momento all’altro. Perché pubblicare la sentenza del Cga, una sentenza pubblica, di pubblico dominio, presente ovunque su internet? Perché seguire le vicende dei tentativi politici di salvaguardare i presidi, ricavandole da siti seguitissimi, quali quelli di Camera e Senato? Perché questa attenzione per i fatti? Meglio tacere, parlar d’altro, magari ascoltarci una bella canzone d’amore, è più gradevole e fa meno male. Troncare, sopire, sopire, troncare: il buon Manzoni docet.
Ma il giornalismo, quello vero, ormai una rarità in estinzione, lavora innanzitutto sui fatti e i fatti sono inequivocabili, oggettivi, stanno lì, basta solo conoscerli e farli conoscere. E’ inutile chiedersi cui prodest. Giova alla verità, alla nostra voglia di sapere e capire. Tutto qua. E’ assurdo dire che dare una notizia determina la rovina dei protagonisti; e a tal proposito il prof Tripodi, presidente dell’Asasi, scrive a Repubblica affermando che il quotidiano “non perde occasione per far licenziare 427 persone oneste che hanno avuto il solo torto di vincere un concorso non truccato in Sicilia.”
Quindi è l’informazione a fare perdere il posto ai presidi, il fatto che se ne parli, non una sentenza della magistratura, con fatti accertati e incontestabili. Cose da pazzi,
E magari chi ne discute viene etichettato come Leonardo Sciascia, il quale fu visto come uno scrittore che, dicendo semplicemente la verità sulla Sicilia, ne parlava male, la metteva in cattiva luce. La storia si ripete, nella nostra isola meglio chiudersi la bocca e guai a chi parla troppo.
Ma continuiamo nel nostro ragionamento. Dopo i fatti ci sono le opinioni. Cioè su fatti accertati, si può discutere, interpretarli, smontarli, rimontarli. Ma sempre come opinioni firmate e controfirmate. E chi firma si assume la responsabilità di quello che scrive. Prima sono giunte opinioni dei ricorrenti; e le abbiamo pubblicate perché ben argomentate e nutrite di valide osservazioni. Poi sono giunte le voci dei presidi; e le abbiamo pubblicate perché altrettanto valide e soprattutto atte a dar voce e a un naturale scoramento personale, poiché è comprensibile che a nessuno faccia piacere sostenere un concorso lungo e faticoso e poi andarsene bruscamente a casa.
Niente è stato censurato o non pubblicato. Dal libero gioco delle voci abbiamo cercato, un po’ alla maniera socratica, di far emergere, maieuticamente, la verità o, comunque, qualcosa che le si avvicinasse. Senza favoritismi nei confronti di nessuno.
Posso anche farvi sorridere. Fino a quando hanno scritto i ricorrenti, Aetnanet stava dalla loro parte, o magari, chissà, visto il giornalismo venduto che c’è in giro, veniva pagata(!) da loro; quando sono intervenuti i presidi…Aetnanet stava ora dalla parte dei dirigenti. Mi chiedo: perché bisogna sempre pensare che un giornalista debba fare il megafono di qualcuno? Non può scrivere per amore della verità, per far riflettere, risvegliare le coscienze?
Mi sono resa conto, ed è una triste consapevolezza, che l’informazione libera, alla ricerca della verità, oggi fa tanta impressione; viene considerata “disinformazione” o “informazione di bassa lega”. Quello che dovrebbe essere il buon giornalismo, il cane da guardia del potere, deve per forza trasformarsi in cattivo giornalismo, il cagnolino da compagnia del potere, un bel barboncino con un fiocchetto colorato in testa che dice sì ai potenti.
Noi non ci stiamo. Perché fare giornalismo ci anima, ci fa sentire vivi, ma solo se lo facciamo con la coscienza pulita e la voglia di capire. Dopo, come diceva padre Dante, possiamo solo “lasciar grattar dov’è la rogna”. Se qualcuno ha la coscienza “fusca” è fatto suo, non di chi ne tratta.
Speriamo che questo pasticciaccio brutto abbia una conclusione almeno dignitosa. Delle cose gravi che sono capitate alla redazione di Aetnanet nella persona della sottoscritta, parlerò solo quando questo spiacevole caso sarà definitivamente concluso. Per questione di stile, perché sia una lezione di stile per qualche bassa figura, anzi qualche basso figuro della nostra bella Italia. Ma statene certi: l’informazione nel nostro paese è messa male, male davvero. Buon 2010, all’insegna della libertà di pensiero, di parola e d’opinione. Qui, su Aetnanet, nel nostro piccolo, potete starne sicuri. Malgré tout.
SILVANA LA PORTA