Dalle parole di Valentina Sdoia, operatrice presso il Centro Caritas di
Pontecorvo (FR)
Mi sento un po’ a disagio a dover parlare dei giovani: osservarli da
lontano come chi ha appena superato quell’età o sentirmi ancora una di
loro? Diciamo per comodità che mi trovo un po’ “in bilico”. Eppure
forse è proprio questo il momento giusto per essere obiettivi perché è
facile essere adulti e dire che i ragazzi non hanno più valori, che
sono degli sbandati e dei superficiali, così come è facile per un
giovane difendersi dicendo che in realtà sono la famiglia, la scuola,
la società ad essere soffocanti. Dunque la mia è l’età in cui si può
parlare dei giovani in modo imparziale come può farlo solo chi forse
non lo è più ma ne sente ancora forti gli “strascichi”. Non intendo
prendere la strada di chi ama ripetere “ai miei tempi non si faceva mai
tardi la sera” oppure “io non rispondevo mai male ai miei genitori” e
ancora “gli orecchini li mettevamo solo alle orecchie”. Così come
d’altronde comprendo molto bene la difficoltà che incontrano oggi le
parrocchie, le famiglie, la scuola nel loro compito di educare. Se si
perdonano le colpe a tutti, allora, cosa si può dire? A mio avviso che
questi giovani sono il risultato inevitabile e inconfondibile di questa
epoca, il prodotto di una società sempre più evoluta tecnologicamente e
sempre più “regressa” nei sentimenti. E questo non riguarda solo i
giovani ma tutti, nella maniera più assoluta. Un certo cinismo, una
certa amarezza o scontento lo si trova ovunque, in qualsiasi fascia
d’età. E ad ogni modo questi giovani non diventeranno migliori solo
perché li rimproveriamo continuamente, perché forse invidiamo loro una
libertà che a noi è stata negata quando eravamo ragazzi. Questi giovani
di oggi così viziati, privi di interessi, così ribelli e fin troppo
audaci. Ma perché non ci sforziamo di capirli? Perché non proviamo a
ricordare che siamo stati giovani anche noi con tutte le
contraddizioni, le stravaganze e gli errori di valutazione che erano
anche i nostri? Ed è importante ricordare che oggi è ancor più facile
subire il fascino dei “disvalori” perché ne sono letteralmente
bombardati ovunque si girino. Diamo ai giovani il tempo per diventare
adulti, la crescita di un individuo non avviene all’improvviso ma è un
percorso di crescita lento e graduale. Loro stanno costruendo la
propria personalità, non possiamo continuamente stare a ripetere che
loro sono il futuro, investendoli di una responsabilità che non possono
capire ancora. Piuttosto premuriamoci che vivano il presente
serenamente e concediamogli di percorrere pian piano il loro cammino,
anche se fra tante incoerenze e indecisioni: fanno parte del gioco
anch’essi. Insegniamo loro ad amare la vita, a difenderla a spada
tratta, ad apprezzarla anche quando è dura; non abbandoniamoli mai, non
neghiamogli mai un consiglio, una parola saggia, un pensiero che faccia
riflettere. Soprattutto dovremmo scendere dalla cattedra e prestare
orecchio a quello che abbiamo, a nostra volta, da imparare da loro, dal
momento che c’è sempre qualcosa di prezioso che l’incessante incalzare
della vita ci ha tolto. Restiamo in ascolto di questi giovani,
sforziamoci di adottare un linguaggio più comprensibile da loro e
smettiamola di farli sentire sbagliati, perché è lì che siamo proprio
noi a sbagliare.