«Theodor
Wiesengrund Adorno.
Qualcuno, per caso, ancora se lo ricorda? Criticava la condiscendenza
per gli
uomini come sono, vista come falsa virtù... 'Il borghese – diceva – è
tollerante. Il suo amore per la gente così com’è nasce dall’odio per
l’uomo
come dovrebbe essere'». È una delle provocazioni contenute nel libro di
Paola
Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare
(Guanda), che affronta il drammatico problema di una scuola che ha
smesso di
insegnare. Il problema, spiega abilmente l’autrice, che oltre a essere
una nota
scrittrice è anche docente di Lettere al liceo, è il frutto di una
società
essenzialmente edonista, che non intende impegnarsi a far crescere i
propri
figli. La frase di Adorno fotografa con inusitata efficacia questo
stato di cose
e ha il grande pregio di obbligare alla discussione.
«Lui
sosteneva che il
consumismo di massa ci avrebbe ridotto a restare quello che eravamo,
cioè massa
amorfa. Il sospetto è che abbia avuto ragione. E la scuola ne è una
diretta
conseguenza. Oggi un ragazzo può agevolmente chiedersi se lo studio
serva
ancora. Il dramma è che noi adulti abbiamo risposto di no. Così i
giovani non studiano.
Al liceo ho molti studenti che si interessano alle lezioni, bravi
ragazzi, che
però a casa non aprono libro. E non c’è nessuno che faccia loro
comprendere
l’importanza dello studio». Non lo fa la scuola, non lo fa la famiglia,
non lo
fa la società. Ne consegue, pare di capire, una sorta di grande inganno
i cui i
nostri ragazzi sono le vere vittime. «Un inganno dai tanti volti. La
scuola fa
lavorare in gruppo quando sappiamo benissimo che si tratta di un modo
per non
studiare. Insegna a lavorare sfruttando il web e questo è veramente il
massimo
che si potesse fare per fregare i giovani: dire loro che tanto c’è il
computer,
che si può sempre mettere la parola giusta sul motore di ricerca e poi
si scarica,
si copia e incolla e il compito del giorno è fatto. Non c’è nemmeno
bisogno di
leggere quello che si è scaricato».
Sono
i professori, persino i
libri di testo che chiedono agli studenti di studiare in questo modo
con
internet. «E così si avalla la logica che per studiare non serve
fatica. Anzi,
non serve proprio studiare. Servono solo le nuove abilità: utilizzare i
nuovi
programmi, navigare in rete, chattare, collegarsi a facebook». Se si
avanzano
critiche su questi argomenti c’è sempre il professore che con tono di
compatimento
ti fa notare che forse sei retrogrado, antiquato, reazionario. «Ma è
una
falsità. Siamo noi i più moderni. Noi che usiamo tranquillamente tutte
le nuove
tecnologie conoscendo Dante e Petrarca, avendo letto Tasso, Leopardi e
Montale,
sapendo di latino e di sintassi. Insomma, vogliamo o no che i nostri
ragazzi
abitino anche una sfera mentale, spirituale, delle idee e non siano
interamente
calati nel più puro materialismo? Vogliamo che la scuola serva ancora a
qualcosa? Cosa vogliamo che facciano i nostri figli?».
Bisognerebbe
chiederlo alle
famiglie, che oltre a non far studiare i figli a casa se la prendono
con
maestri e professori quando danno troppi compiti o pretendono qualcosa
di più
dagli studenti. «È quella che nel libro ho definito l’inversione delle
responsabilità. Se le famiglie remano contro gli insegnanti che
vogliono
lavorare la scuola non serve più. Meglio che tolga il disturbo,
appunto. I
genitori sempre schierati dalla parte dei figli sono il fenomeno più
devastante
del mondo scolastico. Del resto la scuola e il modo di approcciarsi
alla scuola
sono il riflesso della società». Viene da chiedersi come sia potuto
accadere
tutto questo. «Le rispondo con una provocazione: forse siamo un Paese
troppo
progredito per credere ancora nella scuola». Un’affermazione
drammatica.
«Drammatica, ma realista. La nostra società, cioè tutti noi, è troppo
concentrata sul suo ombelico, è troppo rivolta al piacere. La famiglia
media
pensa a come impiegare il tempo libero nei divertimenti, nello sport,
pensa ad
avere due auto, due telefonini, la tv di ultima generazione... in tutto
questo
la scuola è un disturbo. Ci sono i compiti da fare, c’è da impegnarsi a
seguire
i figli, a spronarli... Molto più facile affidarli alle badanti
tecnologiche, come
la tv, internet, le play station. Si sono perduti i valori pedagogici
della
fatica, dell’umiltà. Studiare è un impegno e le famiglie non vogliono
più che i
figli studino. Pensano alla scuola come a un contenitore».
Detta
così sembra una delle
pessime conseguenze del ’68? «Questa situazione è certamente figlia
anche delle
ideologie, delle letture cattive e distorte degli scritti di don
Milani, quello
che nel libro chiamo il donmilanismo, che ha portato a una scuola
appiattita
verso il basso. Della lettura di comodo dei libri di Gianni Rodari, che
definisco
rodarismo e che ha portato all’inganno criminale della scuola creativa,
che
lascia spazio alla fantasia, ma non insegna la grammatica, la struttura
del
pensiero e del discorso. Ma per per diventare grandi bisogna prima aver
molto letto,
molto pensato e molto studiato, poi ci si può aprire alla creatività
vera».
Roberto I.
Zanini - Avvenire 17 febbraio 2011