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Didattica: Ai ragazzi parlate di bellezza

Rassegna stampa

Quando ho finito di leggere il suo romanzo ho sentito un fuoco dentro di me, qualcosa di misterioso si è svegliato e mi sono detto: io voglio vivere così. Ora lei deve spiegarmi come mai questo è accaduto».

Me lo ha chiesto venerdì pomeriggio Mattia, 17 anni. Eravamo in una scuola di una città emiliana, di pomeriggio.  Ci sarebbe stato un professore a parlare di un libro: c’erano centinaia e centinaia di ragazzi, spontaneamente. Lo stesso era successo una settimana prima in una città lombarda, lo stesso in un’altra ancora due settimane fa e così via... Ogni settimana, ragazzi che non vorrebbero stare a scuola al mattino, poi tornano volontariamente al pomeriggio e pongono domande sulla loro vita a partire da un libro, loro che si dice non leggano mai...

Sono stufo di luoghi comuni e piagnistei sui giovani italiani: viziati, superficiali, disinteressati. Da quando è uscito il romanzo sto girando come una trottola per le scuole e il più delle volte sono i ragazzi stessi che spingono i professori a organizzare gli incontri. Vado anche se mi costa fatica, dovendomi anche io occupare dei miei studenti, ma volevo vedere con i miei occhi. Sono stato in decine di scuole, ho incontrato migliaia di ragazzi da Trieste a Marsala, perché mi interessa avere il polso di questi giovani tanto vituperati dai media e dai giornali: mi parlano di impegno, studio, famiglia, amore, dolore, morte, paure, sogni... Trovo un desiderio di impegnarsi e di fare cose grandi che nessuno racconta. Basta luoghi comuni, basta piagnistei! Non basta stare chiusi in uno studio televisivo o davanti a Internet per conoscere e parlare di giovani. Mai come oggi si parla così tanto dei giovani e si parla così poco con i giovani. Bisogna passare il tempo con loro, bisogna stare in mezzo a loro, ascoltare.

Con questo non voglio dire che i ragazzi non siano viziati, o che si accontentino a volte di marche, gadget e affini (basta accompagnarli in un viaggio di istruzione per saperlo...). Ma questo accade perché viziati sono gli adulti. Siamo noi, incapaci di additare mete alte e porti da raggiungere, di manifestare con i nostri occhi che siamo fatti per una vita grande, piena. Siamo noi, malati di pessimismo, ad accontentarci e a non trovare altra ricetta se non accontentarli. Abbiamo sostituito la felicità con il benessere, ma per fortuna i ragazzi hanno un anti-corpo che noi adulti perdiamo con il tempo, con il nostro abitudinarismo borghese e comodo, fatto di cellulari e maxischermi, partite di calcio e televisori accesi durante i pasti. I ragazzi hanno un anticorpo: sono giovani.
Se solo potessi far leggere le cose che mi scrivono! Ne do un breve saggio.

«Sono un liceale e ti scrivo per un aiuto, un consiglio o un parere. La scuola non va... non riesco a metterci il cuore come dici tu... poi il problema più grosso... non riesco a darmi uno scopo in questa vita che mi sembra così tanto monotona. Forse questo è dovuto al fatto che non ho un sogno... anche quello non riesco a trovarlo. Penso alle cose che mi fanno vibrare il cuore e sono tutte banalità... quando esco il sabato sera e quando vedo la mia squadra giocare». «Mi riconosco molto in Leo. Un ragazzo che cerca il suo sogno, come cerco di fare io. Anche se mi sembra di non riuscirci, mi sembra di non trovare nulla che mi appassioni davvero. Cerco di non abbattermi, perché credo che la vita sia troppo breve per essere tristi, o odiare qualcuno o qualcosa. E credo che sia necessario essere curiosi e avere voglia di vivere, di essere felici e di procurare felicità agli altri».

«Ho capito che non bisogna accontentarsi delle banalità che ci offre la vita, ma bisogna combattere e impegnarsi in ogni cosa».

Non ho cambiato una virgola di queste lettere. Sembreranno incredibili, proprio perché noi adulti siamo i primi a non credere in questi ragazzi, che non conosciamo. Ragazzi che, oppressi dal dolore per le loro vite impoverite e derubate, chiedono consigli a uno sconosciuto, che ha avuto la fortuna di pubblicare un libro in cui trabocca la passione per la sua e le loro vite. Se non portiamo i ragazzi a fare uso della libertà, che è scegliere, le loro vite piombano nella paura o nella monotonia del benessere e dell’individualismo. Le cose non bastano mai, si rovinano, si rompono. Siamo ancora capaci di sognare le loro vite, di prenderci cura del loro destino, di proteggerli, ascoltarli e sfidarli in grandi imprese, portandoli a scegliere ogni giorno? Abbiamo insegnato loro la libertà di indifferenza: la libertà «da», invece di quella «per». Chiedete a un ragazzo che cosa sia la libertà e vi dirà: «Fare ciò che si vuole» o «ciò che finisce dove comincia quella di un altro». La prima definizione è falsa, la seconda è vuota. La libertà è decidere come giocarsi la vita, libertà è partecipazione avrebbe cantato Gaber. Ma quali dei nostri ragazzi toccano ciò che vale la pena scegliere? Quanti di loro vengono abituati da noi adulti a scegliere davvero e non solo tra due marche, tra due film, tra due cellulari, due giochi per la Playstation?

Portiamoli di fronte a ciò che è grande, bello, vero (prima di tutto la loro stessa esistenza) e il fuoco della vita divamperà e brucerà pessimismo e paure. Credo in loro, perché credo nella grandezza della mia vita, non perché io sia migliore di nessuno, ma perché qualcuno ha creduto e amato la mia vita (con le sue luci e ombre, pregi e difetti, qualità e fragilità), mostrandomi che era troppo bella, grande, libera per sprecarla o tenermela per me.

Invece «colla esperienza, trovandosi sempre in mezzo ad eccessive piccolezze, malvagità, sciocchezze, bruttezze ecc., a poco a poco si avvezza a stimare quei piccoli pregi che prima spregiava, a contentarsi del poco, a rinunziare alla speranza dell’ottimo o del buono, e a lasciar l’abitudine di misurar gli uomini e le cose con se stesso».

E questo lo diceva Giacomo Leopardi già due secoli fa, un uomo che i luoghi comuni hanno reso capostipite dei pessimisti, lui che era un realista spietato, con il quale la vita non era stata generosa, era incapace di mentire sul vuoto di certo ottimismo borghese, che dietro luccicanti promesse da consumare nascondeva soltanto la monotonia, la noia, la chiusura di chi ha sostituito le idee con le cose, l’essere con il fare, l’amore con il controllo.

I ragazzi sono viziati, perché gli abbiamo insegnato a sognare cose piccole, da soddisfare con il portafoglio. Proprio loro, insoddisfatti, ci salveranno dai vizi che abbiamo loro trasmesso. Lo stanno già facendo a colpi di suicidi, dipendenze, depressioni. Lo stanno già facendo a colpi di domande, sogni, ribellioni.

Alessandro D’Avenia – La Stampa









Postato il Martedì, 22 febbraio 2011 ore 15:18:06 CET di Marco Pappalardo
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