Ferragosto: la Rai
presenta, in seconda serata, un nuovo programma di attualità, curato
dal giornalista Duilio Giammaria, dal titolo molto stuzzicante "Petrolio". Il giornalista introduce
sintetizzando così: “Mi cimento con un nuovo programma di attualità, il
cui filo conduttore è far emergere ciò che in Italia è lasciato in un
cassetto o poco utilizzato, pur rappresentando una potenzialità su cui
si potrebbe puntare per far ripartire il Paese. E il titolo, Petrolio, non rimanda tanto a
Pasolini quanto piuttosto alla consuetudine di dire: non abbiamo il
petrolio, ma abbiamo altro.
Ecco, noi cerchiamo di andare a vedere cos’è quell’altro che abbiamo e
che non viene abbastanza sfruttato e che come il petrolio deve essere
identificato, estratto, valorizzato”.
Il tema di questa prima puntata agostana, "Caccia al tesoro", tratta proprio il
problema dei nostri tesori d’arte nascosti, sconosciuti dimenticati o
non curati e non sfruttati nonostante il grande valore da tutti
riconosciuto. Mi riferisco non solo alle espressioni delle arti
maggiori ma anche ai musei, ai siti archeologici, ai piccoli e grandi
centri storici ricchi di esperienze, manufatti ed espressioni
artistiche anche delle cosiddette arti minori, disconosciute, spesso,
agli stessi abitanti. Il programma tratta, oltre il problema dei Bronzi
di Riace, delle difficoltà del sito archeologico di Pompei e delle file
di visitatori per vedere le quattro case aperte al pubblico contro le
settanta disponibili contrapponendo questa situazione con quanto
realizzato dal British Museum di Londra che con "300 reperti da noi prestati" ha
realizzato una delle mostre più visitate ricavandone milioni.
IL titolo "Caccia al tesoro" mi
ricollega a un mio recente articolo sulla scuola in cui consideravo i
nostri tesori d’arte come il "petrolio"
o la nostra energia.
Le risorse artistiche e paesaggistiche, che potrebbero essere i nostri pozzi di petrolio disseminati su
tutto il territorio nazionale, sono penalizzate da carenze culturali e
di conoscenze che, purtroppo, partono dalla scuola che non ha mai
investito, con lungimiranza, in questo campo. Infine, la riforma
Gelmini ha talmente mortificato l’insegnamento dell’arte che in alcuni
corsi di studio la storia dell’arte e altre discipline artistiche sono
state completamente eliminate e in altri ridimensionate nelle ore o
accorpate ad altre discipline. Questa operazione, disconoscendo la
validità della storia dell’arte e delle differenti espressioni, anche
minori, è equivalsa a chiudere o ridimensionare i nostri pozzi di petrolio perché i nostri
giovani non ne potranno apprezzare a pieno il valore. Poiché l’amore
per queste bellezze, la loro valorizzazione e il rispetto nascono fin
dai banchi di scuola, mi chiedo per quale motivo la riforma ha
penalizzato proprio quelle discipline che dovevano essere valorizzate
in quanto rappresentano la nostra ricchezza che tutto il mondo ci
invidia?
L’indifferenza, già oggi molto diffusa verso queste ricchezze che solo
l’Italia possiede, negli anni a venire si aggraverà con un generale
comportamento agnostico perché: "L’acquisto di qualunque
cognizione è sempre utile allo intelletto, perché potrà scacciare da sé
le cose inutili, e riservare le buone. Perché nessuna cosa si può
amare, né odiare, se prima non si ha cognizion di quella". (Leonardo da Vinci)
Elio Fragassi
eliofragassi@alice.it