Sarà presentato il prossimo 26 febbraio, alle 16, nel
liceo scientifico Leonardo di Giarre (via Veneto, 91), il libro
"Violenza degenere - storie di donne che hanno sconfitto la paura", di
Roberta Fuschi e Patrizia Maltese, edito da Villaggio Maori edizioni.
Organizza l'Associazione politico culturale "Articolo 1". Introduce
Bruna Bellante. Saranno presenti le autrici.
"Violenza degenere - Storie di donne che hanno sconfitto la paura"
(Villaggio Maori Edizioni, prezzo di copertina 15 €), scritto dalle
giornaliste catanesi Roberta Fuschi e Patrizia Maltese, è - come
chiarisce subito il sottotitolo e malgrado l'argomento terribile - un
libro in positivo, perché riporta le testimonianze di donne che - sia
pure, a volte, dopo un tempo infinito - sono riuscite a liberarsi.
Le autrici hanno trascorso alcuni mesi all'interno del Centro
antiviolenza Thamaia di Catania, osservando il lavoro delle operatrici
e frequentando il corso di formazione rivolto alle tirocinanti.
Soltanto al termine di questo periodo hanno potuto incontrare ciascuna
delle signore che hanno avuto la forza di rivivere quelle storie
traumatiche e che si sono messe a disposizione, cogliendo e
condividendo il duplice obiettivo delle giornaliste: aiutare le vittime
a riconoscere gli "indicatori" della violenza, spesso sottovalutati,
ignorati o mal interpretati, e far sapere loro che da quell'incubo si
può uscire. Le testimonianze sono state trascritte dalle autrici in
maniera immediata e senza alcun intervento correttivo: "Sentimenti -
scrivono nell'introduzione - che abbiamo cercato di riprodurre
riportando fedelmente le loro parole e i salti temporali del racconto e
accompagnandole con virgole e puntini di sospensione che a noi, mentre
le ascoltavamo, sono apparsi ben 'visibili' e che hanno dei significati
ben precisi".
I racconti delle signore costituiscono la prima parte del volume, di
cui ha scritto la prefazione la professoressa Graziella Priulla,
dell'Università di Catania. Ma alle autrici è sembrato anche doveroso
dare il giusto riconoscimento alle operatrici del Centro antiviolenza,
spesso costrette a lavorare da volontarie a causa dell'indifferenza
delle pubbliche amministrazioni, e sono dunque le loro storie, che si
intrecciano a quella di Thamaia, a costituire la seconda parte. La
terza parte, infine, è di "servizio" in quanto riferisce sinteticamente
le nozioni apprese durante il corso di formazione "perché pensiamo e
speriamo - scrivono ancora le autrici - che possano essere indicazioni
utili, sintomi rivelatori di una deriva grave, e che possano aiutarci
(tutti, perché nessuno può sentirsi al riparo dal rischio o esonerato
dall'occuparsene) a prendere coscienza prima che sia troppo tardi".
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