Giorno 6 dicembre, all’ingresso dell’Istituto si è svolta, secondo usi e costumi tradizionali del posto, una cerimonia di accoglienza dei partecipanti al meeting: una coppia di studenti in abiti tipici del folklore moldovano ha offerto agli ospiti pane da intingere nel sale, gesto propiziatorio di amicizia e di buon auspicio per il successo del progetto. Successivamente, i vari team hanno compiuto un giro delle Classi, assistendo alle attività didattiche in corso, interloquendo con studenti e colleghi, assistendo a presentazioni del Corso di studi da parte degli studenti. Quindi, in uno dei laboratori dell’Istituto, dopo il benvenuto del Dirigente Scolastico, prof.ssa Carmen Lovoncsy, si è passati alla presentazione delle scuole partner, in cui ogni referente del team illustrava indirizzo di studio, caratteristiche dell’utenza, programmi e metodologie del rispettivo Istituto, nonché (ma non è valso per tutti i team) aspetti storici, culturali e sociali del territorio in cui esso è inserito. La mattina si è conclusa con una visita alla Biblioteca dell’Università “Alexandru Ioan Cuza”, la prima Università sorta in Romania, A.D. 1860. Interni sontuosi in marmo di Carrara, volte affrescate o decorate con mosaici, la Biblioteca è un gioiello dell’architettura di Iaşi. Alla Biblioteca è annesso un piccolo, ma ben tenuto Museo della civiltà di Cucuteni, la più grande civiltà urbana dell’Europa del Neolitico. La visita non ha richiesto troppo tempo per le ridotte dimensioni della struttura, ma ha suscitato grande interesse, perché ha messo per la prima volta di fronte ai reperti di questa civiltà preistorica, di cui poco si conosce al di fuori degli studi specialistici, almeno in Italia.
Momento clou della visita, la sosta nella Sala dei Passi Perduti, modernamente dotata di computer, le pareti calorosamente rivestite di boiserie e soffitto a cassettoni adornato di affreschi barocchi. In Italia associamo la locuzione Passi Perduti al cosiddetto Transatlantico, il salone-galleria che fa da anticamera all’Aula parlamentare di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, i cui membri, fra una sessione e l’altra dei lavori o dell’attività nelle commissioni, incontrano i giornalisti. (Il termine Transatlantico è dovuto al soffitto, che ricorda l’arredo delle grandi navi passeggeri che solcavano l’oceano Atlantico. A realizzarlo fu la Ducrot, un’azienda palermitana specializzata nell’arredo di navi. Siciliani sono i marmi policromi di cui è lastricato il salone-galleria di Montecitorio: palermitano era Ernesto Basile, che rimodulò in stile liberty l’Aula parlamentare.) Nel caso, a parte analogie o richiami a rituali massonici, in cui la Sala dei Passi Perduti indica una sorta di camera di decompressione fra mondo esteriore e interiore, il riferimento poteva essere dettato dalla nostalgia degli anni di studio: dalle pareti austeramente decorate, i ritratti dei personaggi che hanno dato lustro all’Università sorvegliano che il processo di trasmissione del sapere proceda indisturbato e proficuo.
Dopo la pausa-pranzo, nel pomeriggio, presso una sala della sede della medesima Biblioteca universitaria, si è svolto un workshop, nel corso del quale, sulla base delle proposte emerse dai vari team, chiarito il progetto in tutti i suoi aspetti, si sono individuati e distribuiti gli obiettivi che ogni team dovrà raggiungere. La serata, per il team italiano, è trascorsa passeggiando per le vie del centro e una cena frugale in uno dei punti di ristoro di un centro commerciale.
I lavori sono proseguiti il successivo mercoledì 7 dicembre nella sala multimediale della scuola-leader, dove si è discusso della creazione del website, dei prodotti che scaturiranno dal progetto, della predisposizione di un Dictionary, del business e delle buone pratiche, del monitoraggio delle attività concordate, dei criteri di valutazione dell’impatto su studenti e territorio delle attività medesime e dei prodotti, delle relazioni che ciascun team dovrà presentare entro un termine prestabilito prima di essere autorizzato a partecipare agli incontri in programma, di cui è stato fissato un calendario definitivo. Nel primo pomeriggio, sosta al Copou Park, una sorta di santuario vegetale dedicato ai tigli, spogli, data la stagione. (Così, non c’era pericolo, come, pressappoco, scrive la grande poetessa romena Ana Blandiana, in lista d’attesa per il Nobel negli auspici dei suoi lettori, compreso qualcuno dall’Italia che da anni tifa per lei, di verificare live i versi di Despre tara din care venim ovvero Della terra da cui veniamo: io vengo dall’estate, fragile patria, che qualunque foglia, cadendo, può annientare). Ci è stato assicurato, in italiano e da persona fededegna di cui nel prosieguo, che il profumo dei tigli in fiore è “inebriante”: aggettivo associato pressoché in esclusiva, da noi siciliani, al profumo della zagara, cioè, dei fiori d’arancio. Totem del Parco, il tiglio sotto cui era solito meditare, leggere e qualche volta, scrivere (un po’ come la quercia di Torquato Tasso sul Gianicolo, a Roma) Mihai Eminescu, suprema gloria poetica romena, un busto del quale è posto al riparo del venerando albero ultracentenario. Da qui, ci si è spostati alla bojdeuca (casupola) dove visse Ion Creanga, il massimo autore romeno di libri per ragazzi, una casa-museo – la prima della Romania –, tappa pressoché obbligata per scolaresche e romeni in visita turistica in città. Il tardo pomeriggio è stato riservato dal nostro team a una visita alla Cattedrale Metropolita ortodossa, inserita in un complesso di monasteri in centro città. La Cattedrale Metropolita è, come tutte le chiese ortodosse viste finora, di una bellezza che incute quasi soggezione: un po' buia, attraversata da inni che colmavano gli spazi fra le pareti sovraccariche di icone, soffusa di un incanto ieratico appena pervaso di una nota di tenerezza così familiare a noi cattolici. In serata, cena di tutti i team all’ultimo piano dell’Hotel Unirea, con visione panoramica notturna su Iaşi.
La mattina di giovedì 8 dicembre è stata dedicata all’autovalutazione e a un bilancio complessivo di questo primo incontro, ampiamente positivo sotto ogni punto di vista, sia organizzativo che produttivo, per l’affiatamento che si è venuto a creare e per lo spirito di collaborazione che ha improntato tutte le fasi dei lavori. È stata l’occasione per manifestare l’apprezzamento reciproco e per ribadire la volontà di proseguire sulla stessa linea di correttezza, di serietà, di fiducia che si sono instaurate nel corso di giornate intense per le attività svolte, per le occasioni di confronto, per i momenti conviviali. Al termine, il team italiano, nel percorso per giungere a Palazzo Roznovanu, sede del Comune, si è trattenuto per una breve visita alla nuova Cattedrale cattolica di Santa Maria Regina, che, nel giorno consacrato all’Immacolata, era gremita di fedeli. La chiesa, dalla struttura a pianta circolare che dovrebbe ricordare una corona, esternamente decorata con colori da torta panna e fragola, non ci ha convinto: sembra una trottola tenuta ferma apposta per evitare che giri un po’ a vuoto. La nuova cattedrale, però, ci ha riportato alla mente anche la Rotonda, l’ex chiesa a pianta quadrata coperta da una cupola che a Catania sorge sulle rovine delle Terme Romane e il cui presbiterio conserva brandelli superstiti del ciclo di affreschi bizantini, che datano al VII secolo e altri, risalenti al XII e XIV secolo. (Come, nel giorno dell’Immacolata, scesa la sera, un ingegnere informatico e un docente di Lettere siano finiti in una chiesa avventista – a Iaşi! –, dalle pareti disadorne come la buccia di un uovo, ma piena come un uovo di strabocchevole fede protestante e risplendente di canti, dove hanno recitato – però, in italiano e con la necessaria devozione – un Padrenostro e un’Avemaria, lo racconteremo un’altra volta.) Molto meglio della nuova è la vecchia cattedrale, dedicata all’Assunta, Adormirea Maicii Domnului, in romeno, con affreschi e la tela dell’altare maggiore, manco a farlo apposta, usciti dalle mani del siciliano Giuseppe Carta, frate francescano e artista dell’Ottocento, attivo in Romania e in Turchia, oltre che in Sicilia (a Palermo, Sciacca, Mazzarino e Bisacquino).
Purtroppo, dato l’impegno ufficiale dell’incontro con le autorità cittadine, non c’è stato tempo neppure di entrare per una genuflessione nella vecchia cattedrale. A Palazzo Roznovanu, elegante edifico di impianto neoclassico e interni barocchi, i partecipanti al primo meeting del progetto “Startup Eco Training Firms” sono stati ricevuti nella principale sala di rappresentanza da un’importante personalità dell’amministrazione delegata dal Sindaco di Iaşi. Al termine, tutti i partecipanti al progetto si sono recati in visita al neogotico Palazzo della Cultura, che accoglie quattro musei (Storia, Arte, Scienza e Tecnologia, Etnografico), uno dei quali, quello di Arte, era chiuso per ragioni di orario, mentre ragioni di orario hanno indotto a limitare la visita a quello della Storia della Moldavia. Il resto della giornata è trascorso per il team italiano fra una escursione sulle colline boscose appena fuori città, alture da cui si coglie con un colpo d'occhio Iaşi e nella stessa inquadratura, una veduta lacustre e i campi circostanti; a seguire, lo shopping per mercatini e centri commerciali, nota omologante dei paesaggi non solo consumistici del nostro tempo. Questo non toglie nulla a una città dall’identità forte quale abbiamo scoperto essere Iaşi, con gente che manifesta grande senso civico e spirito di accoglienza: una città ordinata, molto pulita, con lunghi rettilinei e grandi viali alberati, dove il flusso veicolare scorre senza ingorghi: nulla a che vedere, insomma, col traffico caotico che congestiona in modo esasperante le vie di Catania.
La mattina seguente, lasciata Iaşi, il breve scalo aereo a Bucarest non ha consentito più di una rapida ricognizione del quartiere di Lipscani e della zona adiacente, dove, superato il parco di fronte a cui scorre il Dambovita, il fiume che attraversa la capitale, si erge la massa apoplettica del Palazzo del Parlamento. Alla raccolta atmosfera della chiesetta che immette al Monastero di Stavropoleos, invito e invocazione a elevarsi alla filocalia, all’amore e contemplazione della bellezza, faceva da contrappunto il Palazzo del Parlamento, il secondo edificio sede di organismi politici e amministrativi più grande al mondo dopo il Pentagono, a quanto è dato sapere. Non privo di un suo fascino ipnotico, di un irresistibile appeal catatonico, questa non redimibile e dispotica bruttura, punta di diamante di una utopia concentrazionaria sia politica che estetica, sembra costruita perché chi sta all’esterno di essa abbia l’opportunità unica al mondo di sentirsi prigioniero tanto quanto chi sta dentro di essa. Nonostante questo, non tutti sarebbero disposti a trascorrere le proprie ore di lavoro o di ozio all’interno di questo mausoleo dell’ideologia cui è sopravvissuto: anche gli archi e le colonne che sono mobilitati nell’impresa e ivi aggiogati per sempre paiono condannati alla stessa mancanza di libertà di chi vi fosse ospitato. Così, viene da pensare che i Romeni vi abbiano collocato i propri parlamentari sperando che quello che può essere di monito ai politici abbia un qualche effetto apotropaico per le sorti del Paese. Che, a scorno o in virtù di questa scelta di continuità con la destinazione d’uso istituzionale dell’edificio, non è ancora ammesso nell’area-euro.
In conclusione, la partecipazione e anzi, le finalità di un progetto europeo, che tendono statutariamente a creare una comunità del sapere e una nuova cultura ripensando quelle di partenza, non possono limitarsi all’assolvimento di un programma didattico o a ottemperare doverosamente incombenze iscritte in un bando, sia pure in rispondenza alle esigenze di società alle prese con trasformazioni epocali. Avvicinare popoli e tradizioni, comprendere o anche solo approcciare preliminarmente la mentalità, le tradizioni, l’eredità storica; rispettare e anzi, valorizzare le differenze e scoprire le costanti di fondo dell’appartenere a una comunità storico-culturale sono fattori almeno altrettanto importanti dello scambio di esperienze di lavoro, di confronto fra modelli di organizzazione della trasmissione del sapere e del raggiungimento di obiettivi prefissati. La Romania e Iaşi hanno offerto opportunità preziose in tal senso, che hanno fatto di questo primo incontro un’esperienza istruttiva e coinvolgente. Per il rilievo storico e le testimonianze del passato nazionale, infatti, Iaşi è considerata la città-museo della Romania; se a questo si aggiungono le sue cinque Università pubbliche e sette private, è facile comprendere come la città costituisca il polo culturale principale o fra i primissimi centri di formazione e produzione culturale del Paese.
Fra tutte le persone incontrate in Romania, sempre gentili, quando non cordiali, con noi Italiani, una menzione speciale va al signor Ioan Gradinariu, ingegnere in pensione che ha trasportato il nostro team, prima, all’arrivo, dall’aeroporto all’albergo dove hanno alloggiato i team delle scuole-partner, il Traian Hotel, costruito su progetto di Gustave Eiffel, situato nella centrale piazza Unirii; successivamente, nel giorno che precedeva la partenza, Ioan ha condotto il nostro team in una escursione nei dintorni della città. Ioan parlava un ottimo italiano, imparato da autodidatta leggendo i classici del nostro Paese e seguendo i programmi della nostra Rete televisiva di Stato. La padronanza della lingua italiana, oltre che delle competenze tecniche necessarie per svolgere l’attività professionale, ha consentito a Ioan, pur non avendo la tessera del Partito, di lavorare in Italia per progetti in partnership con l’I.R.I. all’epoca di Ceausescu. Con Ioan è stato possibile soffermarsi, sia pure per sommi capi, ma in maniera non superficiale e in un italiano al di sopra degli standard in uso su vecchi e nuovi media, sui temi più disparati. Del resto, notevole e talora, misconosciuto (in particolare, è il caso, ci è stato detto, di Lucian Blaga: approfondire) è il contributo che la cultura romena, della diaspora migratoria come degli intellettuali rimasti in loco, ha recato al Novecento europeo: da Constantin Brancusi e Tristan Tzara a Eugéne Ionesco e E. M. Cioran, Vintila Horia e Mircea Eliade, passando per Tudor Arghezi e arrivare a Ana Blandiana e a Nichita Stanescu (citato par coeur: “Io stavo a un’estremità dell’ora/ tu – all’altra,/ come i due manici di un’anfora”). Ioan ha voluto gratificare personalmente il nostro team col dono di due copie di “Fiore azzurro”, una edizione romena (del 1989) in lingua italiana (a riprova dell’interesse della cultura romena per il nostro Paese) di una antologia delle poesie di Mihai Eminescu, brillantemente tradotte da e a cura di Geo Vasile, italianista romeno assai apprezzato dalle nostre parti. Ascoltare Ioan parlare nella nostra lingua aiuterebbe a imparare a amare di più la lingua italiana quanti in Italia – non solo né primariamente nelle aule scolastiche – si accontentano di un italiano twitterizzato, cui non chiedere niente e da cui non ricevere nessuna luce della bellezza e della grazia che la lingua italiana possiede. Ma, accanto a Ioan, che ci ha conquistato tutti con la sua semplicità e umanità unite all’amore per il sapere, non possiamo fare a meno di ricordare gli studenti che ci hanno accolto e fatto da mentori al Liceo “Grigoire Moisil”: per tutti, citeremo Tudor, Alexandru 1 e Alexandru 2, tanto per distinguerli. Con loro, vanno ringraziate la Dirigente, Carmen Losonczy e le colleghe della scuola leader del progetto: Lacramioara Popa, Ada Zvîncǎ, Marlen Rados, Cristina Timoftle, Lacramioara Tufescu e Narcisa Adochiei.
Rocco Giudice
P.S. Ah, un’altra cosa: auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutti!