Nella mia lunga
carriera professionale mi sono imbattuto in prevalenza in
due diverse tipologie di dirigenti scolastici. La prima categoria,
forse la
più diffusa nel mondo della scuola, è quella del preside dispotico, che
tratta l’istituzione in un modo autocratico e verticistico, scambiando
l’autonomia scolastica per una tirannide di tipo individuale e stimando
i
rapporti interpersonali in termini di supremazia e di subordinazione.
Questa figura non predilige affatto le norme e le procedure di
carattere
democratico, bensì preferisce scavalcare gli organi collegiali ed
assumere
ogni decisione in maniera arbitraria e discrezionale senza consultarsi
con
nessuno. Inoltre, costui si pone sempre in modo protervo ed
autoritario,
esibisce un cipiglio severo per intimorire e mettere in soggezione gli
altri. Ed abusa sovente dei propri poteri, perpetrando facilmente
angherie
o soprusi nei riguardi dei sottoposti, trattati alla stregua di sudditi
privi di ogni diritto e tutela, con i quali si comporta in modo
inclemente.
La seconda tipologia, che è probabilmente la più pericolosa, è quella
del
dirigente affarista e demagogo, che potrebbe sovrapporsi o coincidere
con
il tipo assolutista. Un dirigente siffatto tende a concepire la scuola
come
una sorta di proprietà privata e la sfrutta per scopi di lucro e
prestigio
personale, per cui la gestisce in modo tale da trasfigurarla nel più
breve
tempo possibile in un vero "progettificio scolastico". In tal senso si
adopera per reperire finanziamenti economici aggiuntivi stanziati a
disposizione delle scuole, da cui attingere ed elargire i fondi senza
criteri equi, applicando logiche di tipo clientelare e paternalistico
al
fine di premiare una cerchia oligarchica composta dallo "staff
dirigenziale". Da un simile assetto politico-gestionale discende un
carrozzone di stampo assistenzialistico carico di una pletora abnorme
di
iniziative didattiche e progettuali eccedenti, con scarse ricadute ed
incidenze positive sulla formazione educativa e culturale degli
studenti.
Una simile sovrabbondanza di sovvenzioni e contributi finanziari è
funzionale in primis a beneficiare un'esigua minoranza di insegnanti
che
supportano il dirigente.
Inoltre, esiste un’altra tipologia, ossia quella
del preside umano, con pregi e difetti caratteriali. Si tratta, senza
dubbio, di un esemplare assai raro, ma è l’unico che ispiri la mia
simpatia, la mia stima e la mia approvazione sincere.
Infine, qualcuno mi
risponda sul potere di "chiamata diretta" dei docenti in base a criteri
discrezionali o arbitrari dei presidi. Temo che non sia il miglior
antidoto
rispetto alle pratiche clientelari, già diffuse nel mondo della scuola.
È
ovvio che tali fenomeni rischieranno di acuirsi ed estendersi a macchia
d'olio.
In buona sostanza, la legge 107/2015 ha sterzato bruscamente in
direzione aziendalista e liberista, stravolgendo ulteriormente
l'assetto e
l'architettura istituzionali della cd. "autonomia scolastica".
Un'infelice,
grottesca ed inquietante caricatura di "sceriffo" (ovvero una
sottospecie
burocratica di "manager privato") detiene anche il potere discrezionale
di
assegnare, mediante meccanismi di nomina diretta, sede e cattedra di
insegnamento, oltre a determinare addirittura cosa e come insegnare. In
altri termini, la tanto vilipesa e bistrattata "libertà didattica" mi
pare
destinata a farsi benedire in maniera definitiva.
Lucio Garofalo