Una
sentenza, nel dicembre del 2017, dopo cinque anni di contenziosi, ha
ribaltato l'orientamento del Consiglio di Stato e, a distanza di mesi,
con la lentezza tipica delle questioni che in Italia riguardano gli
ultimi, è scoppiato il caso Diplomati magistrali. Non perché fosse
giusto occuparsene, non perché i docenti interessati dalla questione
sono un dato strutturale del sistema scolastico: perché finalmente è
trapelato, grazie a manifestazioni in ogni angolo del Paese, che 55.000
docenti, di cui circa 7000 in ruolo, rischiano di non lavorare più.
Questo ha finalmente fatto accendere i riflettori sulla loro quasi
ventennale presenza, fatta di negazione e sfruttamento. Docenti buoni
per tappare i buchi di un sistema deficitario e (forse) volutamente
incapace di risolvere una questione tanto semplice come quella di
riconoscere la dignità professionale di quanti, dal 1999, hanno retto
la scuola italiana, pubblica e privata.
Oggi, la stampa prima, la politica poi, "scoprono" che esiste il
problema di gestire il caos generato dalla politica stessa che, dal
lontano 2009, ha fatto orecchie da mercante ignorando ogni appello,
ogni indicazione, ogni richiesta, ogni possibilità di applicare il buon
senso, davanti alla questione dei diplomati magistrali, relegati in III
fascia d'istituto, nonostante il valore abilitante del loro titolo,
stabilito da leggi mai applicate.
Questa è stata la causa che ha quasi obbligato ad intraprendere la via
legale: la disapplicazione della normativa e a cecità difronte alle
richiesta avanzate che miravano alla ricerca di strumenti adeguati al
profilo dei "maestri" con u titolo valido all'insegnamento e tanti anni
di servizio alle spalle.
Nessuno in politica o al MIUR ha mosso un dito, nonostante la palese
violazione, ed abbiamo dovuto invocare la Giustizia europea, affinché
si facesse chiarezza. Ma sull'ottusità delle istituzioni italiane
nessun arretramento e ciò che era logico trovava l'illogica chiusura
del MIUR e del Parlamento che, evidentemente, mirava ad azzerare la
categoria soltanto negandone l'esistenza. Abbiamo in tutte le sedi
chiesto percorsi adeguati di riqualificazione del titolo, per superare
lo scoglio del "merito", la scusa ventilata dall'amministrazione e
dalle università per chiudere la strada ad ogni forma di rivalutazione
del titolo. Niente di niente!!! .
È iniziato così, solo come extrema ratio, un iter legale intrapreso
direttamente dalla categoria e poi cavalcato da organizzazioni
sindacali e studi legali, ma l'iter ha poi avuto un andamento
frammentato e disomogeneo che oggi ha portato al caos assoluto,
risolvibile solo da quella politica che ha voluto tutto questo. Ma nel
voler risolvere, la stesa politica oggi scopre che esistono quelli che
chiamano "controinteressati" quei docenti altrettanto dimenticati,
dello stesso segmento di scuola, che hanno conseguito il titolo valido
all'insegnamento nella scuola primaria istituito dopo aver nascosto
sotto al tappeto tutti gli altri, coloro i quali lo avevano conseguito
prima, secondo regole e norme dettate dallo stesso Stato.
La riforma della scuola ha dimenticato un intero pezzo della scuola che
voleva riformare, la scuola primaria e dell'infanzia, ed ora i docenti
di questo segmento si trovano ad essere strumentalizzati in proposte di
soluzione che li vogliono contrapposti, in virtù della necessità di
"selezionare" i docenti, come si sostiene voglia il Paese e come, si
dice, serve alla scuola.
Possibile che alla scuola serva ora una tale selezione? E in tutti gli
anni passati, dove i diplomati magistrali, dal 1999, a migliaia, sono
stati utilizzati annualmente e continuativamente per garantire il
regolare funzionamento del sistema?
Possibile che adesso serva armonizzare interessi e posizioni diverse,
quando gli uni e gli altri sono sempre esistiti, almeno da quando è
stato cambiato il percorso di formazione dedicato all'insegnamento
nella scuola primaria, fianco a fianco?
Nel caos degli ultimi anni, sono stati utilizzati i mezzi più disparati
per alimentare una inesistente contrapposizione., inesistente perché,
sempre gli uni e gli altri, sono frutto di decisioni e normative
differenti, non realtà autogenerate. E, sempre gli uni e gli altri,
sono stati parcheggiati, in un precariato perenne, in successione,
prima i diplomati, poi i laureati.
Dal 2009 indichiamo la strada per far uscire dal precariato le migliaia
di persone che, legittimamente e in base a decreti ministeriali, hanno
formato,educato e istruito decine di migliaia di bambini. Solo con una
serrata azione legale, siamo riusciti ad ottenere il riconoscimento del
titolo e la noncuranza istituzionale, disarmante e ottusa, ha favorito
il proliferare di contenzioni che si sarebbero potuti evitare se
soltanto i vari Governi che si sono succeduti avessero attuato il
giusto riconoscimento ai docenti che lo reclamavano. Oggi la questione
è probabilmente esasperata ed esasperante, frutto di una inaccettabile
mancanza di responsabilità da parte del mondo istituzionale e politico
e forse per questo, per la sua complessità e per voglia di accaparrarsi
fasti e consensi da parte di chi arriverà primo nella definizione di
una soluzione, si sta facendo la corsa a dimostrare interesse e volontà
nei riguardi della categoria nell'occhio del ciclone.
Quale sarà la soluzione che prevarrà, non rappresenterà che un atto
dovuto dopo le responsabilità dirette ed indirette del monto
politico-istituzionale, non una vittoria, visti gli anni di battaglie
condotte contro i mulini a vento di associazioni e movimenti, in difesa
della categoria.
Valeria Bruccola, Coordinatrice
Nazionale Adida