La scuola odierna, non
solo in Italia, è da anni ridotta ad essere una scuola finta, ma per la
semplice ragione che ne hanno voluto fare altro:
una "azienduola", nella migliore (?) delle ipotesi. Vale a dire che
hanno alienato, ovvero mercificato la funzione della scuola pubblica e
ne hanno fatto una finzione caricaturale di azienda, una sorta di ibrido
mostruoso tra l'azienda e la scuola (un'azienduola, per l'appunto). E
si sa che in un'azienda (finta o vera che sia, poco importa) dominano le esigenze
del mercato e che nel mondo del commercio i clienti (o gli utenti: nel
nostro caso, i genitori e i figli) hanno sempre ragione. Soltanto così si
spiega l'umiliazione crescente e la svalutazione della professione
docente e l'annientamento del valore di una scuola autentica e seria,
cioè autorevole e credibile. Una scuola che finge di valutare
(ovverosia assegnare percentuali che poi si traducono in fasce di livello e voti), in cui
vige la dittatura dell'Invalsi e di quella docimologia che si è
tramutata in ideologia della valutazione, in un puro stile aziendalista
(anzi, pseudo tale), comporta proprio tali conseguenze.
Ma si tratta solo di una mera finzione, di una falsa ideologia ed
estetica della valutazione, per finalità prettamente
burocratico-formali. Sia chiaro: il merito va giustamente sancito e premiato, non esaltato,
né cristallizzato in una ideologia funzionale al sistema ed alla
logica, cinica e spietata, della competizione e del mercato
capitalistico. Ma il merito (di chi studia e si impegna) non può essere
negato o calpestato, ed ancor meno mortificato. Io opero nella scuola
primaria, dove i vari genitori "pariolini" fanno già valere la loro
influenza a beneficio esclusivo dei "figli di papà".
Purtroppo, noto tale atteggiamento già tra gli alunni (ancora bambini)
delle classi della primaria: coloro che studiano, lo fanno solo per
conseguire un bel voto, e non per una sincera passione allo studio.
Eppure, io sono un insegnante che non assegna alcun valore, né rilievo
al voto. Per cui una tale attitudine dipende dai genitori. Ora, detto
ciò, se non si rilancia o si rivaluta la centralità sociale, politica
ed educativa della professione docente (che non deve essere scambiata,
né bistrattata come una "missione religiosa"), in primo luogo a livello
economico-retributivo, oltre che in termini di prestigio, di serietà ed
autorevolezza, tutto il resto sono chiacchiere vuote e sterili. Incluse
le ipotesi di "riforma" più eque e razionali.
Anche perché proprio quanti dichiaravano, ma solo a chiacchiere, di
voler salvaguardare e rappresentare gli interessi, le istanze e le
prerogative della scuola pubblica e del corpo docente, ovvero la
sinistra tradizionale e gli stessi sindacati di categoria, in primis la
CGIL, hanno svenduto un prezioso, ricco ed inestimabile tesoro di
esperienze, di idee, di energie, di cultura e di intelligenza, che (è
il caso di rammentare) il nostro Paese vantava.
Basti ricordare che la scuola di base (ossia l'infanzia e l'istruzione
primaria) figurava, se non al primo posto nel mondo, senz'altro tra le
migliori istituzioni scolastico-educative in assoluto. Per cui un senso
di sconforto e di rassegnazione amara (di resa giammai!) è lì in
agguato e rischia di assalirti in modo quasi inevitabile (è umano,
credo) ogni qualvolta ci si ritrova costretti in uno stato di
solitudine, di marginalità creata ad arte, e ci si sente circondati da
un clima di ostilità e diffidenza da parte dei colleghi e da un diffuso
e palese atteggiamento di omertà e ipocrisia, non appena ci si azzarda
ad esternare una libera e legittima opinione, a muovere un'obiezione
sacrosanta, ovvero ad intraprendere azioni di critica verso chi dirige
la scuola.
La critica al lavoro ed alla scuola autoritaria, espressa dai moti
studenteschi del '68, era giusta, così pure altre istanze, idee e
rivendicazioni sorte nel clima di lotta e di protesta radicale del
Sessantotto, ripreso dalle esperienze e dai movimenti successivi. Il
sistema capitalista ha inglobato, assorbito quelle rivendicazioni e
quelle critiche (ripeto: sacrosante) in misura funzionale per sé e la
propria sopravvivenza e il perpetuarsi di un ingranaggio di potere e
dominio di classe. La reazione storica del Capitale è stata utile e
conveniente solo per sé stesso, in funzione del mantenimento di uno
status quo che era stato assaltato con un vigore critico mai visto e
messo seriamente in discussione da un vasto movimento di massa
rivoluzionario, sconfitto solo a livello politico, mentre sul versante
culturale ha esercitato un'azione potente e capillare di influenza
intellettuale egemonica, sfruttata dal sistema stesso a proprio
vantaggio, in primo luogo quando sono stati cooptati nei ruoli
accademici di massimo prestigio, personaggi quali Asor Rosa, Cacciari e
via discorrendo.
Oggi, un'inversione radicale è possibile (forse) solo in un altro
modello di società. Per cui serve un processo di ampia e profonda
mutazione dell'esistente in senso rivoluzionario. Ma, per un simile
traguardo, occorre rinnovare in maniera profonda, alla radice, la
teoria e la prassi rivoluzionarie.
Lucio Garofalo