MicheCara studentessa ti risponde un'insegnante.
5 giugno 2005
da http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/
Cara Letizia, mi chiamo Cristina e sono un'insegnante: la tua lettera è stata un bel pugno nello stomaco! Ho letto un po' incredula le tue parole e - quasi per un riflesso condizionato - sono qui a risponderti o forse no, cerco soltanto di ripetere a me stessa delle cose per continuare a fare questo mestiere di insegnante sempre più faticoso (non sorridere, è proprio così).
In un libro da poco pubblicato, studenti e studentesse come te dicono che non farebbero mai l'insegnante e sai perché? Perché «in nessun altro lavoro la gente fatica tanto e guadagna così poco», «c'è un sacco di lavoro al di fuori di quello svolto in classe» e bisogna fare un sacco di cose inutili e noiose come «gli esami, le relazioni, il registro, e (sob!) ricevere i genitori degli alunni!».
Com'è possibile che quasi nessuno di loro desideri invece fare un lavoro che promette - come tu racconti - qualche ora di lezione al giorno, tre mesi «di pacchia totale» e via discorrendo con l'elenco dei luoghi comuni?
Cara Letizia, hai mai incontrato un insegnante di quelli veri, uno preparato ma non pedante e noioso, ancora giovane dentro anche se con i capelli bianchi, che ogni giorno dialoga (o almeno ci prova) con persone che hanno 30 anni di meno e che spesso non sanno ancora ciò che vogliono? Almeno uno, da conservare nell'archivio dei tuoi ricordi, in modo da ripensarci a mente fredda e chiederti: ma come faceva questa persona a fare bene il suo mestiere?
Se potessi incontrarti, chiacchierando un po' con te, ti direi che io - per fare bene il mio lavoro - leggo molto (e ci vuole tempo e calma), anche i giornali, come fai tu per esempio e che quando mi capita un bell'articolo, un reportage o un'inchiesta mi vengono in mente le domande mute di tanti ragazzi e ragazze a scuola e mi metto a pensare: come posso far entrare questi pezzi di realtà in quel mondo separato che è l'ambiente scolastico?
Ti confiderei pure che mi piace andare al cinema (anche con i ragazzi), ai concerti o vedere un videoclip. E sai perché? Per accorciare un po' la differenza d'età che mi separa dal tuo/vostro mondo, che spesso è per me «un mondo a parte». Ma pensi davvero che sarebbe meglio per noi insegnanti se stessimo più tempo ancora in quegli edifici tristi che sono spesso le nostre scuole, dove non sappiamo nemmeno dove sederci per leggere o scrivere qualcosa?
Ma tu ormai stai per diplomarti e presto sarai fuori, ti troverai a navigare in mare aperto, senza rete, e dovrai fare affidamento soprattutto su te stessa; chissà se ti capiterà qualche volta di rimpiangere la scuola? Stai per entrare in un'altra «gabbia di matti», che è il mondo in cui viviamo! Ciao, Letizia e in bocca al lupo!
Maria Cristina Rinaldi Bari
Fosse per me, farei un monumento agli insegnanti e non per liquidarli alla memoria. Ovvio, agli insegnanti che leggono, studiano e quant'altro, non quelli che si limitano a timbrare il cartellino (ma è una differenza che esiste in tutti i lavori). E credo anche che sarebbe ora di non insistere sull'argomento dei due mesi d'estate a casa, e di Natale, e di Pasqua: non l'hanno scelto loro. Né dico queste cose perché sono sottopagati. Bisognerebbe però farne una piccola esperienza per capire cosa vuol dire porgere ad altri conoscenza ma anche fatica, curiosità ma anche dovere. Senza contare, come dice la prof. Rinaldi, il lavoro a casa: andiamo a vedere cosa vuol dire compilare il «portfoglio» voluto quest'anno dalla ministra Moratti, e poi ci risentiamo.
04/06/2005
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