Concorso a cattedre per quanti? Pochi o tutti?
di Calogero Virzì
L’approvazione del decreto sulla formazione iniziale degli insegnanti del 14 ottobre scorso prevede inaspettatamente, che per diventare insegnanti titolari a scuola, bisogna superare un concorso nazionale.
Si ritorna alle tanto contestate forme di reclutamento di molti anni fa. Ma non basta. Per diventare insegnanti serve superare una corsa ad ostacoli continui di cui il concorso è l’ultima prova selettiva.
Anche oggi è difficile diventare insegnanti, vi sono diverse prove selettive, ma il percorso è almeno semplice. Laurea, due anni di SSIS e iscrizione in graduatoria permanente.
Il decreto contiene numerosi ostacoli e qualche aberrazione.
Il primo ostacolo si presenta dopo la laurea breve. Per acquisire l’abilitazione all’esercizio della professione bisogna superare lo sbarramento di accesso al percorso della laurea magistrale.
Il secondo ostacolo è l’esame di Stato finale con cui si ottiene l’abilitazione.
Finora finito un simile percorso che completava la formazione scientifica e professionale si andava ad insegnare. Con il nuovo decreto il calvario è ancora in gran parte da percorrere.
Acquisita l’abilitazione ci si iscrive in una graduatoria regionale e si aspetta la segnalazione presso una scuola. Se si è bravi e fortunati, bravi per l’alto punteggio di laurea e fortunati per aver azzeccato la regione giusta, il proprio nome viene segnalato ad una scuola per fare un anno di praticantato.
Il terzo ostacolo è il giudizio finale dato dalla scuola. Un ostacolo non difficile, ma delicato. Infatti non solo serve un giudizio positivo, ma è previsto anche un punteggio che serve per partecipare al concorso e probabilmente contribuirà nel determinarne l’esito finale.
Il quarto ostacolo è il concorso. Dopo sei anni di formazione disciplinare e tecnico-professionale, due giudizi positivi dell’Università ed un giudizio altrettanto positivo della scuola si può essere bocciati in sede di concorso.
L’aberrazione si ritrova nel c. 5 e c. 6 dell’articolo 3 che regolano la fase transitoria in maniera poco comprensibile.
Infatti quanti sono in possesso di un “titolo accademico acquisito con il previgente ordinamento” devono acquisire, secondo il comma 5, una nuova laurea, la laurea magistrale, se vogliono intraprendere la trafila che porta all’insegnamento, ma per gli stessi soggetti il comma 6 prevede “ulteriori titoli abilitanti” con corsi organizzati dalle competenti strutture didattiche universitarie.
Chi supera il concorso ha garantito il posto, dice il Ministero. E’ ovvio, avviene per tutti i concorsi che selezionano quanti servono.
I problemi sono altri.
Il primo riguarda i soggetti che concorrono. Si arriva alla meta dopo una continua scrematura e la selezione viene affidata ad una commissione che conosce il candidato solo in sede di esame. Quanti lo hanno conosciuto durante i percorsi accademici formativi o durante l’esperienza lavorativa non contano nella scelta.
Il secondo problema riguarda la ripartizione dei posti. 500 mila precari cederanno metà dei posti da loro occupati da anni ai vincitori dei concorsi. Un percorso privilegiato per sistemare dei “privilegiati” in tempi di vacche magre?
Simulazione
Ma quanti parteciperanno al primo concorso e per quanti posti?
La simulazione che segue viene effettuata a partire dai dati del Miur sui pensionamenti.
Anni considerati: 2006/2007/2008.
Turn-over stimato per ogni anno: 23mila docenti. Aumento del 30% = 6,900 posti. Totale fabbisogno nel triennio 2006/2008: 89.700 insegnanti.
Distribuzione dei posti al 50%: 44.850 alle graduatorie permanenti e altrettanti ai concorsi a cattedra.
Graduatorie permanenti (precari storici + abilitati Ssis fino al VI ciclo per un totale di circa 500mila docenti): 44.700 posti, cioè una cattedra ogni 11 aspiranti.
Nuovo ordinamento: aspiranti nel triennio 89.700; posti nel triennio 89.700 = 1 cattedra per ogni aspirante.
27/10/2005
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