RIPARIAMO LA SCUOLA SUPERIORE.
RITORNI L'ESAME DI RIPARAZIONE!
Alessandro Salerno da DocentINclasse, 29/3/2007
Giugno 1994, ho ventitré anni. Sono sul prato del Foro Italico, a Roma, per la cerimonia conclusiva di una grande manifestazione sportiva. Per caso, càpito tra le personalità e ad un certo punto ecco che mi ritrovo nel mezzo di una beata chiacchierata, fatta di frasi ad effetto, risate crasse e risolini, tra l'allora Ministro della Pubblica Istruzione, il catto-centrista Francesco D'Onofrio, e un preside di mia conoscenza, soi-disant catto-progressista. Il ministro ha in mente di abolire gli esami di riparazione nella scuola superiore. Così, tanto per passare alla storia. Il preside, che vede Berlusconi come il fumo negli occhi e che spera in un'imminente caduta del governo, non crede alle sue orecchie. "Ma... allora, - balbetta - siamo perfettamente d'accordo! Destra e sinistra perfettamente d'accordo?!". E adesso spera che il governo duri quel tanto che basta.
Il sugo della chiacchierata si può sintetizzare nelle seguenti mirabolanti espressioni che mi sono rimaste, ahimé, scolpite nella mente: "Così la finiranno di guadagnare milioni in nero", riferita al popolo dei docenti-evasori fiscali, come noto, una delle piaghe nazionali subito dopo la mafia e la droga. "Così la finiranno di rovinare le vacanze alle famiglie italiane". Risate. "Così si rilancia il turismo!". Risolino mio. "Così finalmente inizia la riforma della scuola superiore, perché è illusorio riformare la scuola come un tutt'uno, bisogna colpire i punti nevralgici, poi tutto verrà da sé". "Sì, bisogna partire dai piani alti, perché è da lì che si comanda tutto. Le maestre hanno il terrore che i loro alunni un giorno saranno rimandati in italiano o in matematica". Risolini. "Sì, bisogna colpire queste stupide liturgie scolastiche, l'educazione non passa certo attraverso esami e scrutini, ma dall'attuazione di un patto intergenerazionale tra individui che si interrogano sul perché del loro vivere insieme l'esperienza scolastica, attuando scambi di informazioni reciproche che portino alla generazione di sinergie capaci di individuare e produrre i contenuti di cui si ha bisogno nell'odierna società complessa, contenuti che si individuano e producono nella misura in cui si sia capaci di transitare al di là delle singole vetuste barriere disciplinari sulla via di una progressiva autoliberazione transdisciplinare"
Beh, non crederete mica che ai miei neuroni altamente selettivi siano potute rimanere appiccicate parole così bislacche. No, quest'ultimo giro di pensiero (pensiero?) non riproduce fedelmente ciò che udii, ma un certo tenore del discorso sì, insomma, quella fuffa pedagogica così fumosa e insensata, così mancante di stile e rigore che grida vendetta al cospetto di Schopenhauer.
Quella fuffa che in quegli anni iniziò a dilagare, subito dopo il crollo del muro, che prima aveva fatto diga a tante stronzate e contribuito a mantenere una certa parvenza di decoro e serietà nelle società occidentali.
Avrei voluto urlare "Noooooo! Fermatevi!". Ma vuoi per la timidezza, vuoi per la situazione insolita, o perché proprio in quel momento mi consegnavano una fiaccola da portare non so dove, non dissi proprio nulla. Ora, non penserete che un giovane docente (sì, perché oggi insegnare al liceo a trentacinque anni significa garantirsi l'aggettivo "giovane" per altri quindici, senza la necessità di alcun ritocco) si metta a fare un'operazione nostalgia sulla scuola che fu. Non è di questo che si tratta. Si tratta del fatto che un fiume scorre nel suo alveo. Altra cosa è la palude. Hanno trasformato un fiume in una palude: mi spiegate che senso ha? Non è che il fiume di una volta portasse sempre acque chiare, fresche e dolci. Però si capiva che era un fiume. Aveva una direzione e uno sbocco. Ora è una palude melmosa e inquinata. Non si capisce più nulla.
Le liturgie. Ma che male fecero mai le liturgie? C'erano tre momenti liturgici, di una litugia laica sobria e dignitosa (l'uomo vive anche di riti, per Dio!): Natale (1° trimestre), Pasqua (2° trimestre), Pentecoste (3° trimestre). Chi aveva studiato meritava il paradiso. Chi non aveva fatto nulla, ripeteva l'anno (e non era mica una dannazione eterna!). Chi aveva manifestato difficoltà in alcune materie, si faceva un piccolo purgatorio estivo riparatorio e a settembre si rimetteva in corsa con gli altri. A volte, meglio degli altri. Ammesso anche che gli esami di riparazione non fossero più così severi, ma ridotti appunto a liturgia, avevano comunque un risvolto simbolico molto importante.
Adesso è tutto una melma disgustosa, a partire dalla terminologia finanziaria dei debiti e dei crediti. Ma ci starebbe anche bene, se ci fosse il clima di qualche decennio fa, quando fare debiti era ancora una vergogna. Ma oggi che tutti siamo indebitati e una pubblicità martellante invita ad indebitarsi sempre più, oggi che il debito è un must, oggi che si chiedono finanziamenti per pagare i finanziamenti precedenti, oggi che ci si indebita per andare a Sharm, in questo contesto sociale, ecco che miracolosamente a scuola gli studenti dovrebbero fare di tutto per non indebitarsi? Ma la scuola non è mai stata quella turris eburnea di cui si favoleggia. È in osmosi continua con la società, non foss'altro perché ci sono 1 milione di docenti e 10 milioni di studenti. Cioè, siamo già noi la società! E infatti gli studenti, coi genitori indebitati, gli studenti, cui l'intelligenza grazie alla natura non difetta, hanno capito da un pezzo che un debito non troppo grosso - diciamo una o due materie - ti aiuta a vivere meglio, ti aiuta a comprare quel diploma che non potresti acquistare in contanti. Puoi trascinarti un debito per uno, due o anche tre anni.
Sapendo che sei già indebitato, nessuno infierirà su di te. Non conviene saldare il debito subito a settembre, altrimenti è come se non ti fossi indebitato, meglio trascinarselo per tutto l'anno, farà impietosire le professoresse di tutte le altre materie. E poi a un certo punto, arriverà l'indulto. Ecco, al momento di tirare le somme, la scuola sveste pure la troppo arcigna maschera da banca (le banche ti taglieggiano o ti pignorano se non restituisci i soldi a tempo), e si trasforma in mamma Clementina che perdona tutti. Il tragico però è per chi crede che il sistema degli IDEI (Interventi Didattici Evidentemente Inutili) sia veramente funzionale.
Ecco allora gli stakanovisti dei recuperi, che propongono corsi di 30 ore di latino in 7 giorni a studenti che dovrebbero frequentare 30 ore di lezioni la mattina e poi, a seconda dei casi di insolvenza, altre 30 ore di matematica, inglese, filosofia... Gli studenti coreani, al confronto, sono degli oziosi epicurei. Si verificano delle vere e proprie decimazioni nella frequenza di questi corsi "ideali". Si parte in dieci e si arriva con un solo studente intubato. Poi ci sono le prove per vedere se lo studente ha saldato il debito. A settembre la prova è insormontabile, a dicembre si fa abbordabile, a febbraio è risibile, a maggio è invisibile. Debito in matematica. Domanda: "Quanto fa due + due?". Completate correttamente "Qua_ _ _ _". "Bravo, hai saldato il debito". Se lo studente non lo salda, è perché non si è presentato. Ma moltissimi non lo saldano. Ed è chiaro il perché. Gli studenti e i genitori sono contrari alla bocciatura. Non è giusto che il debito debba essere bocciato, va promosso alla classe successiva. Dove si ricomincia. Nei casi di piccoli debiti si fanno delle "collette" curriculari. Prendiamo il caso della storia. Dopo una lezione sulla guerra fredda, ci si ricava un minuto per dire agli alunni indebitati: "Vi ricordate di Cromwell?". Sì, come no. E si fa un fritto misto con Truman, Marshall, Stalin e Kruscev.
Ma quanto spende ogni anno lo Stato per finanziare attività di recupero che non recuperano nulla e intralciano l'attività curriculare? Continui a finanziarle, per carità; mica ci vorranno togliere pure questi soldi? Ma si stabilisca chiaramente, per legge, che i corsi si tengono su base volontaria nel mese di luglio in locali scolastici climatizzati e che gli esami si svolgono nella prima settimana di settembre. Che ci vuole a fare un decreto del genere? Nulla e non costa nulla (neanche il costo per i "Pinguini", perché i corsi si terrebbero nei locali già climatizzati delle varie presidenze, che a luglio sono notoriamente deserti). Ma darebbe un chiaro segnale di inversione di tendenza. Riporterebbe un minimo di ordine, quantomeno nel calendario scolastico, e non sarebbe mica poco. Qualche collega benaltrista potrebbe pensare che ci vuole ben altro per cambiare la scuola. Io, più modestamente, credo ancora nei riti, nelle liturgie e nei simboli.
La nave della scuola italiana imbarcava già acqua da più parti, quando il distruttivo D'Onofrio aprì quell'immensa falla, poi arrivarono il mai troppo rimpianto Luigi Berlinguer (tutti rimpiangiamo il giorno in cui lasciò l'università per darsi alla politica) e la soave Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti sulla quale stendiamo un pietoso velo lungo quanto il suo nome e largo quanto tutta Milano, dove continua a fare la manager fuori azienda. De Tullio et Fioronibus non loquor (non possumus parvos componere magnis).
Cari colleghi, non aspettiamoci più nulla dall'alto dopo le continue bastonate degli ultimi tredici anni. Ripartiamo da noi. Ripartiamo dal basso. Ripartiamo da quella falla. Proviamo a turarla. Non siamo ancora affondati. Raccogliamo le firme. Dobbiamo essere in 50.000 docenti che firmano per ripristinare gli esami di riparazione. E' la soglia minima, anche per un'eventuale proposta di legge di iniziativa popolare. Facciamoci sentire. Mettiamo al centro dei media un'iniziativa nostra, coordinata e concreta, che parta dalla rete e dal tam tam scuola per scuola. Reclamiamo il diritto di consigliare il legislatore sul nostro stesso campo professionale. Noi non abbiamo una lobby che ci rappresenti, non abbiamo sindacati (non ne abbiamo, vero?), ma siamo in tanti e, seppur divisi e troppo presi dal fare bene il nostro lavoro, possiamo trovare la forza e il coraggio per reagire. Altrimenti la campagna mediatica contro di noi continuerà il suo corso devastante e saremo sempre più nell'immaginario collettivo quelli che vengono picchiati, derisi, insultati, oppure quelli che tagliano le lingue, che dormono sulla cattedra, che masturbano gli alunni. E invece potremmo essere quel Terzo Stato che rimette in moto la storia. O siamo solo dei paria? Fatemi credere di no, per favore. Ho "solo" trentacinque anni.
RITORNI L'ESAME DI RIPARAZIONE!
Alessandro Salerno da DocentINclasse, 29/3/2007
Giugno 1994, ho ventitré anni. Sono sul prato del Foro Italico, a Roma, per la cerimonia conclusiva di una grande manifestazione sportiva. Per caso, càpito tra le personalità e ad un certo punto ecco che mi ritrovo nel mezzo di una beata chiacchierata, fatta di frasi ad effetto, risate crasse e risolini, tra l'allora Ministro della Pubblica Istruzione, il catto-centrista Francesco D'Onofrio, e un preside di mia conoscenza, soi-disant catto-progressista. Il ministro ha in mente di abolire gli esami di riparazione nella scuola superiore. Così, tanto per passare alla storia. Il preside, che vede Berlusconi come il fumo negli occhi e che spera in un'imminente caduta del governo, non crede alle sue orecchie. "Ma... allora, - balbetta - siamo perfettamente d'accordo! Destra e sinistra perfettamente d'accordo?!". E adesso spera che il governo duri quel tanto che basta.
Il sugo della chiacchierata si può sintetizzare nelle seguenti mirabolanti espressioni che mi sono rimaste, ahimé, scolpite nella mente: "Così la finiranno di guadagnare milioni in nero", riferita al popolo dei docenti-evasori fiscali, come noto, una delle piaghe nazionali subito dopo la mafia e la droga. "Così la finiranno di rovinare le vacanze alle famiglie italiane". Risate. "Così si rilancia il turismo!". Risolino mio. "Così finalmente inizia la riforma della scuola superiore, perché è illusorio riformare la scuola come un tutt'uno, bisogna colpire i punti nevralgici, poi tutto verrà da sé". "Sì, bisogna partire dai piani alti, perché è da lì che si comanda tutto. Le maestre hanno il terrore che i loro alunni un giorno saranno rimandati in italiano o in matematica". Risolini. "Sì, bisogna colpire queste stupide liturgie scolastiche, l'educazione non passa certo attraverso esami e scrutini, ma dall'attuazione di un patto intergenerazionale tra individui che si interrogano sul perché del loro vivere insieme l'esperienza scolastica, attuando scambi di informazioni reciproche che portino alla generazione di sinergie capaci di individuare e produrre i contenuti di cui si ha bisogno nell'odierna società complessa, contenuti che si individuano e producono nella misura in cui si sia capaci di transitare al di là delle singole vetuste barriere disciplinari sulla via di una progressiva autoliberazione transdisciplinare"
Beh, non crederete mica che ai miei neuroni altamente selettivi siano potute rimanere appiccicate parole così bislacche. No, quest'ultimo giro di pensiero (pensiero?) non riproduce fedelmente ciò che udii, ma un certo tenore del discorso sì, insomma, quella fuffa pedagogica così fumosa e insensata, così mancante di stile e rigore che grida vendetta al cospetto di Schopenhauer.
Quella fuffa che in quegli anni iniziò a dilagare, subito dopo il crollo del muro, che prima aveva fatto diga a tante stronzate e contribuito a mantenere una certa parvenza di decoro e serietà nelle società occidentali.
Avrei voluto urlare "Noooooo! Fermatevi!". Ma vuoi per la timidezza, vuoi per la situazione insolita, o perché proprio in quel momento mi consegnavano una fiaccola da portare non so dove, non dissi proprio nulla. Ora, non penserete che un giovane docente (sì, perché oggi insegnare al liceo a trentacinque anni significa garantirsi l'aggettivo "giovane" per altri quindici, senza la necessità di alcun ritocco) si metta a fare un'operazione nostalgia sulla scuola che fu. Non è di questo che si tratta. Si tratta del fatto che un fiume scorre nel suo alveo. Altra cosa è la palude. Hanno trasformato un fiume in una palude: mi spiegate che senso ha? Non è che il fiume di una volta portasse sempre acque chiare, fresche e dolci. Però si capiva che era un fiume. Aveva una direzione e uno sbocco. Ora è una palude melmosa e inquinata. Non si capisce più nulla.
Le liturgie. Ma che male fecero mai le liturgie? C'erano tre momenti liturgici, di una litugia laica sobria e dignitosa (l'uomo vive anche di riti, per Dio!): Natale (1° trimestre), Pasqua (2° trimestre), Pentecoste (3° trimestre). Chi aveva studiato meritava il paradiso. Chi non aveva fatto nulla, ripeteva l'anno (e non era mica una dannazione eterna!). Chi aveva manifestato difficoltà in alcune materie, si faceva un piccolo purgatorio estivo riparatorio e a settembre si rimetteva in corsa con gli altri. A volte, meglio degli altri. Ammesso anche che gli esami di riparazione non fossero più così severi, ma ridotti appunto a liturgia, avevano comunque un risvolto simbolico molto importante.
Adesso è tutto una melma disgustosa, a partire dalla terminologia finanziaria dei debiti e dei crediti. Ma ci starebbe anche bene, se ci fosse il clima di qualche decennio fa, quando fare debiti era ancora una vergogna. Ma oggi che tutti siamo indebitati e una pubblicità martellante invita ad indebitarsi sempre più, oggi che il debito è un must, oggi che si chiedono finanziamenti per pagare i finanziamenti precedenti, oggi che ci si indebita per andare a Sharm, in questo contesto sociale, ecco che miracolosamente a scuola gli studenti dovrebbero fare di tutto per non indebitarsi? Ma la scuola non è mai stata quella turris eburnea di cui si favoleggia. È in osmosi continua con la società, non foss'altro perché ci sono 1 milione di docenti e 10 milioni di studenti. Cioè, siamo già noi la società! E infatti gli studenti, coi genitori indebitati, gli studenti, cui l'intelligenza grazie alla natura non difetta, hanno capito da un pezzo che un debito non troppo grosso - diciamo una o due materie - ti aiuta a vivere meglio, ti aiuta a comprare quel diploma che non potresti acquistare in contanti. Puoi trascinarti un debito per uno, due o anche tre anni.
Sapendo che sei già indebitato, nessuno infierirà su di te. Non conviene saldare il debito subito a settembre, altrimenti è come se non ti fossi indebitato, meglio trascinarselo per tutto l'anno, farà impietosire le professoresse di tutte le altre materie. E poi a un certo punto, arriverà l'indulto. Ecco, al momento di tirare le somme, la scuola sveste pure la troppo arcigna maschera da banca (le banche ti taglieggiano o ti pignorano se non restituisci i soldi a tempo), e si trasforma in mamma Clementina che perdona tutti. Il tragico però è per chi crede che il sistema degli IDEI (Interventi Didattici Evidentemente Inutili) sia veramente funzionale.
Ecco allora gli stakanovisti dei recuperi, che propongono corsi di 30 ore di latino in 7 giorni a studenti che dovrebbero frequentare 30 ore di lezioni la mattina e poi, a seconda dei casi di insolvenza, altre 30 ore di matematica, inglese, filosofia... Gli studenti coreani, al confronto, sono degli oziosi epicurei. Si verificano delle vere e proprie decimazioni nella frequenza di questi corsi "ideali". Si parte in dieci e si arriva con un solo studente intubato. Poi ci sono le prove per vedere se lo studente ha saldato il debito. A settembre la prova è insormontabile, a dicembre si fa abbordabile, a febbraio è risibile, a maggio è invisibile. Debito in matematica. Domanda: "Quanto fa due + due?". Completate correttamente "Qua_ _ _ _". "Bravo, hai saldato il debito". Se lo studente non lo salda, è perché non si è presentato. Ma moltissimi non lo saldano. Ed è chiaro il perché. Gli studenti e i genitori sono contrari alla bocciatura. Non è giusto che il debito debba essere bocciato, va promosso alla classe successiva. Dove si ricomincia. Nei casi di piccoli debiti si fanno delle "collette" curriculari. Prendiamo il caso della storia. Dopo una lezione sulla guerra fredda, ci si ricava un minuto per dire agli alunni indebitati: "Vi ricordate di Cromwell?". Sì, come no. E si fa un fritto misto con Truman, Marshall, Stalin e Kruscev.
Ma quanto spende ogni anno lo Stato per finanziare attività di recupero che non recuperano nulla e intralciano l'attività curriculare? Continui a finanziarle, per carità; mica ci vorranno togliere pure questi soldi? Ma si stabilisca chiaramente, per legge, che i corsi si tengono su base volontaria nel mese di luglio in locali scolastici climatizzati e che gli esami si svolgono nella prima settimana di settembre. Che ci vuole a fare un decreto del genere? Nulla e non costa nulla (neanche il costo per i "Pinguini", perché i corsi si terrebbero nei locali già climatizzati delle varie presidenze, che a luglio sono notoriamente deserti). Ma darebbe un chiaro segnale di inversione di tendenza. Riporterebbe un minimo di ordine, quantomeno nel calendario scolastico, e non sarebbe mica poco. Qualche collega benaltrista potrebbe pensare che ci vuole ben altro per cambiare la scuola. Io, più modestamente, credo ancora nei riti, nelle liturgie e nei simboli.
La nave della scuola italiana imbarcava già acqua da più parti, quando il distruttivo D'Onofrio aprì quell'immensa falla, poi arrivarono il mai troppo rimpianto Luigi Berlinguer (tutti rimpiangiamo il giorno in cui lasciò l'università per darsi alla politica) e la soave Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti sulla quale stendiamo un pietoso velo lungo quanto il suo nome e largo quanto tutta Milano, dove continua a fare la manager fuori azienda. De Tullio et Fioronibus non loquor (non possumus parvos componere magnis).
Cari colleghi, non aspettiamoci più nulla dall'alto dopo le continue bastonate degli ultimi tredici anni. Ripartiamo da noi. Ripartiamo dal basso. Ripartiamo da quella falla. Proviamo a turarla. Non siamo ancora affondati. Raccogliamo le firme. Dobbiamo essere in 50.000 docenti che firmano per ripristinare gli esami di riparazione. E' la soglia minima, anche per un'eventuale proposta di legge di iniziativa popolare. Facciamoci sentire. Mettiamo al centro dei media un'iniziativa nostra, coordinata e concreta, che parta dalla rete e dal tam tam scuola per scuola. Reclamiamo il diritto di consigliare il legislatore sul nostro stesso campo professionale. Noi non abbiamo una lobby che ci rappresenti, non abbiamo sindacati (non ne abbiamo, vero?), ma siamo in tanti e, seppur divisi e troppo presi dal fare bene il nostro lavoro, possiamo trovare la forza e il coraggio per reagire. Altrimenti la campagna mediatica contro di noi continuerà il suo corso devastante e saremo sempre più nell'immaginario collettivo quelli che vengono picchiati, derisi, insultati, oppure quelli che tagliano le lingue, che dormono sulla cattedra, che masturbano gli alunni. E invece potremmo essere quel Terzo Stato che rimette in moto la storia. O siamo solo dei paria? Fatemi credere di no, per favore. Ho "solo" trentacinque anni.