Computer portatili, navigatori satellitari tascabili, lettori multimediali, telefonini e smartphone hanno tutti un problema in comune: l’autonomia, data dalla batteria ricaricabile di cui sono dotati, che esaurisce la propria energia nel giro di qualche ora (o di qualche giorno, per un lettore o un cellulare lasciato in standby). Ma esiste una tecnologia che potrebbe consentire di avere autonomie molto più lunghe, e che potrebbe rivoluzionare il mercato dell’elettronica, così come molti altri settori: che succederebbe, infatti, se una batteria potesse durare venticinque anni senza mai essere ricaricata?
Non si tratta di fantascienza, ma di una tecnologia già esistente che ha trovato applicazione in altri campi, sviluppata dalla Widetronix e sperimentata dalla Lockheed Martin, che ha in corso il progetto per una soluzione che potrebbe fornire alimentazione ai circuiti elettrici a protezione dei dati registrati nei sistemi a bordo di aereoplani o missili. Widetronix sta parallelamente conducendo sperimentazioni con alcuni produttori di apparecchiature medicali per le batterie di dispositivi impiantabili sui pazienti.
Le batterie, definite di tipo betavoltaico, si basano sull’utilizzo di un isotopo radioattivo ( il trizio) e di un semiconduttore, sfruttando uno specifico processo nucleare di decadimento radioattivo, ossia il decadimento beta, che consente di generare corrente elettrica dall’espulsione di elettroni dall’isotopo per ottenere una polarizzazione diretta nel semiconduttore.
Va precisato che un dispositivo ad alimentazione betavoltaica non può vantare una grande efficienza (circa il 25%) e per far sì che una batteria possa durare venticinque anni, Widetronix impiega il doppio del trizio che servirebbe alla corrispondente produzione di energia (sulla base di un tempo di dimezzamento di 12,3 anni), proprio perché esiste un processo di decadimento per ogni isotopo ed è variabile.
Technology Review, nell’illustrare l’attività di Widetronix in questo campo, precisa che oggi questa tecnologia (ancora) non consente di avere energia sufficiente per alimentare in modo efficiente un laptop o un cellulare, ma le potenzialità per produrre batterie di dimensioni ridotte sono concrete e già oggi possono trovare numerose applicazioni, dal controllo remoto di velivoli e missili all’alimentazione di piccoli dispositivi medicali impiantati nei pazienti, fino ad arrivare all’ingegneria civile, che potrebbe utilizzarle per i sensori di staticità inseriti in infrastrutture complesse come grattacieli o ponti.
Su questa pagina un confronto tra le tecnologie, proposto dalla stessa casa. (da nbtimes.it)
Dario Bonacina