«Ma cosa
c'entra col tuo
programma?». Ero in una pausa di un incontro sindacale per docenti di
religione
e una mia cara collega sentendomi raccontare di una attività in classe
è
rimasta u po' interdetta.
Ho la fortuna di insegnare un
corso per tecnico grafico. E speriamo che la riforma non ce lo azzeri.
Dopo tre
anni di materie professionalizzanti, in quinta sono in grado di fare
anche
analisi videografiche, almeno i più "bravini". E allora da qualche
anno ci provo. Chiedo loro di selezionare alcune pubblicità che passano
in tv,
se le trovano scaricarle dal web, o videoregistrarle direttamente. E
poi ce le
guardiamo spaparanzati in classe come capiterebbe sul divano di casa, o
quasi.
Lo so! Se entrasse il preside sarebbe difficile dirle: «Posso
spiegarle, non è
come sembra» (Gerry Scotti nella pubblicità del riso).
Ma mi assumo la mia
responsabilità e il rischio connesso, come il pilota dell'aereo della
pubblicità del Montenegro. E insieme ai ragazzi lascio che siano loro
ad
insegnarmi gli strumenti di lettura di uno spot pubblicitario. Quanto
mi fanno
bene!!! E come sarebbe bello se la grammatica e la sintassi del
linguaggio
visivo fosse patrimonio condiviso da una intera società, come per il
linguaggio
verbale.
«Ecco vedi - dico alla mia
collega - ho imparato un sacco di cose
dai miei studenti con questa attività e sono proprio grato a loro. Ad
esempio
che la pubblicità non è fatta per far pensare una idea, ma per far
sentire una
emozione. E che questa emozione serve da collante, spesso
mistificatorio, per
unire dentro di sé un bisogno, reale o indotto che sia, e un valore (o
disvalore che sia!) in relazione ad un bene che viene mostrato come
potenzialmente in grado di soddisfare entrambe le esigenze. A me questo
dice
molto di come funziona oggi l'uomo postmoderno. ma soprattutto mi dice
al di là
delle ricerche sociologiche, quali sono i bisogni e i valori davvero
presenti
nell'anima della gente di oggi, perché sempre di più la pubblicità
mette in
scena l'anima di una società e delle persone che la abitano. E sono
convinto
che se vogliamo essere in grado di riuscire a parlare della nostra fede
e di
Gesù Cristo a queste persone dobbiamo incominciare a capire quali sono
i canali
con cui loro leggono la realtà e si rapportano ad essa».
«Cioè vorresti dire che
l'evangelizzazione dovrebbe diventare uno spot e la liturgia un
carosello?».
«Ma ti pare??!! Come se tu non mi conoscessi... Nulla è più lontano da
me di
questo. Voglio dire invece che analizzare le pubblicità ci regala delle
chiavi
comunicative dirette e fresche che se usate con intelligenza possono
davvero
aprire modalità di comunicazione della fede che oggi sono poco visibili.
Ti faccio un esempio. Una
delle ultime pubblicità viste con i miei studenti è quella della Rai
per i 150
anni dell'unità d'Italia. E loro hanno trovato come lì il bisogno di
ognuno di
avere radici locali (i dialetti) si sposi col valore della lingua
nazionale che
sostanzia l'unità italiana. E il bene potenzialmente in grado di
soddisfare
entrambe le esigenze è la Rai. Ma l'emozione che fa da collante in ogni
sketch
in cui questa idea è rappresentata è quella di una ironia stupita che
si apre
poi alla gioia, che sa anche sorridere leggermente sulle diversità e
non perde
per questo un valore pesante e controverso come l'unità della nazione.
Cosa succederebbe se
presentassimo la questione del rapporto tra le religioni con questa
stessa
emozione, se lavorassimo per suscitare questa ironia stupita come prima
sensazione e non invece quella di una paura che minaccia la nostra
identità. E
lo stesso vale per le differenze tra le varie anime del cattolicesimo
italiano,
dove l'estremizzazione delle posizioni ormai rende impossibile capirsi
anche
tra chi ha sempre trovato modo di farlo».
«Beh in effetti sarebbe
carino, - dice la mia collega -, ma noi abbiamo a che fare anche con
dei
contenuti ideali, non solo con delle emozioni. Gesù Cristo è anche
verità». «È
vero - le dico -, ma una grammatica e una sintassi della verità già ce
l'abbiamo, costruita in decine secoli di teologia alle spalle. Una
grammatica e
una sintassi delle emozioni della fede invece ci manca, e oggi sarebbe
invece
assolutamente necessaria. E a me sembra che chi costruisce pubblicità
la
conosca abbastanza bene invece, e ovviamente finisce per utilizzarla
pro domo
sua».
Alla fine lo ho offerto il
caffè... quello dello spot del paradiso...
di Gilberto
Borghi in Vino Nuovo