Sono stimate in
205 milioni le persone che nel
mondo fanno uso di sostanze psicoattive. Tra queste, l’alcol occupa un
posto di
preminenza - insieme al tabacco – ed il rischio rispetto al suo uso è
molto più
alto tra i giovani e i giovanissimi rispetto alla altre fasce d’età.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ogni anno più di
due
milioni di persone muoiono per problemi correlati all’alcol, che in
Europa
causa la morte di 195.000 persone per incidenti stradali, omicidi,
suicidi,
cirrosi epatica, patologie neuropsichiatriche e depressione, cancro. E’
attribuibile all’alcol – il cui uso determina, in base alla stima che
fa la
Commissione europea, centinaia di miliardi di euro all’anno di costi
socio-sanitari
- il 25% della mortalità giovanile tra i maschi e il 10% tra le
femmine.
In questo contesto globale, vanno letti – per quanto riguarda l’Italia
- gli
ultimi dati di una ricerca realizzata dall'istituto Doxa e
commissionata
dall'Osservatorio Permanente sui Giovani e l'Alcool, che definisce a
rischio il
23% dei giovani consumatori, i quali, in media, iniziano a bere birra e
vino
tra 14 e i 15 anni, le altre sostanze alcoliche a 16 anni. Otto
italiani su
dieci consumano alcol, il 90% dei maschi e il 70% delle femmine. In
Italia -
dove il limite legale di alcolemia per chi guida è stato portato, in
attuazione
della legge 125/2001, dallo 0,8 allo 0,5 per mille, ancora
insufficienti, a
parere di molti esperti per garantire la sicurezza – la mortalità per
incidente
stradale viene stimata come correlata all’uso di alcol per una quota
compresa
tra il 30% e il 50% del totale degli incidenti.
Il tasso di mortalità per incidente stradale, pari a 95 morti ogni
milione di
abitanti, è quasi doppio rispetto a quello di paesi come Gran Bretagna,
Olanda
e Svezia , dove il tasso è pari a 50 morti per milione di abitanti. I
conducenti della fascia di età tra i 25 e i 29 anni e tra i 30-34 anni
sono
quelli più colpiti dagli incidenti stradali e la mortalità è molto
elevata
anche fra i conducenti di 21-24 anni.
I giovani tra i 20 e i 24 anni sono la classe di età più interessata
dal
consumo settimanale di alcolici fuori pasto, immediatamente seguiti da
quelli
tra i 25 e i 29 anni, ma il fenomeno riguarda in maniera rilevante
anche i
giovani tra i 18 e i 19 anni. Il fenomeno della diffusione dell’abuso
giovanile
è ben rappresentato anche dalla percentuale di giovani alcol-dipendenti
in
carico presso i servizi socio-sanitari. Come emerge dai dati rilevati
dal
Ministero della Salute, nel 2005 i minori di 20 anni rappresentano lo
0,7%
dell’utenza e i giovani fra i 20 e i 29 anni ne rappresentano l’11%.
L’abuso di alcol - che negli ultimi anni ha conosciuto un incremento
micidiale
di pericolosità – è determinato da due fattori principali: la crisi
educativa e
culturale, che ha svilito, nella società del benessere e dei consumi
irrefrenabili, l’importanza di uno stile di vita sobrio; la mancanza di
politiche coerenti di molti Governi e della stessa Unione europea, che
si
limitano, nei loro documenti, a fare solo enunciazioni, del tutto
inutili per
affrontare concretamente il problema e porre un argine, anche di regole
e di
norme severe, rispetto al dilagare di tutte le forme di dipendenza.
La società occidentale è riuscita anche nell’intento d’inquinare, in
termini di
stili dita proposti, i paesi in via di sviluppo, dove vengono esportate
le
nostre dipendenze e, tra queste, l’abuso di alcol è tra le piu’
significative.
Basta osservare quel che sta accadendo in molti paesi africani. Anche
per
assecondare, inconsapevolmente, ci mancherebbe, gli interessi economici
delle
aziende produttrici di alcol, non viene contrastata seriamente quella
“cultura
dello sballo” che tra i giovani si diffonde sempre più e che “impone”,
come
dimostrano tutte le indagini statistiche, che all’uso dell’alcol si
associno
altre dipendenze: l’ecstasi, le sostanze inalanti, la cocaina, gli
psicofarmaci.
Parafrasando Gaber, è una specie di “libertà obbligatoria”, quella che
viene
promossa - un antiproibizionismo becero e dilagante, in realtà - priva
di
strumenti di protezione, come la famiglia, che un tempo rivestiva il
suo ruolo
essenziale di controllo. Così, non si fa che legittimare l’abuso del
bere e si
abbandona il dovere di tutelare, in termini di sicurezza e di bene
comune, i
soggetti piu’ deboli e indifesi.
Danilo
Quinto - www.labussolaquotidiana.it