Mai come in questo
momento si parla tanto di giovani e così poco con i giovani.
Mai come in questa stagione culturale si racconta tanto l’adolescenza
(appartengo ai colpevoli, sia come scrittore sia come insegnante) e
così poco si sa leggerla in questa contingenza storico-culturale.
La contraddizione è soltanto apparente. Ogni cultura si concentra su
ciò che non mette più a fuoco e sta perdendo, e sulle parole che
nominano quelle cose. A parte cuore, amore, dolore che attraversano
tutte le epoche, perché non se ne ha e sa mai abbastanza di quelle tre
cose lì, ogni epoca ha le sue parole.
Una parola perduta e per questo oggi abusata è «adolescenza», perché la
vita quando perde qualcosa si concentra come un’ossessa sulle parole
che risvegliano la nostalgia per ciò che si è perduto. Il nostro non è
un Paese per giovani e quindi non si parla d’altro. Abbiamo
«adultizzato» (o adulterato?) l’adolescenza e «adolescentizzato» l’età
adulta. Per questo la vita grida attraverso di noi ciò che le spetta di
diritto, che ogni età realizzi la tensione che le è propria, senza
essere soffocata, saltata, pervertita: adulti che fanno gli adolescenti
perché non sono stati adolescenti, e quindi non sanno come si faccia a
essere adulti; adolescenti disillusi come gli adulti, bruciata la loro
capacità somma: creare.
L’adolescenza è l’età in cui si scopre, facendo l’adolescente fino in
fondo, il fascino dell’età adulta. Non si tratta di leggere le età
della vita come tappe concluse una volta per tutte, ma di integrarle
nell’unità storica della persona. Non si tratta di rimanere bambini o
adolescenti, ma di conservare ciò che ognuna di queste tappe ha
conquistato: la semplicità del bambino e la fame di senso
dell’adolescente. Ma cosa hanno di diverso mio nipote di due anni che
davanti al frigorifero aperto, sorpreso dal desiderio assoluto, dice:
«Cosa posso volere io?» e un mio alunno di 16 anni che, preso da mille
cose che lo appassionano e vorrebbe farle tutte, mi confida: «Sto
imparando a sognare davvero, a guardare tutto».
Che cosa è l’adolescenza? Come ogni rito di passaggio è un venire alla
luce. Il bambino viene alla luce e piange. La mamma lo coccola e il
bambino scopre, capisce, impara che la vita è essere amati.
L’adolescente viene alla luce nuovamente, ma non bastano più la mamma e
il papà. Adesso la vita vuole essere autonoma, vuole le chiavi di casa
e non vuole orari: vuole spazio e tempo tutti per sé. Non vuole solo
essere amata, vuole anche amare. Non è più lo spazio e il tempo di papà
e mamma, ma lo spazio e il tempo di uno spirito che esplode con il
corpo e cerca il proprio spazio e il proprio tempo. Cerca la propria
storia. Un proverbio ebraico dice che Dio ha creato l’uomo per
sentirgli raccontare storie. Solo chi ha una storia può raccontarla. Il
bambino racconta la storia di papà e mamma, l’adolescente la sua, la
sua unicità da scoprire e incollarsi addosso.
L’adolescenza se è veramente qualcosa è l’entusiasmo del creare. Si è
stati creati, anzi pro-creati, e si comincia finalmente a voler creare.
Anche i bambini sono creativi, è vero: disegnano, costruiscono,
immaginano mondi tracciati anche solo con un dito agitato nell’aria. Ma
il creare del bambino è ingenuo e spontaneo, non c’è un io che scopre
se stesso nel creare, ma si bea nel suo pensiero magico in cui non c’è
separazione e tutto è dentro tutto. Il creare dell’adolescente è invece
spinto da un io che vuole rivelarsi, l’io si separa e si scopre
finalmente: solo. Quella solitudine che è croce e delizia
dell’adolescente: nessuno lì lo può raggiungere e si espande quel dolce
amaro tormento del volere e non volere essere soli, del volere e non
volere essere raggiunti, del volere quella solitudine per ascoltarsi e
del volere che qualcuno la raggiunga e non ne faccia sentire il peso
schiacciante, magari con un «ti amo».
In un essere picciol tempo dura, direbbe Petrarca, l’adolescente è
mutevole e instabile: l’io vuole scaturire, venire alla luce, essere
creatore, iniziatore. Anche il corpo diventa capace di creare e dare
inizio, il corpo diventa il potenziale corpo di una madre e di un
padre. Sangue e sperma dispersi finché non trovano per chi costituirsi
in carne e dono. Lo spirito vuole creare, il corpo vuole creare.
L’adolescente in questa selva oscura scopre il suo essere individuo, ma
ogni venire alla luce si accompagna al pianto. L’adolescente è in
conflitto con il mondo, perché è in conflitto con se stesso. È nel caos
di una vita che vuole emergere finalmente nella sua unicità e totalità,
percepisce per la prima volta la grandezza della vita come qualcosa che
lo chiama e che la vita vuole donargli, ma la vita penetra in lui tutta
insieme e lo confonde, lo getta nel caos. Per questo legge, ascolta
musica, con una fame che si perderà con l’età adulta, come scriveva
Pavese: «Tra i segni che mi avvertono essere finita la giovinezza,
massimo è accorgersi che la letteratura non mi interessa più veramente.
Voglio dire che non apro i libri con quella viva ed ansiosa speranza di
cose spirituali che, malgrado tutto, un tempo sentivo».
All’adolescente sembra di appartenersi, di trovarsi, di scoprirsi, di
uscire dal caos quando lo specchio delle parole e della musica e delle
storie rivelano l’io incastrato ancora nelle spire del magico tutto
infantile. Ma è proprio quel caos che aspira all’ordine, è proprio quel
caos che vuole tutto, perché scopre tutto. Per questo l’adolescenza non
è età del piacere, ma dell’eroismo, del dono folle di sé anche
autodistruttivo, dell’amore assoluto. Ma un adolescente nutrito di
piacere perde il caos e si ordina con le piccole cose che spengono la
fame.
Questa è la vera novità degli adolescenti di oggi: gli abbiamo dato
tutto e non hanno più fame, si è assopita l’essenza creativa del loro
essere adolescenti. Per questo tante dipendenze: sintomi - non cause -
di una mancanza di ricerca di quel tutto che è la vita e che si vuole
abbracciare creando e creandosi. Si compra la felicità subito e si
spegne il desiderio del tutto, che è il caos adolescenziale. Caos
benedetto che troppo spesso gli adulti cercano di controllare con
l’aridità di una disciplina insensata o con il comodo consumismo,
invece di incoraggiare quello slancio verso cose grandi: una vetta da
conquistare, un mare da attraversare.
L’adolescente va protetto da se stesso e dal suo caos, al quale spesso
soccombe, non soffocandolo, ma incanalando questa forza. Ogni creatore
di bellezza lo sa, ogni lavoratore appassionato lo sa, ogni madre lo
sa: il caos della vita è creatore, la potenza creatrice è caotica. Non
basta controllare il cuore di una centrale nucleare con mura spesse e
indistruttibili per evitarne lo scoppio, come purtroppo sappiamo.
Perché una centrale non sia pericolosa deve funzionare ed erogare tutta
la sua potenza al servizio della vita altrui.
di Alessandro D'Avenia - La Stampa
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