Tra queste due posizioni estreme degli “schierati” c’è una miriade di posizioni intermedie, quasi tante quanti sono i docenti e quanti sono gli alunni. È molto facile valutare gli studenti bravi, ci si divide sugli alunni che non raggiungono risultati soddisfacenti. La spiegazione è semplice: i primi vanno avanti nel corso degli studi, i secondi possono essere fermati e ripetere l’anno. Gli insegnanti non hanno per cultura e per formazione, nella loro azione didattica, l’obiettivo di promuovere alla classe successiva o far ripetere l’anno ai propri studenti. Gli è imposto da regole esterne alla scuola, dalla legislazione, dall’organizzazione, dalla consuetudine.
C’è un effetto premiale o punitivo in tali scelte che va oltre i compiti connessi alla funzione docente. Che non è quella del giudice. Anche se ci sono docenti che fondano tutta la loro autorità sul potere di promuovere o bocciare gli alunni, e altri che questo potere mette perennemente in crisi. Stiamo parlando di promozioni e bocciature, non certo di verifiche e valutazioni che fanno i singoli insegnanti e l’intero gruppo docente, esse sì connaturate all’azione didattica nei processi di apprendimento. Il rapporto Ocse, almeno nelle sintesi che abbiamo letto, sottolinea i danni che derivano da troppe bocciature. Danni ai singoli studenti che già svantaggiati non ricevono alcun aiuto dalla bocciatura. Danni alle scuole che “appesantite” dalla presenza dei bocciati sono evitate dagli studenti più dotati e diventano “una segregazione nel sistema scolastico”. Danni all’economia del Paese per l’aggravio di costi sociali non indifferenti, che vanno dalla ripetizione dell’anno scolastico al ritardo con cui i giovani ripetenti si affacceranno nel mondo del lavoro. Ma il vero danno, per una scuola tutta concentrata sulla fine dell’anno in cui promuove o boccia gli alunni, è quello che colpisce l’organizzazione e l’azione didattica: scrutini trimestrali o quadrimestrali, interrogazioni e compiti in classe per i voti in pagella, perfino corsi di recupero come atti dovuti, sono tutti elementi che rischiano di essere delle vere e proprie interruzioni del normale “programma”. Per non parlare dell’esame, in nome del quale tutto è consentito, perfino “saltare” alcune materie per concentrarsi su altre. Insomma gli strumenti diventano il fine. Il tempo per scrutini esami e connessi diventa più lungo e importante e condizionante di quello per le attività didattiche vere e proprie.
Allora, per liberare il nostro sistema scolastico dai troppi condizionamenti di scadenze che vengono viste e vissute come adempimenti burocratici, si dovrebbero abolire promozioni e bocciature, così come l’intendiamo oggi. Si svolgono i programmi nei tempi distesi dell’anno scolastico. Si rivisitano costantemente, per tutto l’anno, programmi e parti di programmi attraverso gruppi diversi dalla classe, che sperimentino possibilmente metodologie diverse. Si accede ad essi in seguito a verifiche e valutazioni dei docenti. Gruppi alternativi alla classe sono costituiti anche per approfondimenti e potenziamenti. I tempi di percorrenza del ciclo di studi non saranno uguali per tutti gli studenti, ma si potrà da parte di quelli svantaggiati recuperare più facilmente, avendo forme di aiuto specifico. Il cambiamento che si propone riguarda certo l’organizzazione: più strutture e più risorse, una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro dei docenti e più spazio per la programmazione. Ma ancora più significativo è il cambiamento di mentalità richiesto ai docenti e agli operatori della scuola: una scuola che non promuove e non boccia, per come l’intendiamo oggi, ma che accompagna tutti gli studenti nel percorso di studio, rispettando i tempi e intervenendo tempestivamente nelle difficoltà che essi incontrano.