di
Rino Cammilleri - Bussola
Quotidiana
«San Lorenzo, perché
tanto di
stelle per l’aere turchino arde e cade?». Così inizia la poesia del
Pascoli X
agosto, e io, scolaro elementare, mentre, costretto, la imparavo a
memoria, mi
chiedevo che cosa significasse quella «x». Solo alle medie avrei saputo
che non
era una lettera ma il numero romano che sta per 10.
Il poeta aveva i suoi motivi
(l’omicidio del padre) per collegare le festa di San Lorenzo al «pianto
di
stelle», ma il martire del III secolo non c’entrava con le meteore che
si
incendiano brevemente entrando nell’atmosfera. Io le ricordo, bisognava
guardare in direzione delle Pleiadi, di notte e in campagna, attorno,
appunto,
al 10 agosto. Ma tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana,
quando
l’inquinamento, anche quello luminoso, rendeva i cieli notturni del Sud
letteralmente tempestati di stelle.
No, non è per il povero
Lorenzo che il cielo estivo piange. Se proprio si vuol cercare il
meraviglioso
nella vicenda di San Lorenzo, tanto vale puntare più in alto, a quella
«leggenda delle leggende» che è il Graal. Sì, perché Lorenzo vi ha a
che fare.
E non è detto che sia una leggenda. Ma procediamo con ordine.
Lorenzo era uno dei diaconi di
papa Sisto II al tempo delle persecuzioni. A Lorenzo era affidata anche
la
cassa della diocesi di Roma; in particolare, spettava a Lorenzo
occuparsi
dell’assistenza. Gli Apostoli avevano creato i primi sette diaconi
appunto per
questo, per sgravare se stessi dall’incombenza di dover provvedere alle
vedove,
agli orfani e ai bisognosi con i fondi che i primissimi cristiani
mettevano in
comune. Sisto II subì il martirio, poi toccò a Lorenzo.
A quest’ultimo fu riservato il
supplizio della graticola perché rivelasse dove aveva messo le
«ricchezze»
della Chiesa. Lui indicò i poveri, per cui quelle «ricchezze» erano
state
spese. Poi gridò al carnefice che poteva anche rigirarlo, visto che da
un lato
era già «cotto», e rese l’anima a Dio. Lorenzo era ispanico, per questo
il
cattolicissimo imperatore Filippo II diede alla sua reggia la forma di
un
«escorial», una graticola.
Ebbene, nell’anno 258, poiché
le cose si stavano mettendo male, Sisto II aveva affidato a Lorenzo
alcuni
preziosi oggetti da mettere al sicuro. Preziosi per la fede, s’intende.
Lorenzo
li aveva portati nel suo paese, a Huesca. Tra questi oggetti c’era
anche una
coppa di agata pregiata, quella con cui il papa diceva messa. Perché
era
speciale, quella coppa? Perché con essa usava celebrare San Pietro, che
l’aveva
portata a Roma da Antiochia, e ad Antiochia l’aveva portata da
Gerusalemme. Con
quella coppa i suoi ventidue successori celebrarono fino al tempo di
Sisto II.
Era la coppa che Gesù aveva usato nell’Ultima Cena. In essa il vino era
stato trasformato
nel suo Sangue. Infatti, la frase con cui nella messa si procedeva alla
consacrazione era da considerarsi letterale: «…prese questo glorioso
calice…».
Ma la coppa che contenne il Sangue di Cristo è il Graal.
Che fine fece il Graal di
Huesca? Attraversò il secoli passando per varie mani, sempre portato al
sicuro
per sottrarlo prima ai Vandali, ariani, e poi ai musulmani. Nel 1399 il
re
d’Aragona, Martín I, lo fece porre nella cattedrale di Saragozza e
impreziosire
con aggiunte in oro. Nel 1424 il re Alfonso il Magnanimo lo donò alla
città di
Valencia, che dal 1437 lo custodisce nella sua cattedrale. Con esso i
papi
Giovanni Paolo II e l’attuale Benedetto XVI, in visita, hanno celebrato
la
messa. Nel XX secolo è stato sottoposto a esami da parte di un pool di
studiosi, i quali hanno concordemente convenuto che si tratta
effettivamente di
un oggetto in uso nella Palestina del I secolo.
Perché nel Medioevo il Graal
si considerava «perduto» e, dunque, leggendario? Per il semplice fatto
che la
Spagna era dominata dagli islamici. E chi sapeva dov’era il Graal si
guardava
bene dall’aprire bocca.