Salvador Allende, una vita politica interamente dedicata al servizio del suo popolo; nato a Valparaiso (Chile) nel 1908, a solo 23 anni si laurea in medicina.
Laureatosi in medicina all’Universidad de Chile nel 1932 inizia a lavorare come medico, impegnandosi anche come delegato nelle lotte sindacali; contemporaneamente fonda il Partito Socialista Cileno.
Inizia la sua vita attiva in politica con la carica da deputato nel 1937, essendo in quel periodo Segretario nazionale del partito; nella sua ascesa verso al governo verrà nominato Ministro della Sanità.
Dal 1966 al 1969 sarà Presidente del Senato, candidandosi a Presidente della Repubblica nel 1970. Vince le elezioni e la sua figura passerà alla storia come il primo Presidente Socialista del Cile, scelto per via democratica.
Politico chiaro e determinato nel suo primo discorso diretto al popolo, esprimerà una frase che probabilmente “colpirà nel cuore” coloro che programmarono la sua morte:“In America Latina la grande massa comprende la tappa storica nella quale vivono, prende coscienza del dramma dei Paesi in via di sviluppo e sano perfettamente bene che il grande nemico di ieri, oggi e sempre è l’Imperialismo!.”
La sua scelta programmatica per governare comprenderà quarantuno punti, tutte misure atte a sradicare le diseguaglianze sociali, come garantire il latte tutti i giorni a ogni bambino cileno.
Sicuramente furono due le misure, le più indicative che portarono la fine del governo Allende: la riforma agraria con la concessione di crediti bancari ai contadini per acquistare le loro terre e, la più “irritante”, la nazionalizzazione del rame. Molto spesso il Presidente ripeteva questa frase: “il rame è il pan del Cile, perché dobbiamo lasciarcelo rubare”?…
Il rame, la riserva mineraria più importante del Paese e sicuramente del mondo, in quel periodo produceva il 20% del fabbisogno mondiale. Tutta la produzione era in mano alle multinazionali straniere che tra il 1965 e 1970, avevano ottenuto profitti per quasi 600 milioni di dollari.
Salvador Allende aveva osato troppo e per quelli che ardivano nei loro intenti vi era un piano diabolico ben congegnato, conosciuto (troppo tardi) come il “Plan Condor”; ideato a tavolino nei saloni della sede del governo in Asunciòn, capitale del Paraguay.
Parteciparono all’esecuzione del piano, capi militari di quasi tutti i paesi latinoamericani e ovviamente il principale ideatore, Henry Kissinger posteriormente premiato con il Nobile per la pace. Gli avvenimenti, come la Storia si incaricherà di dimostrare, non lasciarono estranei gli Stati Uniti. “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell'irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”, ammise senza giri di parole Henry Kissinger, il potentissimo segretario di stato americano dell’era Richard Nixon. L’appoggio americano ai golpisti rientrava in una più vasta strategia di contrasto– denominata operazione Condor -verso quei paesi sudamericani indirizzati ad una deriva marxista: Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, Perù, Uruguay e, appunto, Cile.
“El Golpe” del Cile fu uno dei tanti che accaddero nel Continente tra 1960-1970 e che “obbedivano” al suddetto piano .
Nella drammatica sera dell’11 settembre 1973, Allende cercò di resistere ma fu annientato insieme a tutto il suo popolo, sarà ammazzato a colpi di fucile dentro il Palazzo della Moneta, a Santiago del Cile.
Il popolo che cercò di resistere fu incarcerato perseguitato e torturato; più di duemila persone furono portate in un campo di calcio e fucilati. Forse la storia più straziante è quella del cantautore Victor Jara che fu anche un importante militante del Partido Comunista de Chile e membro del comitato centrale delle Juventudes Comunistas de Chile. Mentre cercava di intrattenere i prigionieri con la sua chitarra, per evitare che continuasse a suonare gli furono tagliate le mani prima di essere colpito a morte.
Della tragica storia del Cile, la pagina più dolorosa è rappresentata dal fatto che il suo principale esecutore non sia stato mai giudicato per i crimini commessi.
Augusto Pinochet morì tranquillamente nel suo letto, con la benedizione di grande parte della chiesa cattolica.
“Nunca Màs”, due parole che vorremo fare vere per sempre noi latinoamericani.“IL dramma accade in Cile, per il male dei cileni, però rimarrà nella storia come qualcosa che successe senza soluzione a tutti gli uomini di questo tempo e che persisterà nella nostra vita per sempre”. Gabriel Garcìa Màrquez.
Postato da Inès Cainer (Breaking News, U.S.A & America Latina).
"Siamo tutti
americani"
Gli avvenimenti cileni del settembre ’73, con la loro scia di sangue e terrore, ebbero una vasta eco in tutto il mondo e particolarmente in Italia. Il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, che sapeva bene quanto fosse diverso il Cile dall’Italia, ne trasse spunti e suggestioni per un discorso di più ampia portata e che porto alla elaborazione della teoria del “compromesso storico”. In un lungo saggio dal titolo “Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile” (pubblicato in tre parti su Rinascita, il settimanale del Pci, il 28 settembre e poi il 5 e 12 ottobre 1973) Berlinguer tratteggia la strada che porterà all’alleanza con la Democrazia cristiana, cioè con l’altro blocco popolare e sociale del Paese.
Secondo Berlinguer la crisi politica dei primi anni ’70, generata dalla emergenza economica ed eversiva, poteva essere superata solo attraverso un’alleanza, un compromesso, tra le maggiori forze popolari italiane. Scriverà: “Certo, noi per primi comprendiamo che il cammino verso questa prospettiva non è facile né può essere frettoloso. Sappiamo anche bene quali e quante battaglie serrate e incalzanti sarà necessario condurre sui più vari piani, e non solo da parte del nostro partito, con determinazione e con pazienza, per affermare questa prospettiva. Ma non bisogna neppure credere che il tempo a disposizione sia indefinito. La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande «compromesso storico» tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”. Un intervento, quello del segretario del Pci, (e che pubblichiamo integralmente) destinato a rappresentare uno spartiacque nella stagnante politica italiana e a far approdare il Pci in area governativa, la prima volta nel 1976 con il governo della cosiddetta “non sfiducia”, e successivamente nel 1978 con il governo di “solidarietà nazionale”, argine quest’ultimo alla luttuosa stagione eversiva che ebbe culmine nell’anno 1977, forse quello più buio della Repubblica. Ancora più buio di quel ’78 che, con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, l’altro artefice della stagione del “compromesso storico”, chiuderà definitivamente l’esperienza governativa del Partito comunista.
Insieme alle Torri, che oggi tutti ricordiamo, val bene un pensiero al Cile.
In memoria dei morti, dei lutti e delle sofferenze di quell’11 settembre 1973 e in memoria di una stagione della nostra storia italiana, incarnata giganti politici (Berlinguer e Moro), al cui cospetto i nani della politica di oggi appaiono ancora più miserabili.
Pasquale Di Bello (Infiltrato.it)
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