Quando
frequentavo i primi anni del liceo ricordo che ci portarono al cinema a
vedere il film "Mery per sempre",
ambientato nel carcere minorile di Palermo. Da allora non porto con me
le scene dure o il linguaggio violento, ma queste parole: «Chi nasce
tondo non può morire quadrato!». Nonostante anche la geometria sostenga
questa espressione, io non vi ho creduto allora e ancor di meno ora da
adulto e educatore, e non penso che sia perché non amo quella materia.
Non sempre gli educatori, i docenti, crediamo fino in fondo all'azione
educativa o a quanto professiamo; spesso si resta fermi alle buone
intenzioni, alle idee, alle teorie, ai convegni e alla tante parole,
forse troppe! C'è bisogno di uno sguardo nuovo, meravigliato,
trasognato e allo stesso tempo concreto sull'educazione; cambia la
prospettiva, si va all'essenziale, si guarda con il cuore, si sta con i
piedi per terra, lo sguardo in cielo e in maniche di camicia. C'è
bisogno poiché spesso la società e l'ambiente in cui si nasce e cresce
non fanno respirare, pensare e sognare. Qualche giorno fa sono stato
invitato da due colleghe per incontrare gli alunni di una scuola
professionale e di una scuola media site la prima in un paese e l'altra
in un quartiere periferico. Il tema da affrontare era "C'è del buono in
questo mondo?". All'inizio del confronto solo pessimismo sia nei
piccoli che nei grandi: «Tanto qui siamo tutti così», diceva uno; «qui
non può cambiare niente», affermava un'altra; «io ho provato a essere
diverso, ma sono rimasto solo perché tutti la pensano allo stesso
modo». Queste parole, le loro espressioni deluse, i volti "sconfitti"
già a 12 o a 16 anni, sono state per me frecce appuntite come quelle
parole del film. Hanno colpito il mio cuore e la mia mente
continuamente, chiedendomi di mettermi in gioco, di non smettere di
credere e di testimoniare il bene che c'è in questo mondo, che è
possibile spiccare il volo e far quadrare il cerchio della propria
vita. Così, dopo averli ascoltati, ho fatto vedere e commentare loro
alcune scene del film «Les choristes», in cui un insegnante di musica,
assunto come sorvegliante in un istituto di rieducazione per minori,
crede al cambiamento, nel lato buono delle cose, nella possibilità che
anche i ragazzi difficili abbiano sempre «un punto accessibile al bene»
e che valorizzarli sia il modo migliore per non precludere loro la
speranza nel futuro. Questo ottimismo lo induce a concedere varie
opportunità di crescita ai suoi giovani allievi e dalla loro
maturazione e soddisfazione trarrà arricchimento lui stesso.
«Percepisco – afferma Mathieu - negli sguardi dei miei ragazzi il
desiderio di libertà, di costruirsi capanne in cima agli alberi, e di
non poterlo fare». Anch'io, alla fine dell'incontro con quei ragazzi,
ho percepito qualcosa, ho visto alcuni sguardi rinnovati almeno in quel
momento, ho sentito parole nuove come «allora ce la posso fare pure io»
o «da soli è più difficile, ma se qualcuno ci aiuta è possibile». Più
di tutto due scene porterò nel cuore e non del film bensì dai due
incontri con le scuole: un ragazzo che, finito il confronto, mi
racconta il suo sogno di fare il volontario nella Croce Rossa e una
ragazzina che, al suono della campana, senza che nessuno le dicesse
nulla, aiuta il compagno diversamente abile a sistemare lo zaino, a
pulirsi il naso, e gli fa compagnia nell'atrio della scuola finché non
vengono i genitori a prenderlo. Mi spiace per i matematici, ma la
geometria ha perso: il cerchio è quadrato!
Marco Pappalardo
marcopappalardo01@gmail.com