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Coding e pensiero computazionale
Cosa significano questi due termini? Come stanno cambiando i metodi di insegnamento e di apprendimento a partire dalla scuola primaria e dell’infanzia e perché ne sentiremo parlare sempre più di frequente? Proviamo a dare qualche risposta.
Coding e pensiero computazionale: significato
Coding è un termine inglese al quale corrisponde in italiano la parola programmazione informatica; ma quando si parla di lezioni di coding a scuola non si intende programmazione nel senso più tradizionale dell’espressione.
Si tratta di un approccio che mette la programmazione al centro di un percorso che stimola alla risoluzione dei problemi: il pensiero computazionale è l’attitudine a risolvere problemi più o meno complessi.
I bambini imparano a raggiungere un obiettivo: quando affrontiamo un problema o abbiamo un’idea, spesso intuiamo la soluzione ma non siamo in grado di formularla in modo operativo per metterla in pratica.
Il pensiero computazionale insegna proprio questo: la capacità di immaginare e descrivere un procedimento costruttivo che porti alla soluzione.
Così come imparare a parlare ci aiuta a formulare pensieri complessi, così il pensiero computazionale ci offre strumenti ulteriori a supporto della fantasia e della creatività: è una capacità trasversale che va sviluppata il prima possibile.
Con le lezioni di coding , dunque, non si impara a usare gli oggetti digitali: i bambini lo sanno fare già, spesso molto meglio degli adulti. Il coding è un salto di qualità che spinge a realizzare un'idea o a risolvere un problema facendo leva sulla creatività e sugli strumenti giusti.
Come si fa il coding a scuola, quali sono gli strumenti a disposizione?
Sono strumenti divertenti, come per esempio Scratch o Scratch Jr. o ancora gli esercizi del sito code.org . Più che esercizi sembrano giochi. E in effetti sotto un certo punto di vista lo sono. I bambini giocano e vincendo ogni sfida imparano a risolvere problemi. Piccoli problemi come evitare un ostacolo o evitare di farsi catturare da uno dei personaggi cattivi della storia …
Per risolvere il problema devono impegnarsi per capire quale possa essere la possibile soluzione e, se raggiungono l’obiettivo, hanno imparato come fare. Intanto inconsapevolmente hanno scritto righe di codice informatico, anche se materialmente non ne hanno scritto nemmeno una e hanno spostato solo dei blocchetti rettangolari a ciascuno dei quali corrisponde una funzione e un codice. Stiamo parlando della programmazione a blocchi, detta anche programmazione visuale.
In 3^ C di scuola primaria dell'ICS "San Domenico Savio", diretto dalla dott.ssa Daniela Fonti, i bambini hanno sperimentato il coding unplugged.
Le attività di Coding unplugged rappresentano una ricca opportunità per chi ha voglia di esplorare i territori della didattica a confronto con i processi mentali combinati tra loro per la risoluzione di problemi e la costruzione di contenuti digitali complessi.
Cosa si intende con unplugged? Tutto quello che non è collegato ad una presa elettrica e, nel caso del coding, tutte quelle pratiche di apprendimento capaci di introdurre i concetti della programmazione, dei linguaggi e delle logiche sottostanti attraverso l’adozione di supporti analogici.
Con il coding unplugged si introducono i concetti del pensiero computazionale in una dimensione tangibile che rappresenta un punto di vista privilegiato per capire l’architettura e la logica delle macchine e per interpretare l’ambiente circostante come un linguaggio programmabile con il quale giocare e apprendere.
È il carattere non-formale e soprattutto l’approccio decisamente ludico di tali proposte a rendere ancor più valida l’attività unplugged:con scacchiere su fogli di carta, come un gioco da tavolo con oggetti di uso comune, i bambini hanno avuto la possibilità di immedesimarsi fisicamente nell’automa che esegue le righe di codice o nel programmatore che le scrive e le “detta” all’automa-compagna/o, collegando cognitivamente la rigorosità del codice con la concretezza dell’azione fisica.
Ins. Valentina Cravotta