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Didattica: Educare a scuola. La funzione educativa

Redazione
L'educazione dei giovani, oggi, è diventata un problema complesso e non facile da affrontare, perchè la responsabilità educativa è declinata in modo diverso da chi se ne dovrebbe fare carico e non sempre da costoro viene esercitata con la dovuta collaborazione. La responsabilità educativa nei confronti dei giovani ricade su chiunque per ruolo o per età con loro abbia o sia tenuto ad avere delle relazioni, anche se diverse per gradi di obbligatorietà . Nessuno, infatti, puo' essere responsabile nei confronti dei giovani come sono tenuti ad esserlo i genitori. La responsabilità educativa dei genitori costituisce "l'archetipo di ogni responsabilità"(H. Jonas) e si comprende come sia difficile rimediare ai danni procurati quando questa, come sempre più spesso accade, non viene esercitata, perchè ai giovani mancheranno la guida, il buon esempio, i consigli e la cura nello sviluppo delle proprie facoltà comportamentali, nella costruzione di capacità di relazione, nella formazione del carattere, nella sollecitazione a sapere e a capire. Verrebbe a mancare la preparazione alla vita in società.

Alla responsabilità educativa dei genitori nelle società evolute e complesse si accompagna quella irrinunciabile della scuola. I loro compiti si intrecciano, ma non sono identici. Quelli dei genitori sono relativi alla dimensione personale dei giovani, quelli della scuola sono relativi alla dimensione sociale e pubblica, tendono alla socializzazione dei valori condivisi in una comunità, all'integrazione nella società, a sviluppare un rapporto di fiducia con le istituzioni e ad agire nella legalità. Questo dovrebbe accadere se ognuno facesse la propria parte. I fatti di cronaca dicono che qualcosa in questa divisione dei compiti non funziona e anche che qualcuno dimentica di assumersi le proprie responsabilità. Sicuramente negli ultimi tempi si è slabbrato il collateralismo tra scuola e famiglia che nel passato rendeva proficuo e meno difficile il lavoro scolastico e la formazione dei giovani.

Il sistema scolastico, d'altra parte, deve avere delle finalità educative se vuole orientare, motivare e promuovere nei giovani comportamenti positivi, sviluppare le loro capacità, guidarli alla conquista di significati per la loro vita. Nell'attuale momento, segnato da una grave crisi dell'istituto familiare e dalla disgregazione delle tradizionali relazioni comunitarie, in presenza di fenomeni inquietanti di trasgressione e di disorientamento del mondo giovanile, la funzione educativa della scuola assume un'importanza almeno pari a quella conoscitiva. Scuola e mondo giovanile spesso entrano in rotta di collisione e per non pochi motivi, ma ancora i giovani non possono fare a meno della scuola, perche ancora non c'è un'istituzione o un servizio che la sostituiscano degnamente ed efficacemente. E' una situazione difficile, ricorrente, ma non disperata e sulla quale è necessario lavorare con passione e intelligenza.

Quando si parla di funzione educativa della scuola, in genere ci si riferisce, come si è detto, all'educazione alla cittadinanza e alla legalità, all'assunzione dei valori costituzionali; non si accetta facilmente di parlare di educazione morale. Eppure da molto tempo non sono i livelli di preparazione dei nostri giovani che preoccupano, ma i loro comportamenti; a scuola come fuori della scuola. Lo sviluppo delle sole qualità intellettuali e anche civiche può non avere alcuna influenza sui tratti morali della persona. Per molti insegnanti l'educazione morale o l'educazione come sapere stare al mondo è un compito che per il quale la scuola non avrebbe alcuna specifica responsabilità, tranne quella di contenere comportamenti e atteggiamenti che intralcerebbero il regolare svolgimento delle proprie attività .

Questa scelta viene fatta non per abdicazione alle proprie responsabilità, ma per la convinzione che la scuola principalmente debba istruire. Per tanto tempo si è voluto che gli insegnanti fossero solo professionisti della trasmissione dei saperi e la scuola solo il luogo eletto degli apprendimenti delle conoscenze e delle tecniche. Di conseguenza la funzione educativa della scuola non ha avuto il rilievo che avrebbe dovuto . A scuola si è spesso occultato lo spazio delle finalità, per lavorare più sulle tecniche, sulla metodologia, sulla valutazione e si è avuto quasi fastidio ad usare il lessico pedagogico che rinvia a temi etici e che propone il compito della responsabilità educativa. Ma se anche il sapere, le conoscenze fossero le uniche ragioni che spiegano e fondano il rapporto docente-alunno, l'attività scolastica è un'attività comunitaria e questa si puo' sviluppare con beneficio di tutti se alcune regole, che non sono soltanto disciplinari , vengono rispettate da tutti. Anche quando non lo dicono, gli insegnanti sono guida e aiuto degli alunni sia nei processi di apprendimento, sia nei processi di crescita umana. Se ne facciano una ragione, oggi l'insegnante non puo' essere solo uno specialista che insegna la propria disciplina, in grado di possedere e di dominare una certa area di conoscenza e di controllare tutti gli aspetti della comunicazione ad essa relativi.

L'insegnante deve sapere non solo cosa insegna e come, ma anche chi sono i suoi allievi, di che cosa hanno bisogno, in che ambienti e in quali famiglie vivono, in che genere di società crescono. In altre parole la cura degli alunni, l'attenzione ai loro problemi , l'accompagnamento nei loro processi di crescita, la sollecitazione a comportamenti responsabili nei confronti degli altri e di se stessi non sono azioni possibili "del" e "nel"rapporto educativo, ma atti dovuti e senza di essi non si genera la formazione, non si genera la crescita umana. E questi sono a tutti gli effetti atti propri di una professionalità 'sensibile al lato morale dell'educazione dei giovani.

Nell'attività didattica non si possono emarginare come superflui il mondo delle relazioni umane, la dimensione affettiva e quella valoriale. Non dà buoni frutti limitarsi e insistere a formalizzare un processo dinamico, complesso, ricco, emotivo, anche umorale come quello educativo . Con l'ausilio della sola professionalità, anche quando è illuminata da un forte senso del dovere, dall'etica del sapere e del conoscere, l'insegnamento nell'attuale condizione dei giovani rischia di essere sterile e di fallire nella propria missione . La realtà delle cose impone di ridimensionare lo spazio di certi atteggiamenti scientistici e di ricomporre ad unità, dopo averne voluto la più radicale distinzione, istruzione ed educazione. Il modello di professionalità docente coltivato negli ultimi decenni va messo in discussione profondamente. Questo modello di professionalità, che è sembrato essere l'emancipazione dalla cultura della vocazione e della missione con cui tradizionalmente si definivano i compiti dell'insegnamento, si fa sfuggire di mano il controllo del mondo su cui dovrebbe lavorare. . Non sarà certo la secolarizzazione dei compiti della scuola a darci generazioni di giovani coltivati nel sapere ed educati a sostenere la civiltà di una società democratica e pluralista . Come dice M. Augè, forse, bisognerà tornare al linguaggio delle finalità per cambiare profondamente le attività scolastiche.

Le questioni morali da affrontare nella vita quotidiana delle scuole sono quelle che si sviluppano nelle relazioni dei giovani con i propri genitori, con le istituzioni nel loro insieme, compresa quella scolastica, con il sapere, con gli altri ragazzi, con gli insegnanti, con la comunità d'appartenenza. Una storia a parte hanno i progetti educativi relativi ad esigenze che s'affacciano nella vita dei giovani come la parità, la salute, la sessualità, la mondialità, l'ambiente etc . Progetti che dovrebbero sempre essere pensati e realizzati come necessarie interrogazioni dei saperi disciplinari, come esiti possibili del loro significato e della loro valenza nel dare risposte a orientamenti personali.

Finalità educative
Gli alunni da educare hanno storie molto diverse tra loro, nelle quali sono celate le loro autentiche domande di educazione. Bisogna, però, farsele raccontare; bisogna volerle ascoltare. Bisogna lavorare come dice M. Pellerey perché dalla frammentarietà e dispersione dell'esperienza fatta, dal che cosa sono, gli alunni possano aprirsi alla ricerca di chi sono, di chi vogliono essere. Se, però, educare si deve a scuola, la sua funzione educativa non può essere pensata come la prosecuzione lineare dell'educazione familiare, perché la scuola è istituzione pubblica che condivide la logica delle relazioni, delle regole e dei principi della più ampia comunità della società : a scuola si mette in comune ciò che è comune e che può essere comune per tutte le famiglie e non ciò che interessa a quelle più influenti come spesso finisce per accadere. In una società democratica moderna la separazione dei poteri educativi tra la scuola, la famiglia e le associazioni è importante come quella della separazione dei poteri dello Stato( Ph. Meirieu).

Scuola e famiglie sono comunità che possono avere valori diversi; ma anche a scuola si possono praticare diversi valori, tra i quali si sceglie a volte senza precisa consapevolezza, di fatto e senza preavviso. . . Altro sono i valori della competizione, della selezione e della cosiddetta meritocrazia, altro sono i valori della parità dei diritti, della solidarietà e della cooperazione. Una scuola che fa della competizione il suo unico valore di riferimento finisce per creare più problemi di quanti ne risolva. I ragazzi hanno la stessa età, studiano le stesse cose, abitano lo stesso spazio, perchè inquinare l'unico luogo dove possono sentirsi ed essere uguali?Qualcosa cambierà a scuola quando tutti si renderanno conto del servizio che rendono agli insegnanti e agli studenti i compagni in difficoltà; per qualsiasi motivo in difficoltà. Se molti alunni sapessero che a scuola c'è gente che li vuole aiutare e che non pensa a scartarli, nessuno di loro la fuggirebbe. Nel momento in cui la famiglia è diventata l'istituzione più individualistica che ci sia nella società, non c'è nessun motivo che lo sia anche la scuola.

Le classi, dove i giovani passano tanti giorni della loro vita, sono in piccolo un'immagine della società con tutte le differenze di talento, di sensibilità, di attitudini, di interessi, di abitudini che vi si possono riscontrare. Educando i giovani a rispettarsi e ad ascoltarsi, più che a mettersi in concorrenza, si farebbe loro un gran bene e lo si farebbe anche alla società. La scuola deve essere una buona comunità dove ci si tratta come persone, con rispetto e cura vicendevole, dove ci si deve sentire membri apprezzati e responsabili . La scuola non deve armare i ragazzi per affrontare la lotta della giungla, ma per vivere da cittadini che vogliono vivere insieme nel miglior modo possibile.
La buona educazione come la buona morale amano la libertà :non si può procedere per ridimensionarla o cancellarla nelle pratiche quotidiane, ma solo per valorizzarla e la libertà è dell'educando prima di esserla dell'educatore. Nei rapporti educativi, quindi, nè forza, nè seduzione, ma convinzione e dialogo. L'educazione a scuola ha una sua costitutiva dimensione sociale . Il problema da sempre è quello di vedere se debba essere finalizzata all'adattamento alle condizioni date di un particolare momento della società o alla creazione di un rapporto problematico e critico col mondo, fondato su un'idea robusta di soggettività e di libertà personale. Bisogna sconfiggere la tentazione di fare dello Stato attraverso l'educazione uno Stato etico, anche se nessuno Stato mantiene un sistema di istruzione e formazione che lo possa mettere in discussione. "Lo Stato ha troppa volontà di potenza, contiene troppa ybris per essere l'educatore della società"(M. Debesse).

Il problema delle finalità educative presenta molte sfaccettature , perchè continuo è il processo di riarticolazione dei "valori" prevalenti in una società che occorre tenere presenti e perchè alcuni di essi non sono sempre identificabili con quelli protetti dalle leggi fondamentali di una società; pertanto la salvaguardia dei valori comuni non deve trasformarsi in un'azione normalizzatrice, coercitiva della libertà di pensiero e di costume. Nel merito non ci sono proposte facilmente condivisibili, perchè ognuna di esse evoca una propria visione antropologica e una propria concezione della convivenza umana. Si puo' tentare una soluzione. L'educazione a scuola in una società pluralistica non puo' essere improntata ai valori dedotti da un'idea astratta dell'uomo o da una sola antropologia, ma ai principi di regolazione sociale che possono garantire il massimo di libertà per tutti e il massimo di rispetto altrui.

L'educazione di cui si ha bisogno ha un senso se impegna, chiunque ne abbia la responsabilità, a far crescere e sviluppare l'umanità che è in ognuno di noi per essere reciprocamente umani gli uni con gli altri, per essere reciprocamente liberi, rispettosi della dignità degli altri e garanti dei diritti degli altri. Sono principi e valori che dovrebbero essere di comune accettazione, se si vuole disporre di regole di riferimento, di principi di convivenza. Ovviamente in ragione di questa scelta vanno esclusi dalla scuola idee e principi che sono contro i diritti inalienabili della persona e che alimentano la violenza, l'odio verso la diversità , l'ingiustizia di qualsiasi specie. E. Berti, sulla scorta di una acuta analisi del pensiero etico di Aristotile, chiamava "endoxa" i principi e i valori di questo tipo, costitutivi di un'etica pubblica razionalmente costruita(in alternativa ai "paradoxa"). Sono principi e valori di comune accettazione, perchè non possono non essere accettati se si vuole disporre di regole di riferimento, di principi di riferimento per vivere in una comunità. . Sono principi che si impongono per necessità e li si fa propri.

Le buone pratiche
All'interno di questo quadro di finalità morali la scuola definisce le regole che devono governare la vita quotidiana e la convivenza dei giovani che la frequentano:regole che vanno fatte rispettare e difese con energia contro ogni forma di trasgressione. A scuola si impara un mestiere e si impara a stare con gli altri; anzi se non si impara a stare con gli altri riesce difficile imparare un mestiere. La scuola come istituzione ha una propria identità, costituisce un mondo particolare che puo' diventare significativo per i giovani se intorno agli aspetti della vita scolastica si riesce a sviluppare una consapevole attività educativa, ad organizzare un loro percorso di crescita(ordine, puntualià, impegno, responsabilità personale, rispetto delle persone e delle cose, ascolto, dialogo, equità, collaborazione, spirito di sacrificio, primato del sapere e della cultura, sensibilità artistica, spirito critico etc). Nello spazio scolastico si possono giocare partite molto importanti per la promozione della cultura e di valori morali e si puo' attivare per giovani provenienti da ambienti a rischio un processo di decondizionamento culturale e sociale. .
Per raggiungere qualche risultato non si può sottovalutare l'impegno a lavorare su quei tratti della personalità che garantiscono a scuola la tenuta e lo sviluppo dei valori comuni(coerenza, impegno, perseveranza, coraggio, prudenza, lealtà, sincerità, autocontrollo, capacità di ascolto, capacità di dialogo). In questo caso la testimonianza , l'esempio, la pratica corrente, l'ambiente adatto sono le leve più idonee per sviluppare questo tipo di educazione morale.

L'insegnante educa se il senso, la direzione della sua azione professionale sono intrecciati profondamente e stabilmente con la serietà del proprio comportamento. Se dà testimonianza del proprio amore per gli alunni, per il loro futuro e per il sapere. L'educazione ai valori non ha alcun senso se gli alunni non vedono, non sperimentano nella comunità in cui sono inseriti pratiche di libertà e di giustizia; se non vedono uomini impegnati nella ricerca di conoscenze e competenze, attenti e dediti agli altri. I buoni valori si apprendono praticandoli e vedendoli praticare per esperienza diretta. (M. Pellerey)I modelli educativi sono tanto più influenti quanto più sono distinti da un rapporto affettivo. Esemplarità ed affettività sono condizioni per una buona educazione morale.

Per ogni scelta, verso la quale si ritiene opportuno indirizzare gli alunni, non può mancare una preliminare azione di riflessione e di conoscenza; non può mancare nemmeno la testimonianza di una visibile coerenza con i propri discorsi. E' fondamentale collegare le buone intenzioni alla pratica dei processi formativi per dare ad esse fondamento, visibilità, motivazione. Per potere educare in ogni occasione l'azione del personale della scuola deve dare prova di essere degna di "replica", di scaturire dalla scelta di prendersi cura degli alunni. "Non basta amare i giovani; occorre che essi percepiscano di essere amati"(Don Bosco).

Raimondo Giunta








Postato il Mercoledì, 19 dicembre 2018 ore 07:00:00 CET di Nuccio Palumbo
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