"E non pensavo che i
tuoi editti avessero tanta forza, che un
mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli
dei. Infatti queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono, e
nessuno sa da quando apparvero". (Sofocle: Antigone, Secondo episodio
vv. 453-455).
Il diritto, privato della giustizia, diventa arbitraria
forma di esercizio del puro potere, strumento di prevaricazione
dell'uomo sull'uomo. Ora, se dovere di un giudice saggio - ( per non
dire "sapiente" ) -, è quello di obbedire alla Legge, e di far
valere il Diritto, è anche suo imperativo categorico
cercare la verità, senza la quale non c'è giustizia, né rispetto e
tutela della dignità della persona. Che senso potrebbe - del resto
- avere la fredda applicazione di una norma giuridica, di un
diritto, "privato della giustizia", ossia depauperato della verità
vera, cui aspira l'uomo?
Ci sono norme morali non scritte ma eterne nel cuore dell'uomo (come,
per fare solo un esempio: le leggi della pietà), che un giudice,
"prudente", non può eludere, né violare o ignorare. Il Diritto,
evidentemente, da solo non basta; è la giustizia, con la sua sete
di verità, che deve inverarlo, vedendo dove altri non vedono, andando
"oltre" il puro criterio "oggettivo" della norma che impone
di attenersi, nel giudicare, alla semplice valutazione dei "fatti" nudi
e crudi.
Essendo la realtà molto più complessa di quanto appaia, è necessario
per chi amministra con scienza e coscienza la Giustizia, che egli
sappia vedere, prima di giudicare, tutto ciò che non si vede, a prima
vista, nel nudo scheletro dei fatti: il "calore" delle
passioni, i sentimenti, i risentimenti, le pulsioni umane, le speranze,
gli amori e gli odi, le fantasie e i sogni da cui gli uomini sono stati
tormentati, e dai quali quei fatti sono scaturiti e hanno preso
"significazione".
La giustizia, in quanto ricerca della verità, non può affidarsi a una
codificazione normativa sorda o indifferente "alle vicende" dell'essere
umano, considerato nel suo esserci, vale a dire nella
pienezza, hic et nunc, della sua fattualità storica ed
esistenziale. La letteratura può essere di aiuto al diritto, può
favorirne la "palingenesi" ? La risposta - a mio avviso - non può che
essere positiva, considerato che oltre il diritto con i
suoi codicilli, c'è la vita. La complessità della Vita.
Chi ha l'oneroso compito di giudicare, non può non sentire la
necessità di mettersi in rapporto con il contenuto da
comprendere; deve, prima di accingersi alla interpretazione dei
fatti, avere la capacità di auto-comprendersi. Ebbene, è proprio questo
agostiniano in te ipsum redi, cui la grande letteratura ci
richiama, sensibilizzandoci verso l'infinito (della verità, della
giustizia, dell'essere dell'uomo), che fa aggio sul
diritto, che sembra, invece, contentarsi del finito (vale a dire delle
norme, dei fatti, dei documenti legali).
Il diritto non vorrebbe aver nulla a che fare con gli uomini; ma la
letteratura lo induce a patirne le vicende.
Nuccio Palumbo