"Ogni universo è in
primo luogo un universo linguistico in quanto è proprio una morfologia
ed è sottoposto a tutta l'arbitrarietà delle morfologie. [...] Io
credo che ci sia un piccolo equivoco: l'idea che quando si usa la
parola "linguaggio" si alluda a qualcosa che significa. Il linguaggio,
a mio avviso, è semplicemente organizzazione. Di niente. Organizzazione
di se stesso". Lo scrittore non è altro che un raffinato giullare, un "
fool". In quanto tale "egli non può tenere discorsi, non può
commentare, non ha pareri, non consente né dissente; ma gli si concede,
anzi si vuole che egli straparli, scioccheggi, strologhi, berlinghi,
fàbuli e affabuli, concioni agli inesistenti, spieghi carabattole, ed a
se stesso dia torto e ragione, si insulti ed approvi, si accetti e
ripudi, In quel che dice molte materie e qualità si invischiano: ma non
mai la verità, e non mai il suo contrario" (G. Manganelli).
Quant'è travagliata e miscidata la storia delle nostre patrie
lettere, e quanto grande, d'altra parte, la
giullaresca adattabilità dei nostri maitres à
penser, di fronte a certe pressure avanguardistiche!
Il virgolettato di cui sopra, appartiene a un intellettuale, non
'compagno' militante ma, però, "magna pars" del famoso
Gruppo 63, prevalentemente formato da intellettuali di sinistra!
Nella rivoluzione formale dell' avanguardia artistico-letteraria
italiana dei primi anni '60, l'esigenza primaria (
elitaria) era stata quella di costruire una totalità ' altra 'rispetto
al sistema borghese-capitalistico, partendo dalla
destrutturazione e dallo sventramento del linguaggio tradizionale, fino
alla sua nullificazione, se non all'afasia; inserire, insomma, una
forte carica di disordine all'interno di una tradizione, per
distruggere l'establishment letterario e il sistema ideologizzato
della comunicazione di massa, e costruire un nuovo mondo.
La letteratura è artificio e menzogna. E il linguaggio?
Auto-organizzazione anarchica; presenza di un'assenza, fuoco
d'artificio, proliferazione formale, ripetizione, gusto del superfluo e
ridondanza. Questo appello provocatorio, ed eversivo,
all'assenza ma nelle intenzioni propedeutico a una
nuova , più autentica e più vera terapia della
comunicazione, finì per produrre, invece, una
patologia cronica del nostro sistema mediale, di cui portiamo i segni
nefasti ancora adesso.
Partiti con l'intenzione di sconfiggere la nevrosi storica del
linguaggio della società capitalistica, per costruirne uno nuovo,
i Novissimi dell'avanguardia degli anni '60, ci hanno lasciato
come retaggio la palude del disordine, un labirinto che non è soltanto
confusione e impotenza comunicativa da cui ancora non siamo
usciti, ma anche malattia interiore da cui bisogna guarire! Purtroppo,
è passato più di mezzo secolo da allora, e non vedo
miglioramento, né mondo nuovo della comunicazione.
Forse ha ancora ragione Benjamin quando parla dell'avanguardia come
"dramma dell'intelligenza borghese di fronte alla propria doppiezza,
che si esprime nell'equivalenza di Museo e Mercato, di autonomia
dell'attività artistica e mercificazione dei suoi prodotti
destinati al consumo di massa"! Non mai la verità, e non mai il
suo contrario: è il "tragico intellettuale" di ogni avanguardia.
Nuccio Palumbo