"Acquistai autorità
sui discepoli, e l’impressione fu durevole, perché, con quel fine fiuto
dei giovani, sentivano che in quelle lezioni io ci mettevo tutto me, ed
ero sincero, e non c’era ciarlataneria, e serbava modestia e
naturalezza….Io non mettevo nessuna cura a velare i miei lati deboli;
mi mostravo tutto al naturale, e mi piaceva di stare in loro (dei
discepoli, n.d.r.) compagnia e spassarmi insieme con loro. Così nacque
quella parentela spirituale che non si ruppe mai più, e che ancora oggi
m’intenerisce, quando qualcuno di quei giovani mi viene innanzi alla
mente” ( Francesco De Sanctis, La giovinezza ,. ed. Perinetti Casoni,
1945)- ! Così De Sanctis scriveva nel 1889, nel frammento
autobiografico della sua giovinezza.
Marciscono, in vero, le nozioni, quando sono impartite meccanicamente
dagli insegnanti, e non trovano ricadute didattiche significative sulle
esperienze della vita quotidiana dei giovani; e sono inutili, anche, se
non colpiscono il materiale e l’immaginario del loro cuore e della
mente; e sono false, le nozioni, quando non si capisce che istruire non
è una pura formalità istituzionale. Fare scuola significa insegnare ai
giovani a saper leggere il mondo che li /ci circonda, fornire loro
attraverso la “lectio” del testo, un metodo di apprendimento in grado
di permettere un approccio sistemico critico-problematico con la realtà
considerata nella sua determinazione e permanenza.
Fare scuola per un insegnante significa mettersi in discussione con i
giovani giornalmente, senza “ a priori” da snocciolare ex cattedra.
Solo così, resterà qualcosa dentro il cuore e la mente dei giovani.
Altrimenti, l’insegnamento corre il rischio di diventare, veramente,
inutile; e cosa stupida, se si vuole ridurlo a una semplice e asettica,
statica e rimasticata trasmissione di nozioni, a quiz, a questionari
precotti e confezionati, a crocette vero /falso.
Sarebbe la fine della scuola e la morte dell’umanesimo!
Nuccio Palumbo