1) Una nuova
disciplina
Il nuovo ministro è un nome dell'economia dell'istruzione ed è stato
assessore regionale all'istruzione nella Regione Emilia-Romagna. Ogni
ministro si porta appresso il proprio bagaglio di cultura, di
esperienze
e di specifica professionalità. Il bagaglio dell'economia
dell'istruzione non è di quelli che si puo' lasciare a casa ed è molto
ingombrante. Questo ramo dell'economia politica viene fuori con forza
dalle riflessioni sulla crisi fiscale dello Stato negli anni '70 e
anche in Italia ha cominciato ad avere i suoi cultori. Nel DNA di
questa
disciplina c'è l'impulso a rendere efficiente la spesa pubblica per
l'istruzione e soprattutto c'è la preoccupazione a non ad aumentaSi è
cominciato a dire, proprio perché c'è la crisi fiscale dello Stato, che
non è più sostenibile la pretesa di pensare che la composizione della
spesa pubblica non debba cambiare e che debba solo crescere. Le risorse
per l'istruzione che bisogna strappare all'avidità di altri reparti
dello Stato devono essere spese bene, senza sprechi, in modo efficace e
ogni innovazione, così come il mantenimento dell'esistente, devono
essere sottoposti ad una rigorosa analisi dei costi . Anche il diritto
allo studio e alla formazione, come il necessario prolungamento
dell'obbligo scolastico non possono e non devono essere esclusi da una
ricerca approfondita di questo genere. Potrebbero non essere
inviolabili
come si crede. . . Ma già nei primi tempi qualche dubbio sulle pretese
di
questa disciplina incominciò a circolare. In un saggio esemplare per
chiarezza e profondità di analisi pubblicato nel n. 239 del
quindicinale CENSIS del Febbraio '76, U. Trivellato, che è stato sempre
un grande esperto di problemi scolastici e anche Rettore della Facoltà
di Statistica a Padova, indicava le notevoli difficoltà analitiche nel
definire l'impiego ottimale delle risorse in campo educativo. "Queste
sorgono già nell'identificazione di una metrica comune delle variabili
influenti sul prodotto scolastico; emergono nella valutazione delle
relazioni fra output e input per individuare la combinazione efficiente
di fattori e permangono nella determinazione delle soglie dimensionali
e dei criteri organizzativi per l'impiego efficiente dei fattori". A
queste difficoltà si aggiungono poi problemi operativi nel tradurre
acquisizioni concettuali in interventi nella realtà. Alle stesse
conclusioni arrivava E. Somaini nel volume più recente "Scuola e
mercato" che è del 1997. L'autore teneva a sottolineare "che non tutte
le modificazioni nel soggetto sono risultati dei processi formativi,
perché sono influenzati in modo significativo da una serie di fattori
di origine naturale, ambientale e sociale, che si manifestano
gradualmente e lungo un arco esteso di tempo e che malgrado queste
difficoltà, logiche e di misurazione l'adozione (con le dovute cautele)
di un approccio produttivistico è auspicabile e ... anche
possibile". Appunto auspicabile e possibile. Non credo che lo statuto
epistemologico della disciplina abbia superato questi limiti.
Una teoria economica dell'istruzione, che non abbia eccessive
ambizioni, aiuta a orientarsi nelle scelte degli investimenti più
efficaci per il miglioramento del sistema formativo, anche se non sono
esattamente quantificabili i loro effetti produttivi reali e
potenziali. Aiuta, anche, a comprendere che cosa comporta in termini di
sviluppo economico un mancato livello d'istruzione della società, ma
non
puo' parlare con autorità sui saperi dell'istruzione che si ritengono
necessari per la generalità di tutti i giovani che devono andare a
scuola. Precauzione, questa, svanita nel corso degli anni, tant'è che
molti cultori dell'economia dell'istruzione continuano a lanciare
proclami sui "prodotti "scolastici necessari, redditizi e vantaggiosi
per tutti.
2) Produttività scolastica e mondo del
lavoro
L'efficacia degli investimenti nel sistema scolastico-formativo e
quindi la loro sostenibilità politica si deducono dal contributo dato
dalla scuola allo sviluppo delle conoscenze, alla diffusione della
cultura, alla crescita del potenziale tecnico e professionale delle
nuove generazioni, alla loro capacità d'inserimento nel mondo del
lavoro e nella società come cittadini consapevoli. La giustificazone
della spesa per l'istruzione, cioè, viene dimostrata dal ruolo da essa
ha nella formazione e nello sviluppo del capitale umano, sociale e
culturale disponibile in una comunità, la cui importanza è stata messa
in evidenza dagli studi di Coleman, Bourdieu e Putnam. Il valore del
"prodotto scolastico", per usare il lessico congeniale a questa
disciplina, quindi, deve essere riferito alla sua qualità, cioè alla
sua corrispondenza agli scopi sociali e istituzionali che una nazione
si dà in un determinato momento della sua storia per le nuove
generazioni. In questo caso la spesa sarebbe efficace e produttiva. Non
lo è più quando parte rilevante della popolazione scolastica viene
espulsa dal sistema scolastico e dalla formazione senza il possesso di
un bagaglio accettabile di competenze civiche e professionali; quando
si allarga la distanza tra il sistema formativo e l'organizzazione
sociale del lavoro e viene a mancare qualsiasi collegamento tra
istruzione e sbocchi professionali.
Ma è nell'ordine delle cose che ci sia uno scarto tra istruzione e
mondo del lavoro e che non sia possibile eliminarlo. Tutto ciò non
dipende dalla qualità della formazione, ma dal ruolo dell'istruzione
scolastica nella società attuale di fronte agli alti e continui
sviluppi tecnologici nel mondo della produzione e dei
servizi, all'esplosione delle conoscenze e alla rivoluzione dei sistemi
che le trattano, le accumulano e le diffondono. Scarto che non puo'
diventare inconciliabilità tra i due sistemi. Il sistema
dell'istruzione e il mondo del lavoro con opportune misure di
adeguamento devono, ad ogni buon conto dialogare e integrarsi. Questo
non significa auspicare una rigida finalizzazione dell'istruzione al
sistema produttivo, impossibile nel breve e nel lungo periodo, anche
perché non è l'unica ragione di esistere del sistema scolastico e
formativo.
3) Sarà servizio alla persona?
Il sistema scolastico e formativo è servizio alla persona ed è
contemporaneamente servizio alla società: nessuna delle due vocazioni
può essere trascurata e deve pertanto essere sostenuta sia la sua
natura di servizio alla persona sia la sua crescente prospettiva di
essere fattore dello sviluppo economico. Privilegiando uno dei due
aspetti si può lacerare un sistema che si trova all'incrocio di diverse
richieste ed esigenze, che vanno armonizzate, ma non alternativamente
subordinate. Non si può assecondare un generico e vago desiderio
collettivo di istruzione e formazione, di crescita culturale senza
chiedersi l'uso che se ne farà; non si può ferreamente legare i
processi di istruzione e formazione, in cui si giocano scelte
fondamentali del destino individuale dei giovani, alle necessità, ai
fabbisogni del sistema socio-economico, predeterminando settori e quote
dei vari indirizzi di studio. L'istruzione è un bene pubblico la cui
funzione primaria è la crescita e lo sviluppo integrale della persona
di ogni bambino, di ogni ragazzo, di ogni giovane che varca la soglia
di
un istituto scolastico, ma la disciplina economica di cui è padrone il
nuovo ministro rischia di vederla, invece, sotto l'ottica di un bene di
consumo o di un bene di investimento sia individuale, sia
collettivo. L'economia dell'istruzione ci porta alla logica dei
costi, degli sprechi e dei vantaggi. Non proprio una dimessa ancilla
della pedagogia;anzi finisce per imporre prima il proprio lessico e poi
le proprie finalità. Ma sono i costi in sé che vanno ridimensionati a
prescindere o le finalità da realizzare che qualcosa sempre costano?Il
criterio di giudizio sulle attività messe in atto dal sistema
dell'istruzione è solo economico o puo' e deve essere invece di natura
pedagogica?E' l'economia dell'istruzione una disciplina che non si
mette al servizio di nessun altro sapere di cui deve nutrirsi la scuola
e dal proprio punto di vista, che è economico, non potrà che parlare di
risultati, di valutazione, di carriera, di spendibilità del prodotto
scolastico. L'economicismo, non più moda fatua e appiccicaticcia di non
pochi ministri "modernizzanti", istigati da se-dicenti centro-studi per
la scuola, senza self-control e senza dialogo con l'intero mondo della
scuola e della società, oggi potrebbe celebrare un insopportabile
trionfo a danno della dimensione umana e culturale dell'istruzione e
della formazione.
4) E il rapporto con la società?
L'unico problema in cui si arrovella l'economia dell'istruzione, e
speriamo non il ministro, è il rapporto tra istruzione e mondo del
lavoro. Gli altri problemi, quelli afferenti ai valori, alle
tradizioni, alla conoscenza del mondo e alla cultura dell'integrazione
gli sono nella migliore delle ipotesi indifferenti. La rude e solida
disciplina dell'economia dell'istruzione, infatti, puo' trascinare
verso la diffidenza e la sottovalutazione della pedagogia e farsi
portavoce di tutta e di tanta avversione verso ogni idea di scuola, di
insegnamento che ci ricorda la complessità in democrazia del compito di
crescere e di educare i giovani. Si è parlato di economia
dell'istruzione come se fosse un'unica cosa con la persona del ministro
e come se il ministro non potesse avere se non idee connesse con la sua
disciplina; è chiaro che non ci si puo permettere di dare spazio ad
un'ipotesi siffatta e che bisogna attendere i fatti e solo i fatti per
giudicarlo, ma è anche chiaro che alla scuola da qualche decennio sono
state somministrate dosi massicce di questa cultura e non pare che
l'abbiano migliorata e che abbia aiutato ad affrontare l'emergenza
educativa. Ogni ministro bisogna bisogna vederlo all'opera sui problemi
che gli tocca da affrontare. Non credo che si sbagli dicendo che oggi
il più importante è quello di stabilire quale forma debba avere la
scuola e quali debbano essere i suoi rapporti con le altre agenzie
formative, con la società e con la necessità dell'apprendimento lungo
tutta la vita. Occorrerà osservarlo nelle scelte che sono relative alla
funzione conoscitiva della scuola e in quelle relative alla funzione
educativa, causa di continue e anche infondate lagnanze pubbliche.
Problemi seri su cui si gioca la vera autonomia della scuola, perché la
scuola, quale che sia la cultura del proprio ministro, non puo' perdere
il controllo del proprio programma culturale, non puo' disperdere la
propria identità nell'allargarsi e nell'infittirsi dei suoi intrecci
col mondo del lavoro e con la società. E ancora bisognerà vedere che
dirà e farà sullo statuto giuridico degli insegnanti e come opererà per
ridurre drasticamente la dispersione scolastica, perché la scuola deve
essere un'istituzione efficace, ma anche giusta. Gli esclusi dalla
cultura e dai saperi sono e saranno i vinti e gli umiliati della nostra
società. Resta immutata per loro la necessità di conciliare obiettivi
di promozione umana e culturale con quelli di professionalizzazione; di
evitare scelte precoci e socialmente inique. Si dovrà giudicare il
ministro dall'attenzione che dedicherà alle voci di non poche valide
associazioni professionali e dei sindacati della scuola, che solo in
malafede si possono considerare come i custodi dello status quo e delle
sue inefficienze. La scuola non sarà migliore di quella che è se la si
vuole governare puntando la pistola alle tempia degli
insegnanti, intimidendoli e precarizzandoli o pensando di affidarla
esclusivamente alle virtù taumaturgiche dei dirigenti, accrescendone
poteri insindacabili. La scuola sarà migliore, solo se resta e si
sviluppa come comunità educativa.
Raimondo Giunta