L'idea di scrivere su questo argomento che, a prima vista può sembrare inusuale nel mondo della tecnologia e della didattica, mi è venuta osservando (mentre mi trovavo in ospedale a far visita ad un mio amico) delle gentili signore che non erano in camice bianco ma che accudivano amorevolmente i malati soprattutto quelli più bisognosi per via dell’età o della situazione personale (anziani rimasti soli, extra-comunitari, sbandati in genere). Tale evento ha suscitato la mia curiosità e, dopo essermi documentato, ho saputo di queste dame bianche, alias dame di compagnia del malato (mi si permetta tale definizione per rendere meglio l’idea): sono persone che dedicano il loro tempo libero all’assistenza dei malati. Non pensate che siano in pensione, tante sono ancora in età lavorativa, ma amano dedicare, gratuitamente e con tutto il cuore, il loro tempo libero al prossimo. Questo fatto abbinato alla lettura di un articolo riportato da un bollettino religioso (ndr. “Bollettino di S. Rita” di P. Vicentin) che, naturalmente, affrontava la questione sotto un'ottica confessionale, mi ha spinto, come già detto, a scrivere queste righe di riflessione sull’argomento. La frase, da cui ho ricavato il titolo, è riportata in un poster messo nella bacheca di un ospedale della provincia di Verona con l'intento di stimolare le persone ad aiutare il prossimo senza cercare la popolarità e/o la riconoscenza a tutti i costi. Naturalmente, io condivido in toto tale visione della vita, ma non è questo né il posto né il momento di approfondire una tale questione di carattere filosofico-religioso, qui voglio solo stimolare l’applicazione di tale proficuo atteggiamento nel mondo della scuola. Infatti, oggi tutte le componenti del variegato mondo didattico (ma il tutto può naturalmente estendersi al mondo del lavoro in genere), ognuna nel loro ambito, quando fanno un qualche cosa si adoperano per, così dire, non solo a promuoverla ma anche per far sapere chi ne è l’autore onde ottenere (almeno presumo!) delle gratificazioni, l’alunno fa di tutto per farlo sapere al docente al fine di avere giudizi (leggi voti!!) più lusinghieri, a sua volta il docente lo fa per distinguersi dalla massa dei colleghi (spesso, ahimè, disillusi e demotivati!) e/o per farsi notare dal preside che, a sua volta, lo fa nei confronti del provveditore e così via. Probabilmente tale malcostume è direttamente influenzato dal mondo moderno dove, per far conoscere e/o valere le proprie opinioni, bisogna gridare, mentre dovrebbe essere normale poter esprimere liberamente e pacatamente quello che si pensa. Abbiamo ogni giorno esempi di tale dilagante malcostume: dai titoli sensazionalistici dei giornali, alle trasmissioni tv che offrono spettacoli sempre più volgari e degradanti, soprattutto nel modo di parlare e confrontarsi con gli altri. Capita, sempre più frequentemente, di vedere spettacoli e/o manifestazioni di beneficenza (in TV, allo stadio etc...), niente da dire sullo scopo, sempre nobile e condivisibile, ma molto discutibile il modo di realizzarlo, sempre mondano e comunque non idoneo. Quello che spero di trasmettere con queste mie poche righe vuol essere un invito esteso a tutti (dal mondo della scuola al mondo del lavoro in generale) a riflettere silenziosamente sulle cose importanti della vita e, quindi, ad agire di conseguenza. Non occorre gridare ai quattro venti che hai aiutato qualcuno, che hai fatto una qualche donazione materiale, per far del bene non serve far rumore!. In conclusione, quindi, un invito a tutti senza alcuna preclusione di età, ceto sociale, confessione religiosa e quant’altro: non applicate la brutta regola del ‘Do ut des’ (ovvero: ‘Dare per poi avere ’), se potete date un aiuto agli altri, nei tempi e nei modi a voi più confacenti, senza aspettarvi nulla, vedrete che poi starete meglio con gli altri e, soprattutto, con voi stessi!!