In questi giorni si è aperto un dibattito sulla MERITOCRAZIA.
Scusate se intervengo anch’io.
In latino, accanto ai verbi attivi e passivi ci sono quelli
deponenti: sono così chiamati poiché hanno deposto la forma attiva e
presentano quella passiva, pur conservando un significato attivo.
Meritare, nella lingua di Cicerone, è deponente. Insegnare, nella
propaganda del governo Berlusconi, è deponente, ma solo passivo senza
connotazione attiva. Gli insegnanti perciò siamo lavoratori
“deponenti”, passivi per le finanze dello Stato. Non meritiamo
perché non produciamo. Il governo però non tiene conto che noi, verbi
(verbivendoli?) deponenti, siamo ancora di significato attivo:
esistiamo e reclamiamo i nostri diritti. Forse ancora per poco,
grazie alla Gelmini (dagli ottimi studi) che “riforma in modo
epocale” distruggendo quel poco che ancora funziona dell’istruzione in
Italia.
Meritare, nella lingua di Dante, è essere degno di avere qualcosa, ma
soprattutto è essere meritevole, valere. Tremonti non ha mai letto
“Avere o Essere?” di E. Fromm. E si vede. Le sue manovre economiche
sono rivolte alla quantità e ai numeri trascurando la qualità,
che è l’anima, l’essere indispensabile per superare i momenti di
crisi economica. Noi siamo lavoratori della conoscenza, che è una
qualità, difficilmente quantificabile. Ci chiamano in molti modi:
Maestri (magis-ter: dovremmo sapere tre volte più), Docenti (= facciamo
sapere), Professori (professor: chiunque esercita una professione),
Insegnanti, perché noi lasciamo il SEGNO, positivo o negativo, nella
società. Siamo insegnanti, impiegati statali.
L’art. 54 della Costituzione sancisce: “I cittadini cui sono affidate
funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed
onore”. Qui la disciplina non è quella dei militari, significa
conoscenza e competenza della propria funzione; e se l’adempimento è
svolto con onore , allora chiamateci “onorevoli”.
Cara Maria Stella (ministro per chiamata e senza merito), noi
rispettando ogni giorno, ogni ora, ogni minuto l’art. 54 siamo
onorevoli come e più dei parlamentari, ma non vogliamo i vostri soldi e
il vostro stipendio. Ci basta il rispetto e la dignità che ci viene dal
nostro onore. E’ ovvia la citazione di Francesco I, re di
Francia, dopo la sconfitta di Pavia del 1535, che lo rese prigioniero
dell’imperatore Carlo V: “Tutto è perduto fuorché l’onore”. E con
Foscolo noi sospiriamo : “Questa di tanta speme oggi mi resta”…
l’onore! Oppure, parafrasando un noto spot pubblicitario:
“Toglietemi tutto ma non il mio onore”.
I docenti stiamo perdendo quello che abbiamo, ma non possiamo e non
dobbiamo rinunciare a quello che siamo. Se noi fossimo solo quello che
abbiamo e ci derubano, perderemmo tutto. Per fortuna noi siamo cultura
e sapere: fonte del nostro onore. Il governo “ladro” ci sta
lasciando in mutande. Niente contratto nazionale. Niente progressione
economica e giuridica per tre anni. Briciole per i più
“meritevoli”, e la chiamano meritocrazia!
Ho cominciato ad insegnare 40 anni fa con tanto onore e pochi soldi.
Poi questi sono aumentati ma in modo inversamente proporzionale è
diminuito l’onore. Nè per merito o per colpa mia. E’ cambiata la
società, la mentalità, l’ordine dei valori. I soldi e l’impresa sempre
più al primo posto, la dignità calpestata. Ora il governo ci
butta ogni giorno fango addosso definendoci “voce passiva di bilancio”,
fannulloni, zavorra. Gli insegnanti eravamo persone fino a qualche anno
fa. Ormai per Berlusconi-Tremonti-Gelmini siamo soltanto numeri da
sottrarre, rami secchi da tagliare, macchine dello Stato da rottamare.
A me rimane il “merito” che mi ha regalato un alunno della prima ora
(a. s. 1970-71). Contattandomi su Facebook dopo tanto tempo mi scrive:
“Lei è stato per me l'unica finestra aperta verso il mondo!”. Grazie,
Piero, troppo buono. Non voglio soldi in più. Pretendo l’Onore al
Merito: voce del verbo MERITARE.
Giovanni Sicali
giovannisicali@gmail.com