Basta con la scuola del cuore ricominciamo
a far pensare.
La proposta: i sentimenti non sono l'unico campo in cui si realizzano i
giovani: conta anche la razionalità. Da cosa si può ripartire perché le
aule tornino a essere un luogo centrale per i ragazzi? Idee e proposte
di insegnanti e protagonisti.
IL SOLITO SACROSANTO coro di lamentele accompagna come tutti gli anni
la riapertura delle scuole: manca questo e manca quello, hanno tagliato
di su e di giù, i programmi sono troppo così e poco cosà, e come se non
bastasse molti servizi stanno diventando a pagamento, tanto da far
assomigliare, nei costi, la scuola pubblica a quella privata.
Ecco il primo
interventodi MARCO LODOLI (La Repubblica)
redazione@aetnanet.org
Certo la Gelmini non ha aiutato granché il pericolante edificio
dell'istruzione statale, anzi quando ha potuto ha mollato qualche bel
colpo di piccone. E se il pesce puzza dalla testa, il resto del corpo è
già abbastanza fradicio: gli insegnanti non riescono a insegnare, i
ragazzi faticano a imparare, le famiglie delegano, ondeggiano, latitano
e tutto l'acquario sembra ormai piuttosto torbido.
Ma vogliamo provare, invece di piagnucolare al vento, a dire come
andrebbe corretta la scuola italiana, quali sono i deficit e quali i
possibili rimedi? In che modo lo spirito del tempo ha inquinato l'idea
della conoscenza, e come si potrebbe rilanciare il sogno di un mondo
che studia, apprende, diventa comunità già nelle aule e nelle palestre
e nei cortili della scuola? Ho una convinzione, forse può apparire un
po' antipatica ma non importa, credo di aver analizzato bene in questi
anni i nostri adolescenti e di aver individuato il punto dolente.
Tutto è cominciato a precipitare nel momento in cui qualcuno ha
stabilito che l'emotività è l'unico campo in cui si realizza il
giovane. Sappiamo bene l'importanza delle ragione del cuore di PasMARCO
LODOLI (La Repubblica)cal, del pensiero emotivo, della forza creativa
che vive nei sentimenti e certo non vogliamo che i nostri ragazzi a
scuola divengano dei robot: però ho l'impressione che sia stata una
debolezza micidiale la rinuncia alla logica, alla razionalità,
all'analisi e alla sintesi, all'intelligenza che sa muovere i pezzi
sulla scacchiera e le parole nel discorso e i numeri nei quaderni a
quadretti.
La cultura è il tentativo di dare una forma e un ordine al caos. Per
questo studiamo le tabelline e la sintassi, Aristotele e il sonetto,
Dante e Kant e la storia e la chimica e la biologia. Chiunque ama
l'arte sa che il disordine del dolore può essere la materia bruta
dell'opera: ma perché ci sia un valore e un senso l'artista deve tirare
fili invisibili, cucire, legare e slegare, mettere in prospettiva,
unire ciò che pare crudelmente diviso. E la scuola questo deve
riprendere a fare, contro la cultura del desiderio che vive di smanie
istantanee, puntiformi e distruttive, contro chi agita nei ragazzi solo
l'emotività, come se la vita fosse solo sballo, divertimento, notti da
inghiottire e giorni da dormire e corri dove ti porta il cuore.
Tutta la pubblicità si muove nella direzione dei sentimenti più fasulli
e ridicoli: la scuola deve andare nella direzione opposta, verso la
ratio e il logos e l'arte dei nessi e delle consonanze. Il pensiero
piccolo divide, il pensiero grande unisce, dice Lao-Tze. Intendiamoci:
dare corso ai desideri fu un pensiero "rivoluzionario", 40 anni fa. Ma
oggi, quando tutto si è ridotto a slogan suggestivo e vuoto, la vera
rivoluzione è riappropriarsi della sostanza.
E allora, come ridare forza al pensiero, oggi calpestato dall'orda
trionfante e barbara delle sensazioni spicciole, dall'impressionismo e
dalla destrutturazione? La lettura è fondamentale perché tuffa lo
studente nello scorrere progressivo del tempo, nell'evoluzione dei
caratteri, nella riflessione sulle piccole esistenze individuali e
sulla vita grande che le contiene. Il prima e il poi segnano una
strada. Ovviamente la matematica è la base del pensiero logico: i
nostri ragazzi faticano moltissimo anche per risolvere una semplice
equazione, spesso respingono l'universo dei numeri proprio perché li
obbliga a pensare, a mettere in fila i passaggi, a trovare la soluzione
esatta. Più letture, più matematica, dunque, ma anche più filosofia e
più traduzioni dalle lingue straniere. Sarebbe bellissimo, poi, se
tutti i ragazzi studiassero la musica capirebbero come nelle note si
sposano la precisione e la sensibilità.
Questa è la prima mossa da fare, la più importante. Poi si tratta di
ricostruire un rapporto tra le generazioni. La maggior parte degli
insegnanti pensa che gli studenti siano dei decerebrati volgari e
ignoranti, e la maggior parte degli studenti pensa che gli insegnanti
siano dei vecchi amareggiati e inutili. Anche qui temo che grandi danni
siano venuti dalla malizia dell'economia, quella del marketing che
pensa agli esseri umani in termini di target, che separa le età per
poter vendere meglio i prodotti più adatti ai ventenni e alle
sessantenni, musica e dentiere. La piazza si è frantumata, la comunità
si è sbriciolata in calcinacci generazionali, ogni gruppo sta per conto
suo, sospettoso, diffidente, scorbutico. Bisognerebbe ritornare
all'unica grande divisione, quella tra i vivi e i morti, e forse
nemmeno questa è così inevitabile. Siamo tutti qui, tutti vivi finché
dura, e allora nella scuola gli adulti e i ragazzi hanno ancora tanto
da scambiarsi, da regalarsi, tanto da discutere e litigare.
Ancora qualche idea per ricominciare in modo positivo: la scuola
italiana deve essere legata al grande patrimonio culturale della
nazione e allo stesso tempo deve mantenersi aperta al futuro. Deve
essere il punto di contatto tra la Storia e il Divenire, tra ieri e
domani. Dunque tutti i ragazzi italiani dovrebbero aver letto i dieci
libri fondamentali per la nostra identità nazionale, e aver visto e
studiato i pittori che da tutto il mondo vengono a vedere, ma la scuola
non può vivere col torcicollo, tutta rivolta al passato: deve
attrezzarsi per capire il presente, dunque abbonarsi a riviste e
giornali, aprire alle nuove forme di comunicazione, la tecnologia è
qualcosa che si può usare e studiare insieme, facendo capire come
nasce, perché funziona, tenendo vivo il contatto con quello che accade
oggi.
Se non è così, non ci sarà alcuna speranza di conquistare i ragazzi.
Per questo mi auguravo che ogni professore fosse fornito di un
tesserino per avere veri sconti in libreria e al cinema e a teatro e
nei musei. Mi sembrava che la Gelmini avesse accettato l'idea, poi non
se n'è più parlato. Gli insegnanti devono essere intellettuali del
nostro tempo, non tristi pappagalli spennacchiati che ripetono la
stessa lezione da trent'anni. Insomma, la scuola deve tornare a essere
un luogo dove pulsano l'intelligenza e la curiosità, non può ridursi a
un ospizio di nonni malinconici che provano invano a tenere a bada
torme di nipotini urlanti.
MARCO LODOLI (La
Repubblica, 31 agosto 2011)
redazione@aetnanet.org