In questi
giorni si fa un gran parlare di università e test per le facoltà a
numero chiuso.
Per le strade delle città universitarie si vedono giovani fuori sede
alla
ricerca di una camera in affitto con giornali specialistici in mano,
frammenti
di appunti con numeri di telefono, mentre altri più fortunati hanno già
trovato
qualcosa e sono in fase di pulizie e trasloco con tutta la famiglia
accanto.
Diversi studenti lasciano le proprie città per trovare di meglio, per
puntare
all’eccellenza e anche per sfuggire al clima che respira da sempre.
Detto
questo uno dei problemi è quello della scelta della facoltà che solo in
parte è
pesata a lungo a cominciare dai primi anni delle scuole superiori. Una
piccola parte
dei ragazzi è convinta della strada da percorrere senza aver dubbio
alcuno
sulla scelta fatta. Altri desiderano frequentare certe facoltà per una
questione
di status e di prestigio, tanto che c’è chi considera già l’iscrizione
come un
grandissimo successo. Poi ci sono coloro che ritengono la facoltà
scelta come la
sola strada per ottenere un buon lavoro, chi spera che almeno
l’ambiente
universitario sia un luogo di divertimento e chi parte già con l’idea
che perderà
tempo. Una volta che si decide per l’università bisogna poi capire
quale sia il
percorso di studi più adatto e qui comincia il giro delle
consultazioni, spesso
con risposte l’una diversa dall’altra, tutte ben motivate e che in
media
finiscono tutte con la frase “comunque io non ti voglio influenzare, tu
sei
grande, tocca a te scegliere”! Chi entra dunque in gioco? Pesano i
consigli
degli amici e le aspettative e i suggerimenti di mamma e papà. Al terzo
posto
si piazza un calcolo ragionato sulla situazione del mercato del lavoro,
poi l’elemento
dell’interesse verso una particolare facoltà e le proprie propensioni.
Con i
numeri, le tabelle, i calcoli potremmo continuare, ma ci siamo stancati
un po’
di girare attorno alla questione più importante, o meglio, sapendo bene
che ciò
che conta è altro, abbiamo voluto solo dimostrare che spesso i ragazzi
al
momento di una scelta tale si trovano a naufragare in mezzo a tutti
questi
discorsi. Cosa manca allora? Non abbiamo detto tutto sulle tensioni di
questi
giorni? È evidente che in tutto questo non c’è il cuore! Non si parla
della
passione per la vita e per lo studio; non ci sono i sogni e i desideri;
dov’è
la voglia di essere da grande questo o quello? Non solo ci vuole pure
un
richiamo reale alla vita dell’universitario, magari dicendo con
coraggio e
chiarezza che
saranno anni belli ed impegnativi, con relazioni intense con i colleghi
studenti e con gli insegnanti, con scoperte arricchenti nello studio
attendo e
critico delle materie. Tutto questo è
vero anche per i tanti che oggi tendono a vedere soprattutto quello che
non va.
Ci si lasci dunque provocare dalla curiosità di conoscere nuove cose,
persone,
luoghi, culture, idee, scoperte scientifiche, relazioni speciali,
contenuti
inaspettati; ci si lasci ancora condurre dalla sana paura di iniziare
qualcosa
di nuovo che è proprio il cuore a cercare; ci si lasci aiutare nella
scelta da
chi ci vuole bene, ma soprattutto cerca il nostro bene e ci sta accanto
costantemente
rispettando la nostra libertà. Infine c’è ancora un gradino, qualcosa
che
slancia verso l’alto e fa prendere il largo, qualcosa da un milione di
euro e
molto più: mettere il cuore nella scelta della vita universitaria
significa
confrontarsi anche con i desideri più grandi e profondi della persona.
Si può così
trovare una direzione nuova lungo la quale cercare il senso della vita
e quindi
dei percorsi di vita autentici o meglio dei passaggi essenziali verso
la ricerca
onesta del senso della vita e della felicità. Se la chiave sta qui, si
tratta
di cercare in questa direzione; e allora, coraggio e buona ricerca!
Marco Pappalardo
marcopappalardo@teletu.it