Appare evidente
che ha vinto l’astuta strategia di Berlusconi, mentre gli altri (chi
più chi meno) si sono rivelati o confermati dei dilettanti allo
sbaraglio. La rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della
Repubblica è il risultato “machiavellico” di un accordo consociativo, o
“inciucio”, raggiunto tra PD e PDL per la costituzione di un
supergoverno in perfetta continuità con le politiche seguite negli
ultimi tempi, in modo particolare con le direttive impopolari ed
antipopolari imposte dall’UE al proconsole Monti.
Siamo stati ancora una volta tratti in inganno nel momento in cui hanno
condotto il quadro politico dove volevano: le larghe intese, il
ricompattamento della vecchia politica e della borghesia al fine di
resistere alle istanze sociali che emergono con forza dal paese.
D’Alema è stato il diversivo (aspettatelo ministro), Renzi è stato il
supporter di D’Alema.
Hanno lasciato Bersani a fare da “testa di turco” (o “capro
espiatorio”) mentre facevano maturare questa soluzione. Non poteva
essere il grillismo il fattore in grado di provocare un cedimento
risolutivo del quadro di potere, né era quello che Grillo voleva in
realtà.
Ma c’è un ma: la crisi. Un paese che perde migliaia di posti di lavoro
a settimana, una miseria che va approfondendosi nel corpo vivo del
paese, due generazioni senza futuro, la debacle dell'industria, il
debito pubblico, ecc. Se questa operazione presuppone una prova di
forza della borghesia per tenere il potere, allora è un suicidio per
loro, un suicidio un po’ più diluito, perché il quadro sociale non
regge più il peso della crisi e la politica appare sempre più come
dominio, prepotenza, imposizione degli interessi delle banche ad un
popolo stremato da tasse, disoccupazione e miseria.
Quanto durerà questo nuovo assetto: 3 mesi, 6 mesi, un anno? I tempi
sono più o meno questi, altro che governo di legislatura. Con questa
operazione la gente capisce di non avere rappresentanza nella politica,
perché anche Grillo ha fallito non riuscendo a tenere il cambiamento al
centro della discussione. Comincia quella macerazione delle coscienze
che porta a comprendere che il sistema non è correggibile, che nessun
sistema si emenda da sé, che l’unica soluzione è liberarsene. Ci vorrà
tempo, ma la crisi accelera tali processi. Nessun cambiamento è
possibile nel quadro della democrazia borghese, nessuna evoluzione
possibile in questo sistema: occorre superare l’orizzonte capitalista.
La vecchia “cariatide” del PCI “migliorista”, la cui storia è la storia
dell’attacco e dell’abbandono degli ideali di sinistra, il teorico del
passaggio dal comunismo al collaborazionismo e poi al mero servilismo,
è l’immagine di un paese fallito, dove ogni vitalità è stata abilmente
strangolata, o raggirata e demoralizzata, per garantire il potere di
suggere ancora le energie vive ad esclusivo vantaggio del capitale
finanziario.
Ci hanno ingannati con una grottesca pantomima politica orchestrata in
modo geniale.
La rielezione di Giorgio Napolitano, al di là dei limiti anagrafici,
era la migliore garanzia politica per il capitale finanziario
internazionale. In fin dei conti è lui che ha messo a capo del governo
il proconsole delle banche, garantendo quella maggioranza necessaria a
far passare i provvedimenti di macelleria sociale varati da Monti. Ma,
nelle condizioni date, la sua riconferma poteva essere presentata solo
come necessità da ultima risorsa.
Questa riconferma ha lo scopo di ricompattare il quadro politico
borghese per permettergli di affrontare a muso duro la protesta sociale
emergente e di infliggere nuovi colpi al popolo italiano. Nella crisi
post-elettorale, Napolitano ha caldeggiato l’ipotesi delle “larghe
intese” che sono la formula politica di questo ricompattamento.
Ha iniziato dichiarando la sua indisponibilità, il suo desiderio di
distaccarsi dal compito, di non accettare la rielezione, un’ottima
copertura per lavorare allo scopo opposto. Era evidente che i partiti
che avevano appoggiato il governo Monti, cioè PD e PDL, dovevano
continuare poiché il blocco sotterraneo aveva funzionato. Tuttavia
occorreva tacitare o demoralizzare la protesta montante, canalizzarla e
ricondurla nell’alveo istituzionale fin dove fosse stato possibile. A
quel punto affiora Grillo, ma si verifica un imprevisto: l’indignazione
della gente è così intensa da consegnare a Grillo molto più di quanto
serviva ad una mera opposizione simbolica.
Che fare? Innanzitutto occorreva rendere impraticabili altre soluzioni
che non fossero le “larghe intese”, compito svolto da Grillo molto
egregiamente. In secondo luogo, svalutare al massimo possibile il voto
di protesta ed in ciò Grillo ha trovato un alleato davvero abile,
Bersani, che ha fatto girare a vuoto la politica per il tempo
necessario a creare le condizioni per gli altri obiettivi. In terzo
luogo, eliminare ogni concorrenza a Napolitano: la “remissività” di
Berlusconi ha questo significato. E nel frattempo il socio di
Berlusconi, D’Alema, uno specialista degli agguati politici, ha mosso i
suoi uomini, reclutando anche Renzi, per bruciare tutti i concorrenti.
Infatti, cento voti in meno (i cosiddetti “franchi tiratori”) non si
possono improvvisare, ma rappresentano un’operazione ben congegnata ed
organizzata. Fallito tutto, rispunta il nome di Napolitano e tutto
resta come prima. E adesso che il blocco politico borghese si è
ricompattato e che dispongono di un presidente dirigista che detta la
linea, ora che la protesta è stata demoralizzata dalla sconfitta, si
andrà avanti con la politica inaugurata da Monti e stavolta col
sostegno del blocco politico borghese nel suo insieme. Ma c’è un
elemento decisivo che hanno dimenticato in tutto ciò ed è la crisi.
E il cambiamento? Resta una chimera. Nessun sistema politico si emenda
da sé: è la lezione trasmessa dalla cronaca politica più recente, che
ormai è storia.
Lucio Garofalo
l.garofalo64@gmail.com