Un rapido
promemoria per i non addetti ai lavori. E per coloro che si lamentano
della scuola. Se - invece di lamentarsi - si analizzassero con un
minimo di senso critico le condizioni che a questa istituzione dello
Stato sono state riservate negli ultimi 5 anni, ci si stupirebbe e ci
si rallegrerebbe della sorprendente tenuta del nostro sistema
scolastico. E della serietà di gran parte dei suoi lavoratori.
Il piano programmatico pluriennale della legge 133/08 (scritto a 4
mani, ministri dell’Economia e dell’Istruzione, Tremonti-Gelmini) ha
avuto lo scopo di ridurre la consistenza organica del personale
scolastico entro il 2012 di 131.900 unità: 87mila docenti e 44.500 Ata.
Storicamente, il risparmio più consistente e il governo che è
intervenuto in modo più massiccio sull’organizzazione del lavoro nelle
scuole.
L’operazione si è articolata su diversi punti, che prevedono un uso
quantomeno singolare del mantra della “razionalizzazione”, che da
allora significò taglio spregiudicato ed incuria per esistenze
individuali, valorizzazione di competenze professionali, diritti
maturati, apprendimenti degli studenti: razionalizzare ed accorpare le
classi di concorso; razionalizzare quadri orari e criteri di formazione
delle classi; razionalizzare la rete scolastica; portare a 18 ore di
lezione frontale tutte le cattedre di insegnamento; portare l’orario
scolastico della scuola primaria a 24-27-30 e 40 ore, il tempo pieno
solo su richiesta e solo se l’organico della scuola lo consentiva senza
oneri aggiuntivi, eliminando le compresenze e introducendo il
cosiddetto maestro unico e/o prevalente; limitare l’orario della scuola
media a 30 ore, eliminando tempi e curricoli aggiuntivi o opzionali;
ridurre consistentemente l’orario settimanale dei tecnici e dei
professionali, comprese le classi non investite direttamente dal
riordino nell’a. s. 2010-11; imporre una nuova architettura per la
scuola superiore, con 6 licei, 11 indirizzi tecnici divisi in 2
settori; 6 indirizzi professionali suddivisi in 2 settori. Operazione
perfetta, che ha fruttato all’erario un risparmio di 8mld di euro, alla
comunità nazionale la precarizzazione selvaggia e la discontinuità
didattica sul posto di lavoro, l’impoverimento di molti insegnamenti.
In sostanziale continuità con il governo precedente, quello “tecnico”
portò a termine l’operazione-tagli, perfezionando una serie di
interventi ad hoc, e proponendo autonomamente alcune fantasiose trovate
estemporanee, come l’aumento a 24 ore dell’orario di lezione a parità
di salario, fortunatamente sventato da una dura opposizione del mondo
della scuola e dalle circostanze (si era in ottobre, le imminenti
elezioni), che sconsigliarono il governo dal perseguire nel progetto.
Il governo Letta fin dalle prime battute ha – almeno a parole –
dichiarato la propria avversione (contenuta del resto anche nel
programma elettorale del Pd) contro le politiche precedenti.
Il premier stesso affermò che si sarebbe dimesso in caso di tagli alla
cultura.
La questione attuale – il blocco del contratto economico, scaduto dal
2009, fino al 2015 – non configura direttamente un vero e proprio
taglio alla cultura, ma alla vita di coloro che fanno cultura sì.
Questo ulteriore stop all’adeguamento dei salari nel pubblico impiego,
ad opera di un regolamento da parte del Cdm la cui adozione, “si rende
necessario per la particolare contingenza economico-finanziaria, che
richiede interventi non limitati al solo 2013, i cui effetti sono stati
già scontati sui saldi di finanza pubblica. Sussistono infatti
condizioni di eccezionalità tali da giustificare la proroga al 31
dicembre del 2014 di una serie di misure in materia di pubblico
impiego, comunque con un orizzonte temporale limitato, come richiesto
nei pareri delle Commissioni parlamentari che hanno espresso parere
favorevole al provvedimento”.
Insomma, siamo fuori o stiamo per essere fuori dalla crisi, come ci
ripetono da più parti? Qualsiasi sia la risposta, si continua a
impoverire il comparto pubblico – scuola, sanità – senza considerare
che è tra i settori che hanno pagato uno dei più alti tributi alla
crisi economica.
Alla notizia del blocco dei contratti i sindacati hanno risposto con la
proclamazione di un possibile sciopero il 18 ottobre («Siamo pronti a
tutte le iniziative di mobilitazione fino allo sciopero generale –
dichiara il segretario generale della Flc Cgil Mimmo Pantaleo -. Il
modo autoritario con il quale è stato deciso l’ulteriore taglio dei
salari dimostra che non s’intende discutere seriamente e
responsabilmente con le organizzazioni sindacali. Non siamo disponibili
a discutere della parte normativa del contratto senza affrontare anche
la parte economica, fa notare Pantaleo. È un metodo inaccettabile. I
contratti sono bloccati dal 2009 e fermano anche gli scatti
d’anzianità: la situazione è disastrosa. Non possono pagare sempre
dipendenti pubblici e professori»; analoga la posizione degli altri
confederali e di Gilda, Cobas, Cub, Usb.)
Contemporaneamente il governo ha dichiarato piena disponibilità al
rinnovo contrattuale per quanto attiene la parte normativa, al fine di
regolamentare istituti giuridici che leggi recenti hanno sottratto
all’autonomia contrattuale. Ad esempio, dare concretezza, attraverso
articoli precisi, a quanto previsto alla “riforma Brunetta”, che
aleggia sulla scuola dal 2009, ma che ancora non è stata accolta dal
contratto. Ma il tema che viene ventilato da più parti come una
possibile insidia è quello delle 24 ore di lezione: aumento da 18 a 24
delle ore di cattedra per tutti gli ordini di scuola, che garantirebbe
– come già nelle intenzioni di Monti e Profumo – un ulteriore giro di
vite sulle condizioni di insegnamento e apprendimento, già provate dai
tagli cui si accennava precedentemente.
Il rischio esiste: non solo la necessità di far cassa, ma un’opinione
pubblica fortemente condizionata dalle esternazioni dei soloni di turno
non sarebbero contrari ad un aumento del 33% dell’orario di lezione dei
docenti.
Quando in settembre, come annunciato dal ministro della Funzione
Pubblica D’Alia, riprenderà il confronto con i sindacati sulla parte
normativa del contratto (integrato, poi, nel 2015 con la parte
economica) quale sarà la posizione dei sindacati? Internet e i social
network in particolare pullulano di indiscrezioni secondo cui la
trattativa – in particolare sull’aumento forzoso dell’orario di
insegnamento – sarebbe in qualche modo già iniziata, in modo informale,
ci verrebbe da dire “nei corridoi”.
Noi lavoratori della scuola esigiamo invece comportamenti chiari sia
dalle istituzioni sia da coloro che sostengono di rappresentarci: se vi
sono colloqui, devono essere trasparenti. Se non vi sono, le smentite
devono essere immediate e costituire un impegno per il futuro della
contrattazione.
Marina
Boscaino - Ilfattoquotidiano.it