Salviamo i bambini
dalla prigione delle nostre aule. Sì, avete letto bene. Dobbiamo far
uscire i nostri ragazzini dalle classi: abbattere le mura dei nostri
istituti. C’è un’urgenza: dobbiamo tornare a farli correre, saltare,
giocare, in mezzo a un campo, nei giardini delle nostre scuole. Far
loro respirare l’aria. Portarli a vedere un fiume o educarli a girare
una città prendendo la metropolitana o il treno. Abbiamo bisogno di
tornare a sporcarci le mani, a usarle per digitare sulla tastiera del
tablet e per toccare la terra, le foglie, gli alberi, le lumache.
Abbiamo necessità di insegnare ai bambini ad andare a scuola da soli,
nonostante molti dirigenti in questi anni abbiano costretto i genitori
a prelevare i ragazzi a scuola.
Di questo si è parlato sabato a Bologna al convegno promosso dalla
rivista “Infanzia” , dal settore istruzione Comune di Bologna, dalla
Fondazione Villa Ghigi e dall’Università presso il teatro “Testoni
Ragazzi”. La chiamano Outdoor education e in altri Paesi europei è
realtà. A Bologna da anni, alcune scuole dell’infanzia, ma anche
qualche primaria, hanno incluso nella loro esperienza questa pratica in
giardini e cortili progettati con e per i bambini; uscendo e dormendo
in un bosco con bimbi della materna; coinvolgendo i genitori in
percorsi nella natura; imparando a prendere un autobus per andare a
visitare un orto sociale. Don Lorenzo Milani, profeta del nostro tempo,
già sessant’anni fa, faceva lezione sotto un albero e aveva accanto
alla canonica una piscina per i ragazzi. Le immagini della scuola di
Barbiana fotografano don Milani che passeggia tra i boschi con i
bambini; ragazzi impegnati a costruire una libreria, intenti a
dipingere sul sagrato della canonica.
Nel 2000, il timore dettato dalla burocratizzazione della scuola,
dall’obbligo di documentare ogni piccolo incidente del bambino (dalle
sbucciature del ginocchio, alla casuale epistassi, alla caduta dovuta a
uno spintone del compagno) ha reso i dirigenti scolastici dei tristi
esecutori o interpreti della legge privi di un sogno pedagogico. L’iper
protezione – come hanno affermato gli esperti intervenuti al convegno –
è tanto amorevole quanto dannosa: teniamo i bambini al sicuro, agli
arresti domiciliari o scolastici; nessun attrito, nessuna possibilità
di inciampare, di capire che la realtà è affascinante da conoscere
perché è anche difficile, ruvida, a volte ostile. Forse dobbiamo
iniziare a fare meno test con i nostri bambini, a cancellare dal
dizionario le parole somministrare, verificare, interrogare per usare i
verbi correre, lanciare, saltare.
L’Outdoor education ci insegna che le nostre scuole vanno ripensate,
ristrutturate mettendo al centro il bambino: vanno rimodellati gli
spazi, i giardini; dev’essere rottamata l’idea di un solo intervallo di
dieci minuti su otto ore di scuola; dobbiamo creare momenti in cui i
nostri ragazzi possano entrare e uscire dall’aula senza dover fare come
in carcere “la domandina”. La scuola deve diventare come una casa, un
luogo accogliente. Nelle immagini presentate al convegno di Bologna ce
n’è una che mi ha fatto riflettere: un gruppo di bambini che si
divertono a giocare saltando nelle pozzanghere. Ecco, in quella
fotografia, c’è il sogno di una nuova pedagogia che fa della nostra
scuola non l’industria dell’obbligo, ma un cantiere dove sperimentare
il senso di libertà.
Alex Corlazzoli
Ilfattoquotidiano.it